Le spoglie mortali di Mario Cecchi
Gori hanno appena trovato il luogo dell’eterno riposo nell’antico cimitero di San
Miniato che Firenze comincia ad interrogarsi, apprensiva: la Fiorentina è
rimasta in mano a Vittorio. Quello della balaustra (ricordate l’espressione
sconsolata del padre?), quello del licenziamento di Gigi Radice, quello che al
Processo di Biscardi per difendersi dalle accuse di impulsività, intemperanza,
inadeguatezza non trova di meglio che dichiarare urbi et orbi: guardate che io
sono un laureato.
VCG è figlio d’arte, e questo non
è colpa sua. Gli tocca però il destino di tanti figli d’arte, oscurati dall’ombra
del padre. La madre Valeria, diventata vedova, si ritira in un dignitoso ruolo
di presidentessa onoraria e cerca come può di arginare saltuariamente un figlio
a cui la vita ha concesso forse troppo in termini di risorse materiali, e
troppo poco in termini di risorse umane per gestire quel ben di Dio. Ma più di
tanto non può neanche lei.
Marione, piantato in asso sul più
bello da un cuore che ne aveva sopportate tante, gli ha lasciato una Fiorentina
in serie B ma attrezzata come una corrazzata che naviga in una rada affollata
di barche a vela. Avendo trattenuto tutti gli “eroi” super pagati della
retrocessione, tornare nella massima serie è uno scherzo. Firenze quasi si
diverte ad affrontare la cavalcata nella serie cadetta, la seconda della sua
storia. E quando torna in A si sente autorizzata psicologicamente a riprendere
discorsi e sogni di grandezza lì dove il gol dell’udinese Desideri a Roma li
aveva interrotti.
Già, Marione ha lasciato tante
cose a questa Fiorentina. Un parco giocatori invidiato da tante altre società,
comprese le dirette concorrenti con cui la Fiorentina formerà il circo delle
Sette Sorelle, le dominatrici del calcio italiano ed europeo nel periodo d’oro
del pallone nostrano. Un allenatore emergente ed ambizioso come il romano
Claudio Ranieri, capace di guidarla senza infingimenti dallo Stadio degli Ulivi
di Andria al Camp Nou di Barcellona. Uno staff di manager che finché le risorse
lo consentono ne sbaglia veramente poche: l’unico 10 di Firenze, Giancarlo
Antognoni, è diventato un talent scout come pochi; il vecchio braccio destro
Luciano Luna, sopravvissuto egregiamente alla giungla di Cinecittà, si butta a
capofitto in quella del calciomercato (arriva, tanto per fare un nome che vale
per tutti, Manuel Rui Costa, un altro numero 10 che Firenze non scorderà mai);
Ugo Poggi, sanfredianino DOC, imprenditore fiorentino di successo, proprietario
di sale cinematografiche, presidente della seconda squadra cittadina, la mitica
Rondinella, amico di Vittorio fino alla fine cerca di salvarlo da tutto,
compreso da se stesso. Senza riuscirci neanche lui.
Ma soprattutto Marione ha
lasciato al figlio una situazione economicamente invidiabile, un impero che
basterebbe solo limitarsi a gestire. La casa di produzione cinematografica Mario
& Vittorio Cecchi Gori grazie all’alleanza con Silvio Berlusconi che si
traduce nella Pentafilm è diventata la più potente d’Europa, in competizione addirittura con le Majors
americane. A Vittorio non manca nulla insomma per portare Firenze e soprattutto
la Fiorentina lassù dove finora hanno solo sognato di andare. O di ritornare. E
invece…..
Vittorio sembra partire bene. Si
butta in politica come senatore eletto nelle file del Partito Popolare. Nel
1994 è grazie alla sua uscita dall’aula di Palazzo Madama che Silvio Berlusconi
riesce ad ottenere la fiducia al suo primo governo. Un bel credito da
riscuotere al momento giusto. Ma Vittorio medita su altri orizzonti. Come
Pontello dieci anni prima aveva dichiarato di voler spazzare via i “metalmeccanici
di Torino”, la FIAT di Agnelli, VCG rompe ben presto platealmente il sodalizio
con il Cavaliere e lo sfida in campo aperto anche sul prato verde.
Sono gli anni in cui i suoi film
mietono successi e premi a ripetizione, dal Postino,
al Ciclone, alla Vita è bella. Sono gli anni in cui le sue squadre sfidano il Milan
stellare di Fabio Capello. Il suo gioiello più prezioso, Gabriel Batistuta,
straccia tutti i record fiorentini e nazionali eclissando nomi leggendari come
quelli di Kurt Hamrin ed Ezio Pascutti. Sono gli anni in cui si lancia nella
sua impresa più ambiziosa, quella che probabilmente gli risulterà fatale: il
terzo polo televisivo.
Ai primi di gennaio 1997, mentre
la Fiorentina vola in Coppa delle Coppe dopo aver vinto la Coppa Italia l’anno
precedente ed aver battuto il Milan a San Siro nella finale di Supercoppa
italiana (con Batistuta che dichiara in mondovisione l’amore per sua moglie
Irina), accade un altro fatto incredibile, epocale. Per la prima volta una
partita della nazionale azzurra non è trasmessa dalla RAI, ma da una
televisione privata. C’era stato, è vero, il precedente del Mundialito 1981 trasmesso da Mediaset,
ma si trattava di una kermesse amichevole. Stavolta si tratta nientemeno che di
Inghilterra-Italia, valevole per la qualificazione al Mondiale di Francia 1998.
Gli azzurri sbancano Wembley con gol di Gianfranco Zola, Telemontecarlo di VCG
sembra sbancare definitivamente il duopolio RAI-Mediaset che dopo la legge
Mammì sembrava inattaccabile.
E’ un atto di guerra che viene
raccolto dall’avversario senza mezzi termini. A destra, non rimane più nulla
dell’antica amicizia con Berlusconi. A sinistra, le amicizie sono volatili. Quando
l’impero di Cecchi Gori si rivelerà un colosso dai piedi d’argilla, nessuno
nell’Ulivo di Prodi e D’Alema muoverà un dito per aiutare il cinematografaro
assediato. Anzi, qualcuno si muoverà per trovargli un successore alla proprietà
della Fiorentina a costo zero, mentre ancora il “paziente” e tutt’altro che
morto.
Dopo una semifinale di Coppa
delle Coppe persa immeritatamente contro un Barcellona che ha poco da invidiare
a quello attuale, Vittorio saluta Ranieri tentato dalla Liga spagnola e si affida all’outsider Malesani. Il pubblico sembra
gradire (con quella squadra del resto è difficile annoiarsi, perfino Spadino
Robbiati sembra un inarrivabile fuoriclasse), finché proprio su una
sostituzione di Robbiati al patron
saltano di nuovo i nervi come cinque anni prima, e Malesani va a raggiungere
Radice nell’elenco degli esonerati viola più a spintoni che con la prevista
raccomandata.
Vittorio però ha promesso lo
scudetto. Batistuta scalpita, Firenze comincia ad andargli stretta, lui vuole
vincere (e magari guadagnare di più, del resto a parte Ronaldo il fenomeno è senza dubbio il più forte
attaccante del mondo in quel momento). I gioielli di Firenze cominciano a fare
gola alle dirette concorrenti. E’ il momento di provarci, a Batistuta e
Oliveira viene affiancato un altro talento immenso, quello di Edmundo. In
panchina va a sedersi il decano degli allenatori italiani vincenti: Giovanni
Trapattoni.
Sembra finalmente il tanto atteso
e già rimandato appuntamento con la storia. Ma non si va oltre il titolo di
campioni d’inverno. Batistuta si rompe il ginocchio nello scontro diretto con
il Milan. Edmundo rompe con Cecchi Gori partendo per il carnevale di Rio. Cecchi
Gori rompe con Firenze portando a casa dal mercato di gennaio il solo onesto ma
insufficiente Fabrizio Ficini. I sogni di gloria viola finiscono qui. L’anno
dopo uno sfiduciato Trapattoni trascina la banda viola (a cui si sono aggiunti
i prodi Enrico Chiesa e Pedrag Mijatovic in attacco ma nessuno a centrocampo e
in difesa) fino alla beffa del Mestalla
di Valencia, dove Mendieta segna un gol che non avrebbe dovuto esistere (annullato
incomprensibilmente a Rui Costa lo splendido calcio di punizione del pareggio)
e che purtroppo elimina la Fiorentina allo stesso modo di come succederà 10
anni dopo a Monaco di Baviera.
Non c’è tempo per piangere. In
estate Batistuta firma con la Roma, e a ottobre firma anche un dolorosissimo
gol dell’ex all’Olimpico. La banda viola, affidata prima a Fatih Terim e poi al
carneade Roberto Mancini (in deroga a tutto il mondo), vince la Coppa Italia
per la gioia di Manuel Rui Costa e della signora Valeria. Poco dopo la
CO.VI.SOC e la Guardia di Finanza presentano il conto. Per iscriversi a quello
che sarà l’ultimo campionato dell’A.C. Fiorentina, VCG deve vendere Toldo e lo
stesso Rui Costa a Inter e Milan. Per scansare guai peggiori con la giustizia
deve dire che sul vassoio tra lui e Valeria Marini quella mattina a palazzo
Borghese a Roma le forze dell’ordine trovano zafferano piuttosto che cocaina.
Possiamo pensare di rivivere
tutto nella vita, ma non quella stagione 2001-02. Che parte con l’infortunio di
Enrico Chiesa, la farsa di Ottavio Bianchi, il tentativo disperato di Ugo Poggi
di riprendere in mano le redini di una società allo sbando. E si conclude con
una retrocessione in B decisa già a Pasqua, che in estate diventa addirittura
declassamento in C2 dopo un fallimento tra i più fantasmagorici della storia
del diritto civile italiano. Per pochi milioni, VCG viene condannato a morte (mentre
ad altre delle Sette Sorelle sarà riservato ben altro trattamento, con “spalmature”
varie). Nessuno si muove a salvarlo, si muove solo il Partito Democratico della
Sinistra che da tempo ha individuato il successore e che il 1° agosto spedisce
il sindaco Domenici sullo yacht di Diego Della Valle a firmare l’accordo che
vale il futuro, anzi la sopravvivenza della Fiorentina.
Resta una epopea iniziata nei
giorni dei sampietrini che volavano a Piazza Savonarola per la cessione di Baggio
da parte dei Pontello, e che terminano sempre fuori della sede viola per l’ultima
volta in quella Piazza, mentre la gente accaldata e disperata apprende che il
fax della banca colombiana è una bufala, e poco dopo che Firenze non ha più una
squadra di calcio.
Resta quella foto, di Vittorio
sulla balaustra e di suo padre che lo guarda sconsolato. Ingiallita ormai dal
tempo, e da tante altre storie trascorse. Ma che pronuncia la sentenza sulla
storia della Fiorentina di Cecchi Gori più di ogni atto giudiziario
sopravvenuto dopo. Sulla bancarotta fraudolenta Firenze ha preferito sospendere
il giudizio, visto che neanche il Tribunale a ben vedere è uscito dalle
vicissitudini di quell’epoca con le ossa del tutto intere. Per quella notte
invece in cui si andò a dormire senza più un pallone con cui e su cui sognare,
Firenze il Laureato forse non lo perdonerà mai.
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