venerdì 1 gennaio 2016

Cesare Prandelli, dagli anni viola a quelli azzurri

Novembre 2007. Manuela Caffi coniugata Prandelli perde la sua lunga battaglia con la malattia che non perdona. La domenica successiva, a suo marito Cesare lo Stadio Artemio Franchi al completo tributa una delle più clamorose manifestazioni di affetto mai riservata a un qualsiasi beniamino viola, un minuto di raccoglimento culminato in un applauso finale da far tremare il cuore e le gambe anche al più insensibile dei convenuti. Il matrimonio religioso e civile di Cesare Prandelli è purtroppo appena terminato, quello sportivo con Firenze e la Fiorentina pare essere in quel momento definitivamente consacrato, e destinato a non avere mai più fine.
Novembre 2009. Claudio Cesare Prandelli ha appena raggiunto e superato nientemeno che Fulvio Bernardini in testa alla classifica degli allenatori più vincenti della storia viola, 100 vitorie in 197 partite. Ma c’è di più, ha appena portato la squadra a vincere ad Anfield Road a Liverpool e a qualificarsi agli ottavi di finale della Champion’s League. Adesso You’ll never walk alone lo cantano i tifosi viola, e pare davvero arrivato il momento di raccogliere per chi ha seminato tanto, come promesso da Della Valle all’avvio del suo ciclo. Eppure, proprio in quel momento qualcuno sembra aver dimenticato la profezia dello scudetto entro il 2011 e tutti i sogni di gloria, perché sceglie proprio quel momento per avvicinare il Mister e fargli sapere che "può cercarsi un’altra squadra”.
Qualunque cosa sia successa, è successa mesi prima, quando viene dapprima licenziata l'addetta stampa Silvia Berti con cui Prandelli aveva stabilito un rapporto speciale, forse l’unico per lui affidabile dal punto di vista umano in società; quando a una riunione tecnica di fronte ad alcune osservazioni avanzate da Prandelli è il capo in persona Diego Della Valle a troncargli la parola in bocca, dicendogli: “lei è l’allenatore? Allora pensi ad allenare e lasci perdere il resto”; quando suo fratello Andrea lascia la presidenza di punto in bianco in apparente (e in quel momento inspiegabile ai più) polemica con la nuova Amministrazione comunale Renzi; quando infine Prandelli chiede dei rinforzi per il salto di qualità definitivo, e gli arrivano nell’ordine Bonazzoli, Bolatti e Keirrison. Alla fine di quel 2009, con la squadra ancora in corsa in tutte le competizioni, Cesare Prandelli si rende conto che il suo tempo sulla panchina viola è finito e che qualunque cosa succeda nel 2011, o forse già nel 2010, ci sarà un altro ad essere chiamato Mister dai suoi giocatori.
In primavera, le cose precipitano, come c’era da aspettarsi. La squadra capisce che il suo allenatore è delegittimato dalla società, e scivola lentamente verso un triste 11° posto finale, dopo quattro anni di piazzamenti prestigiosi. Il Mister delle 100 e passa vitorie in quel campionato avrà collezionato alla fine ben 17 sconfitte. Va meglio nelle Coppe, almeno per modo di dire, perché se in Coppa Italia i viola vengono fermati in semifinale dall’Inter di Mourinho, Eto’o e del Triplete, in Champion’s League si consuma lo scandalo di Klose che segna il gol della vittoria a Monaco per il Bayern in fuorigioco di almeno 10 metri e di Ovrebo (arbitro di quelli che si definiscono “ineffabili”, che non a caso smette di arbitrare il giorno dopo) che convalida sotto gli occhi di Platini, il quale se la ride in tribuna assieme ai dirigenti bavaresi. Al ritorno a Firenze, grande partita dei ragazzi di Prandelli che viene vanificata solo alla fine da un gol di Robben che vale doppio per la regola della trasferta e che porta avanti un Bayern poco meritevole verso una finale che sognare viola non era stato del tutto illecito, almeno per il gioco espresso.
Per la Fiorentina, l’eliminazione scandalosa dalla Coppa con le orecchie è il segnale di smobilitazione. Entra in campo, a piedi uniti, Diego Della Valle, che dimentica il fair play mostrato con l’UEFA dopo il furto di Monaco e aggredisce in pubblico Prandelli, reo di essersi fatto vedere a cena con emissari di altre società, tra cui quel Roberto Bettega che rappresenta la più odiata di tutte, la Juventus. “Prandelli dica che cosa vuole fare!”, tuona Della Valle al Bar Marisa in quella che per lungo tempo sarà di fatto l’ultima sua apparizione a Firenze. Quello che non vuole o forse non può dire è che Prandelli in quel momento vorrebbe probabilmente soltanto onorare il suo contratto (che avrebbe un altro anno di durata), ma la società gli ha già fatto sapere che non è cosa.
La commedia delle parti dura fino alla fine di giugno, anticipando stagioni e vicende anche peggiori come quella che un anno dopo circa avrebbe avuto per protagonista Riccardo Montolivo, per esempio. Poi alla fine ci pensano Marcello Lippi e la sua disgraziata rappresentativa azzurra a risolvere le cose. L’Italia ai Mondiali del Sudafrica va talmente male da farsi eliminare al primo turno e da rendere necessaria una vera e propria rifondazione, come avvenne nel 1974 dopo l’Azzurro Tenebra – per dirla con Giovanni Arpino – dei Mondiali di Germania. In realtà, il contratto con la Fiorentina è già stato rescisso consensualmente dal 3 giugno, tanta era la voglia dei dirigenti viola e del tecnico di voltare pagina e tanta era la fiducia dei dirigenti federali nella squadra che doveva
difendere il titolo mondiale conquistato a Berlino nel 2006.
E così, mentre la squadra gigliata viene affidata ad un "giovane e promettente tecnico" – come si dice sempre in questi casi – a nome Sinisa Mihajlovic (che viene per la verità da una stagione come secondo di Mancini all’Inter pre-Mourinho, da una salvezza faticosa con il Bologna e da una buona stagione a Catania), negli stessi giorni Cesare Prandelli esordisce sulla panchina azzurra perdendo in amichevole dalla Costa d’Avorio di Drogba. Risultato a parte, il compito del Mister di Orzinuovi sembra improbo, tanto appare miserando lo stato in cui è ridotto il calcio italiano a soli quattro anni dalla vittoria mondiale. Anche qui il destino vuole che si muova sulle orme di Fulvio Bernardini, che seppe rifondare la Nazionale nel '74 avviando il ciclo del Mundial '82, ma stavolta non ci sono Antognoni & C. a rendere tutto più facile. A consolarlo, il fatto che in quella che resta la sua città di adozione e residenza, Firenze, sono più i tifosi che hanno preso le sue parti di quelli che si sono schierati a favore di una proprietà che appare sempre più distante, svogliata, francamente incomprensibile. Prandelli per la verità si comporta da signore, limitandosi a dire a quei tifosi che lo fermano che lui a vincere entro il 2011 ci aveva creduto davvero, e che se le cose non sono andate in quel verso la colpa non è sua.
E che avendo lasciato il cuore sulla panchina viola, sogna sempre di ritornarvi prima o poi, dopo quella azzurra. E i tifosi, in quel momento quanto mai depressi da una Fiorentina scialba a cui il suo successore Mihajlovic proprio non riesce a dare gioco e p ersonalità, gli credono. A ottobre, quando l’Italia viene a giocare a Firenze un match di qualificazione agli Europei 2012 contro le Isole Faer Oer, gli tributano applausi e cori riempiendo lo stadio come di rado succedeva negli ultimi anni per la Nazionale. Ma la soddisfazione più grossa se la leva di persona, incrociando un Andrea Della Valle che gli dispensa un paternalistico “Un giorno mi ringrazierai”. “Se vuoi, posso farlo anche subito”, è la pronta risposta del selezionatore azzurro.
Nell’estate del 2012, mentre si consuma lo psicodramma di una Fiorentina salva solo alla penultima giornata grazie ai reprobi Montolivo e Cerci e malgrado gli schiaffi di Delio Rossi non solo a Llajic ma a una Firenze che si era abituata al fair play di Prandelli, quest’ultimo va a compiere un’impresa in Ucraina e Polonia portando alla finale europea quella che sembrava un’Armata Brancaleone senza speranza. In questo torneo Cesare mostra tutti i suoi pregi ed anche i suoi limiti. Il rilancio di stelle cadenti come il vecchio Cassano ed il giovane Balotelli gli consentono di mettere paura alla Invencible Espana all’esordio, poi di cavalcare fino all’ultimo match spazzando via Inghilterra e Germania, quest’ultima soprattutto molto più accreditata degli azzurri.
All’atto conclusivo, però, Prandelli non crede che un Diamanti in buono stato sia meglio di un Cassano acciaccato, e l’insistere sul talento barese e su altri senatori incerottati gli costerà una goleada da parte della Spagna. Che forse avrebbe vinto comunque, ma che mai nella sua storia aveva potuto permettersi quattro gol di differenza con noi.
La vita è strana, e il calcio è una metafora della vita. Quando la nostalgia per l’Uomo della Panchina d’Oro avrebbe dovuto salire a vertici incontrollabili, ecco che arriva – anche lui da Catania, anche lui dopo esser passato in un lampo da Roma – il suo degno successore, colui che non lo farà più rimpiangere e forse lo farà dimenticare.
Vincenzo Montella ha molto in comune con Cesare Prandelli, nel bene e nel male. La Fiorentina che i Della Valle gli mettono in mano è finalmente all’altezza delle aspettative, come lo era quella messa in mano a Prandelli nel 2005. La stagione 2013-14 è destinata a dire molto circa le carriere di Prandelli e di Montella. Si parla in entrambi i casi di Albi d’Oro in cui scrivere il proprio nome, di segni da lasciare nella storia rispettivamente azzurra e viola. Si sogna, per alzare una Coppa di cui nessuno osa per scaramanzia sussurrare nemmeno per sbaglio il nome, in un caso il Maracanà e nell’altro lo Juventus Stadium. Solo che, ormai, per come è fatta Firenze si tratta di due storie differenti. A Prandelli i tifosi augurano ogni bene, ma nessuno lo rimpiange più, da quando la Fiorentina è risorta e sulla sua panchina si è seduto Vincenzo Montella. Qualunque cosa succeda in Brasile ora o tra un anno, giusto o sbagliato che sia per i fiorentini la storia che conta si fa al Franchi, e basta. A Cesare Prandelli restano tanto affetto da parte della gente, qualche vittoria in più di Fulvio Bernardini, e purtroppo uno scudetto in meno.

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