Erano tempi oscuri. La
Fiorentina era stata precipitata a giocare nelle Terre Maledette a causa della
maledizione congiunta scagliatale addosso dal Palazzo del Male, da traditori,
approfittatori e mercanti provenienti da potenze straniere e dagli sprovveduti
che sedevano sul trono. Aveva perso tutto, persino il suo Nome ed il ricordo di
se stessa e di ciò che era stata. Il suo Labaro giaceva nella polvere, e Lei
vagava senza protezione alla mercé del Fato in lande sconosciute dove si
aggiravano creature insolite dai nomi improbabili come i luoghi da cui
provenivano: Gualdo Tadino, San Giovanni Valdarno, Gubbio, dove la neve rischiò
di bloccare le sue truppe a lungo.
In tale sventura, con un
esercito messo su in soli 20 giorni dai capitani coraggiosi Gino Salica e
Giovanni Galli, era difficile trovare un Cavaliere che prendesse le difese
della Damigella Florentia
Viola in grave pericolo. Difficile,
se non impossibile. Eppure, quando tutto sembrava perduto per sempre, il Cavaliere
apparve. E presa per mano la Damigella Viola, la guidò fuori dei perigli fino alla
terra a cui era appartenuta e a cui non avrebbe saputo tornare da sola. Fino a
quella che era stata e sarebbe tornata ad essere casa sua: la Serie A.
Christian Riganò, una delle
figure più straordinarie dell’intera Galleria Viola, è nato a Lipari il 25
maggio 1974. Non soltanto perché, a quasi 40 anni, ancora gioca a calcio. Ma
anche perché la sua ora più grande, per dirla con
Winston Churchill, coincise con il momento più difficile della storia della
Fiorentina. Come Cincinnato, lui venne, fece grandi cose, vinse, riportò la
Fiorentina in Serie A, e se ne andò. In punta di piedi, da signore, senza
pretendere nulla, quando in realtà per quello che aveva fatto avrebbe potuto
chiedere tutto.
Christian è uno di quei
fenomeni che il calcio a volte presenta e che non è e non sarà mai in grado di
spiegare. Giocatori che avrebbero potuto avere chissà quali carriere, rimangono
per motivi inspiegabili ai margini del calcio che conta. Luca Toni, quando
arrivò alla fama aveva già 23 anni, e probabilmente deve ringraziare il mago
Carletto Mazzone che lo mise accanto ai fenomeni Baggio e Pirlo, in quel di
Brescia.
Avesse perso quel treno,
chissà se avremmo avuto in squadra una Scarpa d’Oro. Christian Riganò, quando
fu ingaggiato da Giovanni Galli in quell’agosto tremendo del 2002 (all’inizio
del quale non c’era più neanche una società di calcio a Firenze ed alla fine c’era
solo un gruppo di oltre 30 ragazzi pronti a battersi con l’ignoto della C2),
aveva ormai 28 anni, troppi per sfondare nel calcio professionistico, ma
sufficienti per far intravedere cosa avrebbe potuto essere se qualche Mazzone l’avesse
avuto alle mani per tempo.
Quando cominciò a giocare
da dilettante nella sua isola, cominciò anche a lavorare, come muratore. Fino a
25 anni, nella squadra del capoluogo delle Eolie, poi a Messina e quindi all’Igea
Virtus di Barcellona Pozzo di Gotto, Christian si allenava nel tempo lasciatogli
libero dal lavoro. Aveva iniziato la carriera come difensore, poi un giorno il
centravanti titolare del Lipari si fece male, il mister – come succede spesso a quei livelli – spostò avanti
uno di quelli che giocavano dietro. Christian segnò la rete della vittoria, e da quel momento la
maglia numero 9 fu sua.
A 25 anni lo chiese il
Taranto, serie C2. Riganò accettò, consapevole che male che fosse andata un
mestiere per le mani lo aveva e un lavoro lo avrebbe ritrovato. Sul continente,
finalmente semiprofessionista, finalmente calciatore a tempo pieno, il
centravanti di Lipari divenne finalmente un bomber. Il primo anno segnò 14
reti, portando il Taranto in C1. Il secondo fu capocannoniere, 27 reti in 33
partite. La serie B sfumò solo alla finale dei play-off, contro il Catania. A quel punto, nel 2002 era una
promessa di 28 anni che almeno in B poteva arrivarci comunque. Si fece avanti
la Florentia
Viola di Diego Della Valle, che per
bocca di Giovanni Galli gli offrì di retrocedere in C2, ma di coprirsi di
gloria imperitura riportando la squadra che non poteva ancora chiamarsi
Fiorentina là dove le competeva. In Serie A.
Christian accettò la nuova
sfida, e la giocò da par suo. Attaccante completo, abile di piede e di testa,
capace di fare reparto da solo e di far salire la squadra 30 metri più avanti con la
sua sola presenza, giocò in C2 32 partite segnando 30 gol, il suo record
personale. Alla fine, una squadra allestita in poco più di due settimane e che
all’inizio aveva inevitabilmente stentato, concluse il campionato con la sospirata
promozione in C1, che poi la Federazione convertì in B per le note vicende legate
al Catania di Gaucci (di nuovo l’incrocio del destino di Christian, ma stavolta
in positivo).
Riganò con Mondonico la notte della Serie A |
In serie B, in cui la
Fiorentina (tornata a chiamarsi con il suo vero nome grazie al riacquisto del
titolo sportivo da parte di Della Valle) seppe di giocare solo a pochi giorni dalla
fine del calciomercato, Christian fece mirabilie: 24 reti che furono
determinanti per agganciare il sesto posto che dava diritto ai play-off per la Serie A. Nell’atto conclusivo, la sfida mortale
con il Perugia (indovinate di chi? ma di Gaucci!) fu risolta da Enrico Fantini,
eroe per un giorno. Ma tutti coloro che c’erano, pur stravolti dalla tensione e
dall’emozione, ricordano bene Christian Riganò ed Emiliano Mondonico drammaticamente
abbracciati in mezzo al campo al fischio finale del ritorno a Firenze: il
bomber che cerca di calmare il mister in preda
ad un crollo emotivo non potrà scordarlo nessuno.
Nella prima stagione in
serie A della nuova Fiorentina di Della Valle e di Christian Riganò successe di
tutto. La Fiorentina quell’anno fu bersagliata oltre ogni dire, tanto da
giustificare i cattivi
pensieri non solo di Dino Zoff. Ma
commise anche molti errori, uno dei più eclatanti dei quali fu forse di non
credere più in Riganò. Miccoli, il galactico Portillo,
l’acquistone Valery Bojinov, in attacco i viola presentarono di tutto e di più.
Riganò giocò solo 18 partite o scampoli, segnando comunque 4 gol. A fine anno,
salva per il rotto della cuffia, la Fiorentina avviò una rifondazione in cui
non ci fu più posto per molti, incluso Riganò.
Prestato all’Empoli, due
anni dopo fu profeta in patria a Messina. Nella squadra del suo capoluogo
natio, Christian non poté evitare la retrocessione, ma si tolse la soddisfazione
di segnare 19 reti in 27 presenze, dimostrando a tutti (Fiorentina in primis, anche se a quel punto i viola schieravano gente come
Luca Toni e Adrian Mutu) che lui in serie A ci poteva stare, eccome. Manco a
dirlo, nel match giocato contro la sua ex squadra a Messina, contribuì con due
gol dell’ex al 2-2 finale.
Negli ultimi anni Christian
Riganò ha giocato nella Liga spagnola (al Levante, 4 reti
in 14 partite), poi a Siena, Cremona e Terni, concludendo il lento declino alla
Rondinella, seconda squadra fiorentina alle ultime battute prima del
fallimento. Attualmente sta giocando in Prima Categoria nella Settignanese, di
cui sta curando anche la scuola calcio insieme a vecchie glorie viola come
Roberto Galbiati, Mario faccenda e Gianmatteo Mareggini. E anche lui come tanti
altri che hanno indossato la maglia viola ha eletto Firenze sua patria d’adozione.
Da Batigol a Tonigol sono
intercorsi anni drammatici per la Fiorentina. Anni in cui successe di tutto, e
non era detto che ci fosse il lieto fine. Se sono tanti i campioni, soprattutto
all’attacco, che i tifosi viola si portano nella memoria, non c’è dubbio che
dovesse la storia della Fiorentina durare mille anni (sempre per dirla con
Winston Churchill) Rigagol sarà uno di quelli che a Firenze ci porteremo per sempre
nel cuore. Come uomo e come campione.
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