Era l’anno di grazia 2012. Mi ricordo che un
giorno mio figlio tornò a casa da scuola con una “liberatoria” da firmare. Una
nota emittente televisiva aveva intenzione di mandare una troupe a realizzare
un servizio su una giovane promessa del vivaio della Fiorentina, un ragazzo di
diciott’anni che frequentava quella scuola superiore in un’altra sezione
rispetto a mio figlio, e di cui si cominciava già a dire un gran bene, almeno
tra i genitori che pretendevano di intendersi di calcio.
Firmai quella liberatoria, che
scaricava la scuola di ogni responsabilità relativa alla privacy, e dimenticai
la faccenda. Almeno fino a che, passata la maturità e trascorso l’anno successivo
in prestito al Crotone, quel ragazzino fece ritorno alla casa madre, la Fiorentina,
e cominciò subito a far parlare di sé alla corte di mister Vincenzo Montella,
per quanto essa fosse allora frequentata da fior di campioni.
Federico Bernardeschi riportava dalla
Calabria 12 gol in 39 presenze, ma soprattutto la sensazione data agli addetti
ai lavori e agli aficionados di essere una delle più consistenti promesse del
calcio italiano. A Firenze esordì subito in serie A, alla seconda di campionato,
disputando quasi un tempo nella sfortunata partita interna con il Genoa,
giocata ad una porta sola - quella rossoblu - ma conclusa senza reti.
Andò meglio quattro giorni dopo,
sempre al Franchi contro il Guingamp in Europa League. Federico segnò il primo
gol da adulto in maglia viola. Da ragazzino nelle Giovanili tra il 2003 ed il
2013 ne aveva già segnati una quantità notevole. Da valore aggiunto di una
Fiorentina che quell’anno puntava in alto, si ripeté quindici giorni dopo
contro la Dinamo Minsk.
Insieme a Babacar, detto Baba, il
Berna era la prova lampante che il vivaio viola – una volta invidiato in tutta
Italia per la sua prolificità – aveva ricominciato finalmente a produrre
talenti. E la prima squadra, che si trovava improvvisamente a corto di
attaccanti per il simultaneo venir meno di Giuseppe Rossi e Mario Gomez, aveva
non una ma due ancore di salvataggio fabbricate in casa.
In una città da sempre alla
disperata ricerca di artisti da eleggere a propri idoli, era inevitabile che
simili esordi facessero serpeggiare, a voce neanche tanto sommessa, un nome che
veniva da lontano, dall’alto, dal desiderio di vedere un miracolo ripetersi:
Antognoni.
L’unico 10 aveva esordito a 18
anni con il numero 8 sulle spalle 42 anni prima in circostanze analoghe, una
squalifica di De Sisti. Il ragazzino buttato dentro con il numero 29 da un
Montella a corto di soluzioni offensive per infortuni e squalifiche faceva di
nuovo sperare una intera città che di sperare ne aveva tanta, ma tanta voglia.
Ma siccome in casa viola quando
piove lo fa sempre sul bagnato, ecco Federico farsi male in allenamento a
novembre, quando la fiorentina era ancora in una fase di classifica
interlocutoria. La diagnosi fu subito infausta: frattura scomposta del
malleolo. Operato d’urgenza, la prognosi altrettanto infausta: cinque mesi
fuori. Campionato finito.
I sogni riprensero a volare ad
alta quota nell’estate 2015. C’era un nuovo allenatore sulla panchina viola. Si
chiamava e si chiama Paulo Sousa, ed aveva idee ben precise tra chi è da
Fiorentina e chi no, chi è un campione di sicuro affidamento e chi no. Se aveva
qualche dubbio, non riguardava certo Federico Bernardeschi, che al raduno
estivo si vide consegnare la maglia più pesante che c’è: la numero 10. A nessuno parve una
bestemmia. Dopo Antognoni, era toccata a Baggio, Rui Costa, Mutu. Nessuno
obbiettò che a questa galleria da corridoio vasariano venisse aggiunto il ritratto
del ragazzino di Carrara.
Il gol al Barcellona |
Il problema semmai era che un
Sousa a corto di esterni dopo la repentina dipartita di Joaquin Sanchez
Rodriguez fu costretto a inventarselo sulla fascia destra. Federico il talento
ce l’ha, ma era costretto a limitarlo negli spazi angusti (e spesso
raddoppiati) lungo l’out. Raramente riusciva ad esplodere in tutto il suo
talento e la sua potenza fisica, che non è inferiore. Dopo alcune fasi iniziali
incerte e qualche urlaccio del mister, diventò comunque titolare fisso e
nessuno lo smosse più. Neanche quando a ridosso delle vacanze di natale mostrò
di aver bisogno di ritirare un po’ il fiato.
Nel frattempo, è diventato
titolare anche della nazionale Under 21 di Gigi Di Biagio, e sempre più spesso
ad assistere alle sue performances si è notato il commissario tecnico della
Nazionale maggiore, Antonio Conte, anche lui alla disperata ricerca di talenti
per non sfigurare all’Europeo di Francia. Per imporsi definitivamente, gli
mancavano solo i gol. Ne aveva segnati un paio ad agosto nella prestigiosa
amichevole contro il Barcellona (che da allora, ahimé, gli ha messo addosso
occhi dallo sguardo insistente), ma vuoi mettere quelli che vengono registrati
sullo score di partite ufficiali?
A Basilea a novembre nella partita
decisiva per il passaggio del turno di Europa League aveva segnato una
doppietta ancora più pesante di quella che aveva steso i Blaugrana. Il primo
gol in campionato è arrivato a Bologna il 6 febbraio con un colpo da giocatore
di biliardo, in una partita che la Fiorentina avrebbe potuto vincere se qualche
suo compagno non avesse vanificato scelleratamente la sua prodezza.
Pochi giorni dopo, Federico
festeggia i suoi primi 22 anni. La sua storia, e chissà, la sua leggenda, sono
ancora tutte da scrivere mentre soffia per spegnere le candeline della torta
che una tifosa gli porge mentre esce dal centro sportivo. Nell’ultima gara di
campionato contro l’Inter Federico è stato devastante, impressionante,
contribuendo alla vittoria della propria squadra al 91’ come pochi altri. Berna e Baba
sono tornati forse ad essere il miglior futuro di questa Fiorentina.
Ma soprattutto, la voce del
popolo tifoso tornato a sognare ha ripreso ad accostarlo a nomi che sembravano
impronunciabili, senza tema di proferire eresie. Se Antognoni non era
sufficiente, qualcuno adesso lo paragona nientemeno che al Profeta del Gol. A quel
numero 14 degli Orange, Johann Cruyff, che incantò perdutamente il mondo
quarant’anni fa. E, sia consentito dirlo ad un cronista ormai un po’ in là con
gli anni che ne ha viste tante e sentite ancor di più, anche questa non pare
affatto una bestemmia.
Tanti auguri Federico. Con la
speranza che i prossimi compleanni tu li festeggi ancora qui. Dove puoi giocare
guardando le stelle.
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