venerdì 1 gennaio 2016

Una Coppa tinta di viola: gli anni dei sogni infranti

Ugolino Ugolini non era da meno dei suoi due predecessori Befani e Baglini, né come passione né come capacità. Avrebbe anche lui al pari di loro voluto costruire un ciclo vincente e lasciare il suo nome nella storia della Fiorentina insieme a qualche trofeo importante nella bacheca. La sorte gli voltò le spalle ben presto, con la recessione economica che gli tolse capacità di spesa e con la sfortuna che gli tolse alcuni dei frutti più promettenti del vivaio, che costituivano l’ossatura della seconda generazione della linea verde viola.
La sua presidenza in pratica si svolse tra una mancata retrocessione e l’altra. Nel 1971 il “mago” Oronzo Pugliese salvò i reduci di uno scudetto ormai lontano all’ultima giornata, complice l’Inter che condannò la diretta rivale Foggia. Baglini passò la mano a Ugolini, che per sette anni tentò di eguagliare il predecessore, perdendo lungo la strada i pezzi migliori: Guerini, Roggi, Orlandini. Nel 1978 il vecchio soldato Chiappella salvò ancora la patria viola, complice di nuovo l’Inter che condannò di nuovo il Foggia sempre all’ultima giornata. Ugolini passò la mano a due luogotenenti, Melloni e Martellini, e due anni dopo la società ai Pontello.
Tra queste date tanti sogni e tanta sfortuna. Ed un solo trofeo, la Coppa Italia del 1975, arrivata dopo dieci anni di partecipazioni opache. La FIGC aveva deciso, per rendere più interessante la manifestazione, di far disputare il torneo tramite sette gironi all’italiana alle cui qualificate si sarebbe aggiunta la detentrice. Quell’anno si giocavano all’italiana anche quarti e semifinali. La Fiorentina si qualificò a spese di Ternana, Foggia, Palermo ed Alessandria, ed al turno successivo ebbe la meglio su Torino, Roma e Napoli. Dall’altra parte uscì fuori il Milan, vincitore su Juventus, Inter e Bologna.
Il 28 giugno 1975 all’Olimpico di Roma alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, Milan e Fiorentina scesero in campo per la coccarda tricolore. Tra i rossoneri stava giungendo a conclusione la gloriosa carriera del golden boy Gianni Rivera, in cerca delle ultime vittorie da aggiungere ad una lunga serie. Tra i viola cominciava la carriera di colui che sarebbe stato designato come suo successore, che ne aveva preso il posto in Nazionale e che - con iperbole altrettanto immaginifica di quelle con cui il fuoriclasse milanista era stato appellato - era stato definito il ragazzo che giocava guardando le stelle, Giancarlo Antognoni.
Finì 3-2 per la Fiorentina, con reti di Casarsa, Guerini e Rosi, a cui risposero Bigon e l’ex Chiarugi. Il giovane capitano viola alzò la coppa davanti al vecchio capitano rossonero (che si sarebbe rifatto nel 1977 prima di ritirarsi a quasi 40 anni). Superchi, Beatrice, Roggi, Guerini, Pellegrini, Della Martira, Caso, Merlo, Casarsa, Antognoni, Desolati furono gli ultimi giocatori della Fiorentina a portare a casa un trofeo importante prima di un black out che sarebbe durato più di vent’anni. L’anno dopo, il trofeo anglo-italiano e la Mitropa Cup (vecchio cimelio di un calcio che fu) chiusero definitivamente il discorso vittorie prima che si passasse ad occuparsi di altre questioni, tipo la salvezza dalla serie B.
Passarono giorni, mesi, anni, come fogli di un calendario ingiallito ed interminabile. Passò Ugolini, passarono i Pontello, passò Mario Cecchi Gori. Antognoni fu negato alla Juventus, Baggio invece gli fu concesso insieme alle illusioni di vittoria degli anni 80. Arrivò un produttore cinematografico di fama mondiale, un infarto se lo portò via mentre la squadra era in B, finalmente retrocessa soprattutto grazie agli sforzi del figlio del produttore stesso. Il minimo che poteva fare Vittorio Cecchi Gori per ripulire dal fango il labaro di una squadra che era retrocessa una volta sola, nel 1938, era vincere qualcosa.
Nel 1996 la formazione della Fiorentina recitava Toldo, Carnasciali, Padalino, Amoruso, Serena, Schwarz, M. Orlando, Cois, Rui Costa, Baiano, Batistuta. Una delle più forti di sempre, entrata di diritto tra le Sette Sorelle che lottavano stabilmente per scudetto e Champion’s League. In campionato finì terza dietro a Milan e Juventus, in Coppa fu una marcia trionfale. 2-1 ad Ascoli, 5-0 a Lecce, nei quarti Palermo battuto 1-0 in casa e 2-1 in trasferta. In semifinale 3-1 all’Inter al Franchi, al ritorno vittoria 1-0 a San Siro con eurogol di Batistuta, pallonetto in uscita su Pagliuca dopo un contropiede travolgente.
In finale c’era l’Atalanta, che aveva avuto ragione di Juventus, Cagliari e Bologna. All’andata a Firenze ci pensò ancora Batistuta a dare la vittoria ai viola. Al ritorno a Bergamo di tifosi ne andarono tanti, ma molti di più erano quelli che rimasero al Franchi (oltre 30.000 persone secondo le stime) ad aspettare la squadra che tornò nella notte, con la Coppa Italia sul pullman. Amoruso e Batistuta avevano regolato la questione in Lombardia con un 2-0 che valeva la quinta coccarda sulla bandiera viola. Pochi mesi dopo, Batistuta sbancò San Siro assegnando la Supercoppa italiana per la prima volta nella storia alla vincitrice della Coppa contro la vincitrice del campionato.
Quella Fiorentina aveva sangue talmente buono che la sua corsa l’anno seguente si arrestò soltanto in semifinale di Coppa delle Coppe di fronte ad un Barcellona che aveva poco o nulla da invidiare a quello attuale, ma soprattutto grazie ad un arbitro, lo svedese Frisk, che aveva poco o nulla da imparare da Ovrebo. Purtroppo, i conti della società non erano così brillanti come il gioco della squadra, e allora dopo aver sfiorato lo scudetto nel 1999 l’Invencible Armada viola cominciò a dissolversi. Batistuta finì a Roma, Cecchi Gori finì sul banco d’accusa della Co.Vi.Soc.
Come in ogni tragedia greca che si rispetti, agli eroi viola toccò un’ultima grande impresa prima dell’epilogo per mano di un destino infausto. Nel 2001 la Coppa Italia la cominciò Fatih Terim e la finì Roberto Mancini. E la finì alla grande. Negli ottavi i viola si vendicarono della Salerntana e della trappola UEFA del 1998, la bomba carta che dette la vittoria al Grasshoppers. 5-0 a Salerno e 3-1 a Firenze. Nei quarti Brescia battuto 6-0 in casa e 3-1 fuori. In semifinale toccò al Milan chinare il capo, 2-2 a Milano e 2-0 a Firenze, con un Rui Costa che fece di tutto per non far sentire l’assenza di Batistuta segnando due gol.
Toldo, Repka, Adani, Pierini, Moretti, M. Rossi, Amaral, Di Livio, Nuno Gomes, Rui Costa, Chiesa. Toccò a Manuel alzare l’ultima Coppa viola la sera del 13 giugno 2001, dopo il pareggio casalingo per 1-1 con il Parma che sommato alla vittoria per 1-0 in Emilia aveva sancito la sesta vittoria della Fiorentina. Nel 1999 avevano sorriso gli emiliani, 1-1 a casa loro, 2-2 a casa nostra e Coppa all’ex Malesani, malgrado quell’anno la Fiorentina fosse davvero forte, in testa alla classifica del campionato fino alla partenza di Edmundo per il Carnevale di Rio. Stavolta piansero loro, almeno nell’immediato. Perché poco più avanti toccò di nuovo a Firenze, con la messa in mora di Cecchi Gori, la vendita forzata di Rui Costa e Toldo e la rapida discesa nell’abisso del fallimento.

Tredici anni dopo siamo ancora fermi a Manuel Rui Costa che sorride felice accanto alla sig.ra Valeria Cecchi Gori. A quella sesta ed ultima vittoria a cui per ora una nuova proprietà venuta da fuori non ha saputo aggiungere altro. Zero titoli, almeno fino a sabato prossimo. Quest’anno i sogni di gloria in campionato si sono spenti sugli infortuni di Mario Gomez e Giuseppe Rossi, in Europa sulla punizione di Andrea Pirlo. Ma in Coppa siamo alla decima finale, conquistata battendo il Chievo negli ottavi, il Siena nei quarti e l’Udinese nel doppio confronto in semifinale tra i comproprietari di Cuadrado che il 3 maggio all’Olimpico non ci sarà, perché squalificato. Il Napoli arriva favorito, dopo aver eliminato la Roma, anche se con qualche acciacco anch’esso. Ma come si diceva all’inizio in una partita secca ci sta tutto. E il terzo posto nell’Albo d’Oro a pari merito con l’Inter è lì che aspetta. E’ tanto che al labaro viola non viene aggiunto più niente.

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