Ugolino Ugolini non era da meno dei suoi due
predecessori Befani e Baglini, né come passione né come capacità. Avrebbe anche
lui al pari di loro voluto costruire un ciclo vincente e lasciare il suo nome
nella storia della Fiorentina insieme a qualche trofeo importante nella
bacheca. La sorte gli voltò le spalle ben presto, con la recessione economica
che gli tolse capacità di spesa e con la sfortuna che gli tolse alcuni dei
frutti più promettenti del vivaio, che costituivano l’ossatura della seconda
generazione della linea verde viola.
La sua presidenza in pratica si
svolse tra una mancata retrocessione e l’altra. Nel 1971 il “mago” Oronzo
Pugliese salvò i reduci di uno scudetto ormai lontano all’ultima giornata,
complice l’Inter che condannò la diretta rivale Foggia. Baglini passò la mano a
Ugolini, che per sette anni tentò di eguagliare il predecessore, perdendo lungo
la strada i pezzi migliori: Guerini, Roggi, Orlandini. Nel 1978 il vecchio
soldato Chiappella salvò ancora la patria viola, complice di nuovo l’Inter che
condannò di nuovo il Foggia sempre all’ultima giornata. Ugolini passò la mano a
due luogotenenti, Melloni e Martellini, e due anni dopo la società ai Pontello.
Tra queste date tanti sogni e
tanta sfortuna. Ed un solo trofeo, la Coppa Italia del 1975, arrivata dopo
dieci anni di partecipazioni opache. La FIGC aveva deciso, per rendere più
interessante la manifestazione, di far disputare il torneo tramite sette gironi
all’italiana alle cui qualificate si sarebbe aggiunta la detentrice. Quell’anno
si giocavano all’italiana anche quarti e semifinali. La Fiorentina si qualificò
a spese di Ternana, Foggia, Palermo ed Alessandria, ed al turno successivo ebbe
la meglio su Torino, Roma e Napoli. Dall’altra parte uscì fuori il Milan,
vincitore su Juventus, Inter e Bologna.
Il 28 giugno 1975 all’Olimpico di
Roma alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, Milan e
Fiorentina scesero in campo per la coccarda tricolore. Tra i rossoneri stava
giungendo a conclusione la gloriosa carriera del golden boy Gianni Rivera, in cerca delle ultime vittorie da
aggiungere ad una lunga serie. Tra i viola cominciava la carriera di colui che
sarebbe stato designato come suo successore, che ne aveva preso il posto in
Nazionale e che - con iperbole altrettanto immaginifica di quelle con cui il
fuoriclasse milanista era stato appellato - era stato definito il ragazzo che giocava guardando le stelle,
Giancarlo Antognoni.
Finì 3-2 per la Fiorentina, con
reti di Casarsa, Guerini e Rosi, a cui risposero Bigon e l’ex Chiarugi. Il
giovane capitano viola alzò la coppa davanti al vecchio capitano rossonero (che
si sarebbe rifatto nel 1977 prima di ritirarsi a quasi 40 anni). Superchi, Beatrice, Roggi, Guerini,
Pellegrini, Della Martira, Caso, Merlo, Casarsa, Antognoni, Desolati furono
gli ultimi giocatori della Fiorentina a portare a casa un trofeo importante prima
di un black out che sarebbe durato più di vent’anni. L’anno dopo, il trofeo
anglo-italiano e la Mitropa Cup (vecchio cimelio di un calcio che fu) chiusero
definitivamente il discorso vittorie prima che si passasse ad occuparsi di
altre questioni, tipo la salvezza dalla serie B.
Passarono giorni, mesi, anni,
come fogli di un calendario ingiallito ed interminabile. Passò Ugolini, passarono
i Pontello, passò Mario Cecchi Gori. Antognoni fu negato alla Juventus, Baggio
invece gli fu concesso insieme alle illusioni di vittoria degli anni 80. Arrivò
un produttore cinematografico di fama mondiale, un infarto se lo portò via
mentre la squadra era in B, finalmente retrocessa soprattutto grazie agli
sforzi del figlio del produttore stesso. Il minimo che poteva fare Vittorio
Cecchi Gori per ripulire dal fango il labaro di una squadra che era retrocessa
una volta sola, nel 1938, era vincere qualcosa.
Nel 1996 la formazione della Fiorentina
recitava Toldo, Carnasciali, Padalino,
Amoruso, Serena, Schwarz, M. Orlando, Cois, Rui Costa, Baiano, Batistuta. Una
delle più forti di sempre, entrata di diritto tra le Sette Sorelle che
lottavano stabilmente per scudetto e Champion’s League. In campionato finì
terza dietro a Milan e Juventus, in Coppa fu una marcia trionfale. 2-1 ad Ascoli,
5-0 a Lecce, nei quarti Palermo battuto 1-0 in casa e 2-1 in trasferta. In
semifinale 3-1 all’Inter al Franchi, al ritorno vittoria 1-0 a San Siro con
eurogol di Batistuta, pallonetto in uscita su Pagliuca dopo un contropiede
travolgente.
In finale c’era l’Atalanta, che
aveva avuto ragione di Juventus, Cagliari e Bologna. All’andata a Firenze ci
pensò ancora Batistuta a dare la vittoria ai viola. Al ritorno a Bergamo di
tifosi ne andarono tanti, ma molti di più erano quelli che rimasero al Franchi (oltre
30.000 persone secondo le stime) ad aspettare la squadra che tornò nella notte,
con la Coppa Italia sul pullman. Amoruso e Batistuta avevano regolato la
questione in Lombardia con un 2-0 che valeva la quinta coccarda sulla bandiera
viola. Pochi mesi dopo, Batistuta sbancò San Siro assegnando la Supercoppa
italiana per la prima volta nella storia alla vincitrice della Coppa contro la
vincitrice del campionato.
Quella Fiorentina aveva sangue
talmente buono che la sua corsa l’anno seguente si arrestò soltanto in
semifinale di Coppa delle Coppe di fronte ad un Barcellona che aveva poco o
nulla da invidiare a quello attuale, ma soprattutto grazie ad un arbitro, lo
svedese Frisk, che aveva poco o nulla da imparare da Ovrebo. Purtroppo, i conti
della società non erano così brillanti come il gioco della squadra, e allora
dopo aver sfiorato lo scudetto nel 1999 l’Invencible
Armada viola cominciò a dissolversi. Batistuta finì a Roma, Cecchi Gori
finì sul banco d’accusa della Co.Vi.Soc.
Come in ogni tragedia greca che
si rispetti, agli eroi viola toccò un’ultima grande impresa prima dell’epilogo
per mano di un destino infausto. Nel 2001 la Coppa Italia la cominciò Fatih
Terim e la finì Roberto Mancini. E la finì alla grande. Negli ottavi i viola si
vendicarono della Salerntana e della trappola UEFA del 1998, la bomba carta che
dette la vittoria al Grasshoppers. 5-0 a Salerno e 3-1 a Firenze. Nei quarti
Brescia battuto 6-0 in casa e 3-1 fuori. In semifinale toccò al Milan chinare
il capo, 2-2 a Milano e 2-0 a Firenze, con un Rui Costa che fece di tutto per
non far sentire l’assenza di Batistuta segnando due gol.
Toldo, Repka, Adani, Pierini, Moretti, M. Rossi, Amaral, Di Livio, Nuno
Gomes, Rui Costa, Chiesa. Toccò a Manuel alzare l’ultima Coppa viola la
sera del 13 giugno 2001, dopo il pareggio casalingo per 1-1 con il Parma che
sommato alla vittoria per 1-0 in Emilia aveva sancito la sesta vittoria della
Fiorentina. Nel 1999 avevano sorriso gli emiliani, 1-1 a casa loro, 2-2 a casa
nostra e Coppa all’ex Malesani, malgrado quell’anno la Fiorentina fosse davvero
forte, in testa alla classifica del campionato fino alla partenza di Edmundo
per il Carnevale di Rio. Stavolta piansero loro, almeno nell’immediato. Perché
poco più avanti toccò di nuovo a Firenze, con la messa in mora di Cecchi Gori,
la vendita forzata di Rui Costa e Toldo e la rapida discesa nell’abisso del
fallimento.
Tredici anni dopo siamo ancora
fermi a Manuel Rui Costa che sorride felice accanto alla sig.ra Valeria Cecchi
Gori. A quella sesta ed ultima vittoria a cui per ora una nuova proprietà
venuta da fuori non ha saputo aggiungere altro. Zero titoli, almeno fino a
sabato prossimo. Quest’anno i sogni di gloria in campionato si sono spenti
sugli infortuni di Mario Gomez e Giuseppe Rossi, in Europa sulla punizione di
Andrea Pirlo. Ma in Coppa siamo alla decima finale, conquistata battendo il
Chievo negli ottavi, il Siena nei quarti e l’Udinese nel doppio confronto in
semifinale tra i comproprietari di Cuadrado che il 3 maggio all’Olimpico non ci
sarà, perché squalificato. Il Napoli arriva favorito, dopo aver eliminato la
Roma, anche se con qualche acciacco anch’esso. Ma come si diceva all’inizio in
una partita secca ci sta tutto. E il terzo posto nell’Albo d’Oro a pari merito
con l’Inter è lì che aspetta. E’ tanto che al labaro viola non viene aggiunto
più niente.
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