venerdì 1 gennaio 2016

Federico che gioca guardando le stelle

Era l’anno di grazia 2012. Mi ricordo che un giorno mio figlio tornò a casa da scuola con una “liberatoria” da firmare. Una nota emittente televisiva aveva intenzione di mandare una troupe a realizzare un servizio su una giovane promessa del vivaio della Fiorentina, un ragazzo di diciott’anni che frequentava quella scuola superiore in un’altra sezione rispetto a mio figlio, e di cui si cominciava già a dire un gran bene, almeno tra i genitori che pretendevano di intendersi di calcio.
Firmai quella liberatoria, che scaricava la scuola di ogni responsabilità relativa alla privacy, e dimenticai la faccenda. Almeno fino a che, passata la maturità e trascorso l’anno successivo in prestito al Crotone, quel ragazzino fece ritorno alla casa madre, la Fiorentina, e cominciò subito a far parlare di sé alla corte di mister Vincenzo Montella, per quanto essa fosse allora frequentata da fior di campioni.
Federico Bernardeschi riportava dalla Calabria 12 gol in 39 presenze, ma soprattutto la sensazione data agli addetti ai lavori e agli aficionados di essere una delle più consistenti promesse del calcio italiano. A Firenze esordì subito in serie A, alla seconda di campionato, disputando quasi un tempo nella sfortunata partita interna con il Genoa, giocata ad una porta sola - quella rossoblu - ma conclusa senza reti.
Andò meglio quattro giorni dopo, sempre al Franchi contro il Guingamp in Europa League. Federico segnò il primo gol da adulto in maglia viola. Da ragazzino nelle Giovanili tra il 2003 ed il 2013 ne aveva già segnati una quantità notevole. Da valore aggiunto di una Fiorentina che quell’anno puntava in alto, si ripeté quindici giorni dopo contro la Dinamo Minsk.
Insieme a Babacar, detto Baba, il Berna era la prova lampante che il vivaio viola – una volta invidiato in tutta Italia per la sua prolificità – aveva ricominciato finalmente a produrre talenti. E la prima squadra, che si trovava improvvisamente a corto di attaccanti per il simultaneo venir meno di Giuseppe Rossi e Mario Gomez, aveva non una ma due ancore di salvataggio fabbricate in casa.
In una città da sempre alla disperata ricerca di artisti da eleggere a propri idoli, era inevitabile che simili esordi facessero serpeggiare, a voce neanche tanto sommessa, un nome che veniva da lontano, dall’alto, dal desiderio di vedere un miracolo ripetersi: Antognoni.
L’unico 10 aveva esordito a 18 anni con il numero 8 sulle spalle 42 anni prima in circostanze analoghe, una squalifica di De Sisti. Il ragazzino buttato dentro con il numero 29 da un Montella a corto di soluzioni offensive per infortuni e squalifiche faceva di nuovo sperare una intera città che di sperare ne aveva tanta, ma tanta voglia.
Ma siccome in casa viola quando piove lo fa sempre sul bagnato, ecco Federico farsi male in allenamento a novembre, quando la fiorentina era ancora in una fase di classifica interlocutoria. La diagnosi fu subito infausta: frattura scomposta del malleolo. Operato d’urgenza, la prognosi altrettanto infausta: cinque mesi fuori. Campionato finito.
I sogni riprensero a volare ad alta quota nell’estate 2015. C’era un nuovo allenatore sulla panchina viola. Si chiamava e si chiama Paulo Sousa, ed aveva idee ben precise tra chi è da Fiorentina e chi no, chi è un campione di sicuro affidamento e chi no. Se aveva qualche dubbio, non riguardava certo Federico Bernardeschi, che al raduno estivo si vide consegnare la maglia più pesante che c’è: la numero 10. A nessuno parve una bestemmia. Dopo Antognoni, era toccata a Baggio, Rui Costa, Mutu. Nessuno obbiettò che a questa galleria da corridoio vasariano venisse aggiunto il ritratto del ragazzino di Carrara.
Il gol al Barcellona
Il problema semmai era che un Sousa a corto di esterni dopo la repentina dipartita di Joaquin Sanchez Rodriguez fu costretto a inventarselo sulla fascia destra. Federico il talento ce l’ha, ma era costretto a limitarlo negli spazi angusti (e spesso raddoppiati) lungo l’out. Raramente riusciva ad esplodere in tutto il suo talento e la sua potenza fisica, che non è inferiore. Dopo alcune fasi iniziali incerte e qualche urlaccio del mister, diventò comunque titolare fisso e nessuno lo smosse più. Neanche quando a ridosso delle vacanze di natale mostrò di aver bisogno di ritirare un po’ il fiato.
Nel frattempo, è diventato titolare anche della nazionale Under 21 di Gigi Di Biagio, e sempre più spesso ad assistere alle sue performances si è notato il commissario tecnico della Nazionale maggiore, Antonio Conte, anche lui alla disperata ricerca di talenti per non sfigurare all’Europeo di Francia. Per imporsi definitivamente, gli mancavano solo i gol. Ne aveva segnati un paio ad agosto nella prestigiosa amichevole contro il Barcellona (che da allora, ahimé, gli ha messo addosso occhi dallo sguardo insistente), ma vuoi mettere quelli che vengono registrati sullo score di partite ufficiali?
A Basilea a novembre nella partita decisiva per il passaggio del turno di Europa League aveva segnato una doppietta ancora più pesante di quella che aveva steso i Blaugrana. Il primo gol in campionato è arrivato a Bologna il 6 febbraio con un colpo da giocatore di biliardo, in una partita che la Fiorentina avrebbe potuto vincere se qualche suo compagno non avesse vanificato scelleratamente la sua prodezza.
Pochi giorni dopo, Federico festeggia i suoi primi 22 anni. La sua storia, e chissà, la sua leggenda, sono ancora tutte da scrivere mentre soffia per spegnere le candeline della torta che una tifosa gli porge mentre esce dal centro sportivo. Nell’ultima gara di campionato contro l’Inter Federico è stato devastante, impressionante, contribuendo alla vittoria della propria squadra al 91’ come pochi altri. Berna e Baba sono tornati forse ad essere il miglior futuro di questa Fiorentina.
Ma soprattutto, la voce del popolo tifoso tornato a sognare ha ripreso ad accostarlo a nomi che sembravano impronunciabili, senza tema di proferire eresie. Se Antognoni non era sufficiente, qualcuno adesso lo paragona nientemeno che al Profeta del Gol. A quel numero 14 degli Orange, Johann Cruyff, che incantò perdutamente il mondo quarant’anni fa. E, sia consentito dirlo ad un cronista ormai un po’ in là con gli anni che ne ha viste tante e sentite ancor di più, anche questa non pare affatto una bestemmia.
Tanti auguri Federico. Con la speranza che i prossimi compleanni tu li festeggi ancora qui. Dove puoi giocare guardando le stelle.

Nessun commento:

Posta un commento