domenica 19 giugno 2016

Il futuro dice Messi. Il cuore dice Batistuta.

Leo Messi come Batigol. Con la vittoria sul Venezuela nei quarti di finale della Copa America del Centenario che si disputa negli Stati Uniti, l’Argentina si candida alla vittoria finale, mentre celebra la Pulce che raggiunge Omar Gabriel Batistuta in vetta alla classifica dei marcatori di sempre della nazionale biancoceleste.
54 reti. Batigol le ha segnate in 77 partite, tra il 1991 ed il 2002. La Pulce ci ha messo un po’ di più, 111 partite. La media gol del Re leone è dunque inarrivabile. Gli anni invece, per ora, sono gli stessi, 11 dall’esordio, ma Lionel ha la possibilità di allungare la serie e diventare il recordman assoluto.
Sono felice di aver eguagliato il record di gol di Batistuta e di aver raggiunto la semifinale”, ha commentato Messi, che sembra finalmente destinato ad essere profeta in patria e a vincere “qualcosa” con la maglia della sua nazionale. Dopo un decennio di trionfi in blaugrana, lo score in biancoceleste della Pulce finora era desolante, con il punto più basso raggiunto nell’anonima finale dei mondiali 2014 giocata e persa in Brasile contro la Germania. Tanto da far dire a un commentatore d’eccezione come Diego Armando Maradona che Leo aveva la classe ma non il carisma, la personalità adatta.
Ne aveva tanta, da vendere, di personalità Omar Gabriel, che ai suoi tempi fece innamorare una nazione, l’Argentina, ed una città, Firenze.Passare questo record un po’ mi ha fatto male”, ha commentato il Re Leone, fino ad ora l’unico che ha eguagliato Diego Maradona nel sentimento del suo popolo. Gli farà male forse cederlo del tutto, quel record, al prossimo gol biancoceleste di Messi. Si consolerà probabilmente con una nuova vittoria dell’Argentina, che non trionfa in Copa America dal 1993.
Quell’anno si giocava in Ecuador. Nella finale contro il Messico gli argentini vinsero 2-1. Le due reti furono…. indovinate di chi? Ma di Batigol, che domande. Da allora, l’Uomo di Reconquista non aveva più avuto intorno un’Argentina alla sua altezza. Aveva avuto in compenso una Fiorentina abbastanza forte da consentirgli di battere il record viola dei marcatori di sempre, 151 reti contro le 150 di Kurt Hamrin, e questo è un record che gli resterà per un bel po’ di tempo.
Due anni prima, in Cile, il ragazzo che giocava nel Boca Juniors era esploso come capocannoniere della Copa che quell’anno si giocava in Cile, e che vide l’Argentina trionfare in finale nientemeno che contro l’avversario di sempre, il Brasile: 3-2, con gol decisivo….. indovinate di chi? Ad osservarlo c’erano gli emissari della Fiorentina di Mario & Vittorio Cecchi Gori, volati laggiù per Diego Latorre e fulminati dal talento emergente del Rombo di Tuono argentino. Cosa successe dopo la finale, lo sanno tutti.

C’è da immaginare che a Firenze, come in buona parte del Sudamerica, nessuno tiferà per i biancocelesti, e per un nuovo gol dell’Uomo di Rosario, Leo Messi, che proietti l’Argentina ad un nuovo successo, 23 anni dopo l’ultimo firmato Batigol.

giovedì 16 giugno 2016

A proposito di Silvia




Leggo l’ultima intervista di Silvia Berti a Firenzeviola.  Il primo impulso è quello di sempre: non commentare. Conosco Silvia da qualcosa come trentasei anni. Mi son sempre trovato in difficoltà a scrivere di lei, per motivi di obbiettività. Avevo due amici di infanzia nell’A.C.F. Fiorentina, una era lei, l’altro era Sandro Mencucci. Quando si tratta di loro, ho sempre preferito non parlare. E’ difficile essere obbiettivi con qualcuno con cui siamo stati ragazzini insieme.
Stavolta faccio una eccezione. Ho visto che i commenti - peraltro scarsi, e mi dispiace perché gli argomenti sollevati da Silvia sono a mio modesto parere più interessanti e utili per il futuro che verrà di tanti giochini e calembour con cui ci si trastulla in questo periodo di inizio estate e di fermo-campionato – sono improntati o a disinformazione o a disinteresse.
La storia di Silvia alla Fiorentina è, fino al 2009, la storia della Fiorentina. La storia del suo licenziamento è la storia di come la Fiorentina ha perso, stravolto se stessa. Lo dico senza paura di risultare non obbiettivo. Sapendo come sono andate realmente le cose, e non potendone parlare per ovvi motivi di riservatezza, mi permetto di dire che Silvia è stata fin troppo oggettiva, fin troppo onesta nel parlare della sua vecchia società e dei suoi ex datori di lavoro. Fin troppo signora.
Di aneddoti ne conosco tanti, anche più significativi di quel “Non possiamo atterrare a Pisa?” proferito da quel Mario Cognigni il cui avvento, deciso da una proprietà sempre più distratta, biliosa, rancorosa (loro, sì) e economicamente interessata, ha voluto dire – in parallelo con la brusca o progressiva dismissione di personaggi come Giovanni Galli, Silvia Berti, Cesare Prandelli, Sandro Mencucci – la fine di quella Fiorentina che aveva in progetto davvero di vincere, a Firenze, per Firenze e con i fiorentini. Per ridursi a vivacchiare, a gestire partite di giro, a realizzare plusvalenze.
Non sono gli aneddoti che parlano per Silvia da un lato e per chi l’ha licenziata dall’altro. Sono i risultati. Fino al 2009 la Fiorentina aveva un capitale di simpatia immenso in termini di immagine (malgrado nel frattempo avesse vissuto i giorni di Calciopoli). Dopo il 2009, quel capitale è stato sperperato in maniera sistematica, con la nonchalance di chi eredita una cantina da un parente estinto e sostanzialmente dei cimeli che vi trova non gliene frega nulla. Non vede l’ora di buttare via tutto, per metterci le proprie, di cianfrusaglie. E pazienza se lì dentro ci sono i ricordi di una vita intera. Una vita che meritava eredi migliori.
Diego e Andrea Della Valle forse riusciranno a rimanere in classifica di Forbes fino alla fine dei loro giorni. Ma non entreranno mai nella storia né di Firenze né della Fiorentina. E resteranno nella memoria di questa comunità come due persone che sono passate in riva d’Arno, sotto quei monumenti che tutto il mondo ammira, e non hanno alzato la testa nemmeno mezza volta a guardarli. Forse non sanno nemmeno che esistono, dopo quattordici anni.
Silvia Berti nella storia della Fiorentina c’é. Ci entrò nell’estate del 2006, quando a Folgaria ad accogliere i giocatori stravolti dalla notizia della retrocessione in B per Calciopoli c’erano solo lei e Cesare Prandelli. Lo Stato maggiore, come dopo l’8 settembre, era scappato. Non a Brindisi ma a Casette d’Ete. Loro due erano lì. Il campionato della rimonta da -15 nacque lì, da quella donna e quell’uomo.
Ci entrò, nella storia, anche rispondendo male a Cognigni a proposito dell’atterraggio a Pisa. “E’ la nostra gente”. Parole che vorremmo tutti mettere in bocca ai nostri eroi. Non le ha dette Antognoni, non le ha dette Rui Costa, non le ha dette Batistuta. Le ha dette Silvia Berti. Quel giorno, con quelle parole, so per certo che Silvia firmò la sua condanna a morte, come addetta stampa della A.C.F. Fiorentina. Al pari dei nomi che ho elencato sopra, nessuno metterà mai la sua foto nella sede della Fiorentina, almeno finché restano gli attuali proprietari, al posto dei prodi Ariatti e Blasi.
Le foto giuste, ognuno di noi ce le ha stampate nella memoria. Quella allo stadio di Silvia abbracciata a Cesare dopo il ritorno da Torino e la qualificazione alla Champion’s con la rovesciata di Osvaldo non ce la toglie nessuno. E’ appesa nei nostri cuori.

mercoledì 15 giugno 2016

NON PUO’ PIOVERE PER SEMPRE




Stendiamo un velo necessariamente pietoso sulle onoranze funebri a Giuseppe Virgili detto Pecos Bill, uno degli ultimi eroi superstiti del primo scudetto viola, almeno fino a cinque giorni fa. Il figlio Aurelio, nel ringraziare la città di Firenze per aver ricambiato negli ultimi sessant’anni l’affetto che il padre le aveva dimostrato e non solo sul campo, non ha avuto parole tenere per l’A.C.F. Fiorentina. Se le cose stanno come ha raccontato (nemmeno un telegramma di cordoglio) – e non c’è motivo per non credergli – non poteva averne.
La lista si allunga. Da Gratton ad Amarildo, sono tanti coloro che hanno atteso invano il telegramma della Fiorentina, direttamente o per l’interposta persona degli eredi. Telegramma che, solitamente, è stato come il famoso bonifico di Vittorio proveniente dalla banca colombiana. Aveva le stesse probabilità di giungere a destinazione.
Il fatto è, l’abbiamo scritto più volte e lo ripeteremo all’infinito, che da quando l’A.C.F. decise di fare a meno dei servigi di Silvia Berti, il settore comunicazione e public relations della società viola ha funzionato pio meno come l’attività neuronale di un malato sofferente di dislessia e autismo insieme. Ora, finché si fanno i complimenti al Benevento invece che al Leicester di Ranieri, poco male. Claudione, di una certa Firenze, se n’è fatto una ragione ormai da tempo. Ma Virgili è un discorso diverso. Pecos Bill è la grande storia della Fiorentina. E’ come la medaglia che ti lasci rubare alla mostra in Via San Gallo. E’ uno sputo in faccia alla città e a ciò che ha di più caro.
Ce ne faremo una ragione anche noi. Tutto passa, diceva un grande filosofo greco dell’antichità. E’ crollata la Muraglia Cinese, sono finiti i Grandi Imperi, finirà anche questa occupazione di suolo pubblico che dal 2002 vede una proprietà moralmente assenteista (e negli ultimi tempi anche materialmente) dis-interessarsi di una delle istituzioni cittadine più importanti: la Fiorentina. Che non è né A.C. né A.C.F. E’ la Fiorentina e basta. La nostra squadra del cuore. E guai a chi ce la tocca.
L’abbiamo scritto più volte. Alienare una squadra di calcio è diventata negli ultimi anni faccenda complicata. L’esame dei libri contabili, delle partite e delle situazioni contrattuali è cosa che richiede tempo, staff di professionisti e di esperti di comunicazione (e qui ricasca il solito asino, povera bestia). Quando tutto va bene, ma proprio tutto, possono volerci anche un paio d’anni. Se Diego e Andrea avessero in animo di vendere, cominciano ora e finiscono probabilmente dopo la tramvia di Nardella. Se invece sono ancora in attesa di qualcosa, e non hanno ancora deciso cosa fare da grandi, allora lo scenario cambia. Ognuno si figuri il proprio, uno vale l’altro.
La sensazione è che questi imprenditori delle calzature sono venuti su con un certo sistema, e con quel sistema andranno giù. Diego Della Valle è stato ed è un prodotto del Partito Democratico, e resterà patron della Fiorentina fintanto che a Firenze ci sarà un determinato sistema di potere, con determinati referenti. Che poi aspetti la Mercafir, l’area di Castello o il prossimo passaggio della Cometa di Halley, fa tutto parte delle leggende metropolitane, e dello sbarcamento di lunario di chi deve riempire di inchiostro pagine di giornale ogni giorno. Chi lavora nell’area Mercafir sa che – magari sottovoce – tutti dicono che lo stadio in quella zona è una bufala. E’ un gioco delle parti, una commedia dell’arte. Simil baruffe chiozzotte (meno divertenti di quelle di Goldoni, a questo punto) con cui Comune e Fiorentina si reggono botta a vicenda, al di là delle apparenze. Perché nulla cambi, nessuno farà una mazza, ma darà la colpa a quell’altro, per capirsi.
Questo è il quadro. Su cui va dipinto il calciomercato della Fiorentina, perché tra due mesi si ricomincia. Mi si chiede che valore può avere il ritorno di Corvino in sella alla direzione sportiva. La risposta è abbastanza semplice, ne abbiamo anche in questo caso già accennato. Per i Della Valle, Corvino è un bene rifugio. Questo, secondo il calendario cinese (ma i cinesi purtroppo non si vedono ancora all’orizzonte), è l’Anno delle Nozze con i Fichi secchi. E quindi, chi meglio di lui? Dei diesse di Fascia Fichi Secchi il Corvo è il migliore. Pradé non era più capace di andare a prendere giocatori armato solo di discorsi. Pantaleo invece è capacissimo. Qualcosa per settembre combina di sicuro. Che poi sia un qualcosa al massimo da settimo, ottavo posto è un altro discorso. Del resto, stiamo a discutere se prendere Euro-Giaccherini al costo di 1,5 milioni di euro (il Sunderland si accontenta di poco), o se riprendere un giocatore che a ben guardare è già nostro, perché la Roma non ha nessuna voglia di finire di pagarcelo: Adem Llajic. Dove si voglia andare a parare in questo modo, ognun decida per conto proprio.
Mi si chiede anche che convenienza ha Corvino a fare il cavallo di ritorno, ed in queste condizioni di magra.  Semplice: il Corvo è in una botte di ferro. L’hanno mandato via per infame quattro anni fa, e adesso lo richiamano – se son vere le leggende – dicendogli. “Torna, questa è casa tua!”. Nemmeno Mario Merola. Chiaro che se torna in queste condizioni ha garanzie, prima di tutto quella che d’ora in avanti se le cose non andranno bene i capri espiatori saranno altri. Quello che farà lui è ben fatto di default.
A quanto ci risulta, se i Della Valle sono stati con lui sette anni, è perché ci sono stati bene. E lui pure. Sono due coniugi il cui matrimonio funzionava, e dopo una scappatella e una breve separazione, con annessa sperimentazione di altri partner rivelatisi insoddisfacenti, si rimettono insieme. Tanto, semmai, a finire sodomizzata è sempre e soltanto la Fiorentina. La nostra squadra del cuore.

P.S. il titolo è una citazione del celeberrimo film Il Corvo. Ogni riferimento….giudicate un po’ voi.

domenica 12 giugno 2016

Il crepuscolo degli Dei

Giuliano Sarti lotta contro la commozione, mentre ricorda Giuseppe Virgili, un altro che se n’è andato dei suoi amici e compagni di quello spogliatoio fantastico che nel 1956 diventò davvero vanto e gloria di Firenze, e meraviglia del resto del mondo.
Siamo rimasti in pochi, è un’angoscia profonda quando qualcuno se ne va”. Pochissimi, Giuliano. La legge inesorabile della vita non risparmia nemmeno gli eroi dello sport. Sono passati sessant’anni da quello scudetto favoloso conquistato con trentatre partite utili consecutive (e peccato per quella trentaquattresima….) e dodici punti di vantaggio sulla seconda, un Milan che non era affatto male. Cinquantanove dalla finale di Madrid dove la Fiorentina contese ad un grande Real la seconda edizione della Coppa dei Campioni.
All’appello rispondono in pochissimi. Giuliano Sarti di Castello d’Argile, classe 1933, è uno di questi. Farà 83 anni il 2 ottobre. A festeggiarlo, ci si augura, ci sarà ancora Ardico Magnini, il terzino di Pistoia, 88 anni sempre ad ottobre, il 21.
Sergio Cervato, l’altro terzino, non c’è più. Nato a Carmignano di Brenta il 22 marzo 1929, si è spento a Firenze il 9 ottobre 2005, dopo che una lunga malattia l’aveva costretto ad interrompere la sua carriera di allenatore, che aveva compreso anche le giovanili viola.
Anche Beppe Chiappella era stato allenatore dopo essere stato il capitano di quella Fiorentina che si era cucita il primo scudetto. A San Donato Milanese era nato il 28 settembre 1924, a Milano si era spento il 26 dicembre 2009. Firenze aveva fatto in tempo a tributargli nuova gratitudine dopo che nel 1978, annus horribilis, aveva salvato la squadra da una retrocessione quasi sicura, subentrando in panchina a Carletto Mazzone.
Lo stopper Francesco Rosetta invece era di Biandrate, nel novarese, dove era nato il 9 ottobre 1922. Nel novarese era tornato a vivere e a morire, l’8 dicembre 2006. Alla Fiorentina si era alternato con Chiappella a indossare la fascia di capitano. Nel 1957 Enrico Befani gli aveva addirittura conferito una medaglia per i servigi resi alla società ed alla squadra.
Armando Segato era di Vicenza, dove era nato il 30 maggio 1930. Nato ala sinistra, Bernardini lo aveva inventato come mediano. Dopo l’addio al calcio agonistico era diventato allenatore. La sua carriera era stata stroncata dal solito male incurabile che se lo era portato via il 19 febbraio 1973, qui a Firenze dove viveva.
Miguel Angel Montuori veniva da Rosario, in Argentina. Scoperto da padre Volpi, un religioso talent scout di calciatori a tempo perso che lo segnalò a Befani, fu uno dei fenomeni della Fiorentina del primo scudetto e dei quattro secondi post successivi, con 72 reti complessive. La sua carriera si era chiusa anzitempo per un infortunio ad un occhio in amichevole. Senza fortuna come allenatore né in Italia né in Cile, era tornato a stabilirsi a Firenze nel 1988. Allenava i giovani dell’Isolotto, finché il male non si era portato via anche lui, 4 giugno 1998.
Julio Botelho detto Julinho era nato a San Paolo del Brasile il 29 luglio 1929, ed a San Paolo era morto l’11 gennaio 2003. In una stanza di cui, si venne a sapere, aveva fatto dipingere i muri di viola. Nella sua bara secondo la sua espressa volontà fu deposto il labaro della Fiorentina. Fu il più grande giocatore brasiliano della generazione prima di Pelé, uno dei più grandi in assoluto del suo tempo. Vittima della saudade carioca quando era a Firenze, vittima di quella fiorentina una volta ritornato in patria.
Giuseppe Virgili era di Udine, dove era nato il 24 luglio 1935. Si è spento all’Ospedale Maggiore di Careggi due giorni fa. Era stato soprannominato Pecos Bill da Gianni Brera, in omaggio ai giornaletti western che come tutti i ragazzi della sua generazione aveva divorato. Anche i portieri avversari aveva divorato. 21 delle 59 reti con cui la Fiorentina conquistò lo scudetto nel 1956 erano sue.
Maurilio Prini veniva dalle Sieci, che il 17 agosto del 1932, giorno in cui era nato, erano già una frazione del Comune di Pontassieve. Prini era centrocampista offensivo, con il vizio del gol. Sua la rete, tra le altre, che eliminò la Stella Rossa di Belgrado in semifinale di Coppa Campioni 1957, e che spedì i viola al Santiago Bernabeu a giocarsi la finale con il Real. E’ morto a Firenze il 22 aprile 2009.
Guido Gratton era di Monfalcone, dove aveva visto la luce il 23 settembre 1932. Quella luce che si era spenta prematuramente a Bagno a Ripoli il 26 novembre 1966, quando i rapinatori introdottisi in casa sua per sottrargli l’incasso del circolo tennistico che dirigeva avevano fatto fuoco, stroncandogli la vita. Per una volta ancora dai tempi gloriosi del Rinascimento e del Risorgimento, la Basilica di Santa Croce era stata giustamente concessa alla celebrazione delle sue esequie.
Claudio Bizzarri, attaccante di riserva di quella leggendaria Fiorentina, c’è ancora. E’ nato a Porto Civitanova il 21 dicembre 1933 ed ha la stessa età di Sarti. C’è ancora anche Giampiero Bartoli, difensore nato a San Giovanni valdarno il 1° aprile 1934, così come Sergio Carpanesi, centrocampista di La Spezia nato il 22 marzo 1936. E’ ancora tra noi anche Alberto Orzan, centrocampista di San Lorenzo di Mossa, nato il 24 luglio 1931.
Non c’è più il portiere di riserva Riccardo Toros, nato e morto a San Lorenzo Isontino (1 dicembre 1930 – 27 giugno 2001). Né Bruno Mazza, centrocampista nato a Crema il 3 giugno 1924 e morto a Milano il 25 luglio 2012. Né Aldo Scaramucci, mediano di Montevarchi, dove era nato il 24 febbraio 1933 ed é morto il 10 gennaio 2014.
Fulvio Bernardini, fuoriclasse del nostro calcio sia come giocatore (talmente forte che Pozzo non lo convocò ai vittoriosi mondiali del 1934 per non sconvolgere gli equilibri di squadra) sia come allenatore (la cui carriera decollò proprio con il sorprendente scudetto viola), era di Roma. Nato il 28 dicembre 1905 e scomparso il 13 gennaio 1984, dopo aver rifondato anche la Nazionale italiana, avviandola verso il titolo mondiale conquistato con Bearzot in panchina.
Il Corriere dello Sport del 7 maggio 1956
Enrico Befani, presidente senza bacini di utenza ma con una grande, sconfinata voglia di vincere e passare alla storia di Firenze oltre che a quella della natìa Prato, era del 1910. Scomparve nel 1968, pochi mesi prima che il suo successore Nello Baglini regalasse a lui e a tutti i tifosi la gioia del secondo scudetto.

Questa è la storia. Gli eroi son tutti giovani e belli. E come tutti gli altri, invecchiano e ci abbandonano, lasciandoci con il cuore gonfio di tristezza. Come se fossimo stati con loro, in quei giorni di gloria, in quello spogliatoio dove – come dice Giuliano Sarti – entravano soltanto amici. E uomini veri.

dedicato a mio padre

martedì 7 giugno 2016

Va' dove ti porta il cuore



Una cosa va detta. Questi Della Valle in quattordici anni di gestione in accomandita della Fiorentina qualche trucchetto l’hanno imparato. I misteri della scienza della comunicazione per loro restano tali, come le tecniche segrete di imbalsamazione contenute nel Libro dei Morti dell’Antico Egitto o come le tecniche di lavorazione della terracotta policroma dei fratelli Della Robbia per noi moderni.
Ma insomma, qualche espediente da illusionista di fine Ottocento l’hanno appreso. Bisogna dar loro atto, stavolta non era semplice andar sopra ai rumorosi mugugni di una porzione sempre crescente della “clientela” viola. Quest’anno l’hanno combinata grossa. Primi (o quasi) alla fine del girone d’andata, hanno fatto un girone di ritorno come il secondo quadrimestre che facevamo da ragazzi alle superiori, l’anno dell’esame di maturità. Remi in barca, e arrivederci a giugno.
Si, ci voleva qualcosa, qualche trucco tirato fuori dal cilindro del prestigiatore. Stavolta un piatto di tagliatelle ai funghi elargito alla stampa cittadina non sarebbe bastato. Né il rotolare di un paio di teste eccellenti, peraltro colpevoli come quei ministri che nelle prime monarchie costituzionali si prendevano le colpe (ed i relativi linciaggi) dei rispettivi sovrani.
Tecniche di comunicazione di massa. Tecniche di gestione aziendale. Chiamatele come volete. Ma la materia è la stessa, e la destinazione dove porta , anche.
Ce li immaginiamo, riuniti nel salotto buono di Casette d’Ete. Con il fido Cognigni a prendere appunti. Il minore, più scoraggiato del solito. Più di quattr’anni fa, dopo i fischi all’ultima giornata, quella del salvataggio in extremis con gol di Cerci al Lecce. Più di sei anni fa, quando fece lo spiritoso con Prandelli nel frattempo scaricato alla Nazionale: “Un giorno mi ringrazierai”. E Prandelli: “Se vuoi posso farlo già adesso”.
Il maggiore, con un bicchiere di brandy in mano, in piedi accanto al camino (è un principio d’estate più freddo del solito), interrompe il silenzio bruscamente: “Qui ci vuole il nome giusto. L’uomo che metta a tacere la piazza, e gli abbonati in coda al botteghino”.
Vediamo un po’. Antognoni no. Antognoni non è manovrabile, non si fa dire sul muso “Lei per chi lavora? Per noi? E allora faccia quello che le viene detto”, come sono abituati i nostri dipendenti.
Batistuta? Figurarsi. Ci manda a remengo, anzi à los remengos, al primo screzio. Poi quello è uno che ha l’Argentina in mano, quando sarà il momento. Figurarsi se viene a confondersi qui a Firenze, in mezzo a politicanti e figuri d’ogni sorta. Tutti inconcludentes, come dicono al suo paese.
Rui Costa? Proviamoci. O almeno proviamo a far dire alla stampa che ci stiamo provando. E’ una bufala, si vede lontano un miglio. Figurati se uno che è in carriera al Benfica (no, voglio dire, avete sentito bene? BENFICA, EUSEBIO, DUE COPPE CAMPIONI NEL PALMARES, LA STORIA DEL CALCIO) viene a perdere tempo qui, idem come quello sopra. Sì, sì, Firenze nel cuore. Ce l’hanno tutti Firenze nel cuore. Da turisti, per una settimana. Io non riesco a starci per più di mezza serata, dopo mi sono rotto le scatole e devo tornare qui, a Casette d’Ete.
Martin Jorgensen….ecco, qui forse ci siamo. Firenze nel cuore, ok, Fiorentina la mia casa, ok, la Curva non si dimentica, ok, il calcio che conta (!!!), ok……proceda, ragionier Cognigni, questo è uno che si è bell’e rotto le scatole di guidare pullman. Due piotte ed è nostro. Lo mettiamo a fare da parafulmine e paratifo. Nemmeno Beniamino Franklin.
Risolto il nome del paravento, ehm, dell’uomo di collegamento tra la società e la piazza da mettere al posto del povero Guerini (non servirà a un’ostia, ma almeno c’è qualcuno da mandare in conferenza stampa, se no tocca a noi, sai che palle?), adesso parliamo di cose serie. Ha telefonato a Pantaleo?
Cognigni si alza, agitato. Si, dottore, ho fatto leva sulla mozione degli affetti, come mi aveva detto lei. “Torna a casa”, gli ho detto. Non so se mi è scappato anche un “Lassie”, speriamo di no. Ma credo l’abbia presa bene. Bestemmie almeno non ne ha dette. Non ha detto “nonno”.
Tre giorni dopo, Cognigni annuncia Corvino, Corvino annuncia Frejtas e forse anche Jorgensen. La Fiorentina che non caccia uno scudo per i giocatori d’alta classifica, ne caccia a volontà per mettere a stipendio manager su manager. D’alta quota anche loro, per carità. Ma allora, di grazia, perché in quella bacheca polverosa sono quattordici anni che non si mette a dimora più niente? Anzi, è tanto se non si fregano anche quello che c’è?
Teoria e tecnica della comunicazione con il tifoso. Da stamani tutti sono a compulsare nervosamente di nuovo i giornali sportivi, manco fossero i Bignami di quando si studiava. Siamo già a scorrere i nomi di tutto l’album delle figurine.
Una domanda: ma Nkulu non lo doveva prendere il Milan?

lunedì 6 giugno 2016

A volte ritornano



Settimana complicata, trascorsa in un susseguirsi di momenti tristi, e densi di significato, come ad esempio l’ultimo saluto ad uno dei più grandi campioni dello sport di tutti i tempi, un grand’uomo anche fuori dal ring, uno di quelli che cambiano il mondo e lo lasciano migliore di come l’hanno trovato. O come l’ultimo saluto ad un pilota di moto da corsa, scomparso ad un’età in cui non dovrebbe nemmeno essere concepibile ricevere onoranze funebri.
Settimana trascorsa anche da un’impresa sportiva all’altra, compiute da campioni veri, da numeri uno che con un colpo di pedale o di manetta del gas hanno saputo capovolgere un destino che sembrava irrimediabilmente avverso. Vincenzo Nibali e Valentino Rossi, finché non suona la campana andate. Il tempo dà ragione sempre ai migliori.
Settimana di elezioni amministrative, e di preparativi per un Europeo di calcio che si preannuncia da anno zero per la nostra Nazionale. Ops, pardon, a Firenze a parlare di Nazionale si rischia di fare la fine di Fra Girolamo Savonarola (per chi non ricordasse, c’è una targa in Piazza Signoria). La Fiorentina è la Nazionale di una città ormai purtroppo sempre più ripiegata su se stessa, che vive le sue glorie passate come simboli di rituali di cui si è perso il senso reale, che ha perso la formula magica che possedeva una volta per produrne di nuove.
Settimana dunque con più carne al fuoco di quanta se ne possa digerire in breve tempo. Diventa difficile rituffarsi così, d'emblée, negli splendori e miserie della nostra Madame, la Fiorentina. Anche perché a tuffarsi senza aver controllato sotto, c’è il rischio di fare la fine di quelli che si buttano nelle piscine vuote.
Parla Corvino. Già di per sé un evento. L’altra volta alle sue conferenze stampa c’era la fila, più che a sentire Wanda Pasquini nelle vecchie, care commedie in vernacolo. Pantaleo è stato l’unico nella storia del calcio capace di fare concorrenza a Dario Fo ed al suo “gramelot”. Parole che prima di lui non esistevano e dopo di lui danno lavoro a schiere di esegeti del testo. Che avrà voluto di’?
E’ il momento degli exit poll. Proviamo a farne uno sul futuro prossimo viola. Al netto delle dichiarazioni del nuovo direttore generale, per analizzare le quali  necessita il testo a fronte, ci sono considerazioni di buon senso. Se un cavallo come Corvino è di ritorno, vuol dire che ha ottenuto garanzie. Per sé, intendiamo dire. “Questa volta quello che faccio è ben fatto, a prescindere”. “Ma le pare, direttore, questo è il portafoglio (si fa per dire), faccia come meglio le riesce, l’importante è che nessuno venga a romperci le scatole, nessuno fischi, nessuno diserti lo stadio”.
Firenze è una città dove ormai ci si accontenta, e se proprio qualche disturbo di coscienza sopravviene, ci si isola dal resto del mondo. Noi siamo Firenze. Basta trovare altri undici ragazzotti che, come si suol dire, “ci sentono per la maglia”, e il gioco è fatto. Poi magari arrivi sesto o settimo anche l’anno prossimo, ma è un sesto o settimo diverso, “gome una Gembionz”. Che sei arrivato ad un passo dalla Europa League due volte e che quel passo poi ti sei sempre regolarmente rifiutato di farlo, non se lo ricorda più nessuno. Il tifoso non vuole pensieri, disse una volta un noto giornalista locale.
Corvino, che bene o male almeno undici ragazzotti alla ripartenza del campionato dovrà iscriverli, è uomo dei tempi lunghi. Delle trattative estenuanti, e magari su quattro o cinque binari in contemporanea. Ci sono anche gli Europei a complicare la vita a chi fa mercato. E’ il contrario della frutta, adesso i prezzi sono da fine giornata, tra un mese saranno tutti da primizie.
Viviamo tempi oscuri, combattuti tra Vecino e Gabbiadini. Sarà un’estate lunga, per certi versi interminabile, come quelle che vivevamo da ragazzini tra la fine di un anno scolastico e la ripresa del successivo. Con la differenza che allora ci divertivamo un monte, e di tornare a scuola a ottobre non ne aveva voglia nessuno. Adesso, alla ripresa del campionato a fine agosto ci sarà gente che prende d’assalto i pronti soccorsi con crisi d’astenia. Tifosi sull’orlo di una crisi di nervi.