mercoledì 31 agosto 2016

La tribù del calcio



Nel suo celebre saggio del 1981 The Soccer Tribe, la Tribù del Calcio, il sociologo inglese Desmond Morris stabilisce l’altrettanto celebre paragone tra i comportamenti, i rituali e i miti degli appartenenti alle tifoserie del football moderno e quelli delle comunità tribali preistoriche o sopravvissute fino ai giorni nostri.
Gli individui umani, egli sostiene, “nel lungo cammino dell'evoluzione, si sono trasformati da cacciatori a calciatori, passando attraverso attività sempre meno sanguinarie. Oggi i calciatori sono i nuovi gladiatori e, in quanto tali, in ogni caso, eccitano il livello emozionale primordiale e ancestrale della folla. Non cambia però, per Morris, il significato di caccia rituale, in cui l'arma è la palla e la preda è la porta.
La folla della Curva non è un branco disorganizzato, ma un gruppo ben strutturato, i cui membri si riconoscono fra loro attraverso la comunicazione simbolica espressa dai loro abiti, dalle bandiere, dai cori, dalle liturgie, che, in una sorta di rito collettivo, sanciscono e rafforzano l'identità del branco dei tifosi. Ovviamente, Morris si riferisce, in genere, a quella parte della tifoseria che vive senza orizzonti di senso, nell'emarginazione sociale, per cui essi necessitano di una riaggregazione sociale, data proprio dall'appartenenza ad un gruppo sportivo, a dei colori specifici” (cfr. Wikipedia).
Non dovrebbe meravigliarmi dunque la reazione della tribù che si ritiene attaccata dal mio ultimo articolo, La brutta figura di Firenze. E infatti non lo fa. Insulti, minacce personali pubbliche e private dovevano essere messe in conto, e sono puntualmente arrivate ed arrivano ancora. Il branco, in genere, reagisce così.
Non mi sorprende più neanche, purtroppo, il fatto che i membri della tribù invochino a giustificazione la difesa del primato morale e culturale di Firenze. Che nel rivolgermi epiteti e accuse infamanti nonché, appunto, oscure e sanguinose minacce, si richiamino a quei Dante, Lorenzo il Magnifico, Machiavelli e compagnia bella di cui si sentirebbero gli epigoni. Salvo non riuscire a scrivere una frase intera di senso compiuto senza almeno un errore di ortografia o di grammatica, povero il mio Dante Alighieri. O commentare a proposito una sola riga di quelle che ho scritto, dando prova di averla almeno compresa.
Potrebbe farmi specie che a commentare il mio articolo siano solo energumeni ed energumene che si sentono in diritto tra l’altro oltre che di offendere e minacciare anche di scorrazzare in lungo e in largo nella mia privacy, nei miei profili in cerca di informazioni destinate a chissà quale rappresaglia? No, certo. Ma questo è l’aspetto più ovvio, e conseguente. Commentano quasi esclusivamente solo quelli della Tribù. Quelli che sono d’accordo con me (si trattava di rinviare le feste e le partite di qualche giorno, almeno una settimana, per rispetto a dei morti in modo atroce, non di tirare giù la statua del David da Piazza Signoria), che mi risultano non essere pochi, sono  tutte persone perbene, come tali naturalmente restie a impelagarsi in una rissa da cortile dai connotati aberranti. Come quelle scorribande da hooligans a cui Desmond Morris cercava di dare una spiegazione già nel 1981.
Per me è diverso, me la sono cercata. Criticare la Fiorentina a Firenze è come criticare la Santa Romana Chiesa ai tempi del Concilio di Trento. C’è il rogo, nulla più, nulla meno. O, per adeguarsi ai tempi, gente che mi vuole denunciare alla polizia postale, far chiudere il blog, denunciarmi ad un ordine dei giornalisti che non ha la minima competenza su di me (grazie a Dio), farmi licenziare (come se il mio datore di lavoro potesse aver da ridire di cosa faccio – a titolo assolutamente gratuito – nel mio tempo libero e a proposito di una materia assolutamente non di sua competenza, il campionato italiano di calcio). Oltre alle manate, naturalmente, che sono da sempre il rifugium peccatorum del volgo fiorentino. Tra i primati storici di questa città, non va dimenticato, c’è anche quello di essere stata una delle prime a dar vita alle squadracce fasciste. Certi vizi non si perdono neanche in tempi di repubblica.
Last but not least, non mi deve sorprendere nemmeno che personaggi che aspirano al ruolo di opinion leaders cittadini mi definiscano in trasmissioni radio compiacenti “bloggerista o pseudo-tale che attacca la città di Firenze”. Né che, in totale spregio della legge sulla stampa, nessuno di quella radio faccia una telefonata al sottoscritto almeno per sentire se ho qualcosa da ridire. La domanda semmai è, a questo punto, chi è lo pseudo?
Come dice Oliviero Beha, uno che pseudo non è mai stato, per commentare un articolo servono due cose: leggerlo, e capirlo.
Penso che non ci sia altro da aggiungere. Grazie a chi mi ha sostenuto o espresso solidarietà. A presto,
Simone Borri

giovedì 25 agosto 2016

Fermate il calcio, voglio scendere

Marisol aveva 18 mesi. Dormiva nel suo lettino nella casa di campagna dei suoi genitori, ad Arquata del Tronto (AP). La casa non c’è più, è un cumulo di macerie, è lei non ne è uscita viva, c’è rimasta sotto. La mamma Martina nell’aprile 2009 era una studentessa che frequentava l’Università dell’Aquila, quando il capoluogo abruzzese fu cancellato dalla faccia della terra, almeno per come ce lo ricordiamo tutti.
Una vita spesa a fuggire dal terremoto. Nel 2009 Martina fu fortunata, perché sopravvisse. Poté sposarsi e generare una figlia. Nel 2016, trasferitasi nelle Marche, ad Ascoli Piceno, la sua fortuna si è esaurita, il bonus è scaduto. Perché, ancora una volta, è sopravvissuta. A sua figlia di 18 mesi. Quando lei uscirà dall’ospedale, l’avranno già seppellita. 
C’è qualcosa di peggio per un genitore che morire. A Martina gli dei beffardi che sovrintendono fin dai tempi antichi svogliatamente alle umane cose hanno offerto appunto quel bonus, nel 2009. Sette anni dopo hanno presentato il conto.
E’ una delle tante storie raccolte sotto le macerie del Lazio e delle Marche. A un certo punto bisogna smettere di leggerle. Si chiude tutto, gola, stomaco, cervello. Si stringe il cuore. Si cerca dappertutto uno spiraglio di luce in questa tenebra. Ma la nostra esistenza di adesso non ne offre. La mente ritorna di continuo a Marisol, ed agli altri bimbi del terremoto.
Dice: la vita continua, che si deve fare?
No. La vita non continua, la vita può e deve fermarsi di fronte a tragedie come questa. Mentre i cani scavano e fiutano sotto le macerie, e ancora abbaiano d’improvviso per avvertire vigili del fuoco e volontari di Protezione Civile che hanno sentito un odore, un rumore, hanno visto spuntare una mano, un lembo di vestito, hanno sentito un respiro….. mentre succede tutto questo a pochi chilometri da noi, la vita deve fermarsi. Lo spettacolo non può continuare.
Il campionato di calcio non si fermò per il terremoto dell’Aquila. Né per quello dell’Emilia. Non si fermò per San Giuliano di Puglia, in Molise, dove le vittime erano tutti bambini della scuola elementare, e gli unici adulti a morire con loro furono le loro maestre. Non si è mai fermato il campionato di calcio. Ma stavolta deve farlo. Stavolta, the show must not go on.
Non si può andare avanti come nulla fosse. E’ una tragedia come altre che son successe a cadenza ormai regolare e ravvicinata. Le case di pietra crollano per effetto di terremoti 6.4 di scala Richter come tutte le altre. Solo che prima questo succedeva una volta al secolo (e non c’erano TV o giornali a raccontarlo), non una volta ogni quattro anni. Dicono gli opinion leaders che questo non è il momento di fare polemiche, e dunque non ne facciamo. Ma, aggiungiamo noi, non è neanche il momento di riempire gli stadi. Tanto più per festeggiare, come vorrebbero fare i tifosi della Fiorentina domenica prossima.
E’ una tragedia come altre, si diceva, ma a questo punto è più di una tragedia. E’ la certificazione, il simbolo del fatto che la nostra vita è diventata una tragedia continua. E allora bisogna, fermarsi, riflettere, e dedicare tempo ed energie a vedere se c’è ancora una via d’uscita, uno spiraglio per una salvezza del genere umano. La Fiorentina può aspettare, come qualunque altra squadra. Altrimenti siamo morti che camminano. E non ci meritiamo di essere sopravvissuti alla piccola Marisol. O di assistere al dolore della sua mamma, anche lei come noi, più di noi, sopravvissuta una volta di troppo.
Chi scrive ha provato a rivolgere un appello perché domenica il calcio si fermi. Con annesse feste e cotillons vari. Né la ACF Fiorentina né alcun altro ha risposto, non ne eravamo evidentemente degni. Tranne un paio di sostenitori del mantra che lo show che deve andare avanti, sempre e comunque. Poche idee, ma disarmanti.
Non abbiamo la pretesa di dire a nessuno cosa è giusto e cosa non è giusto. O forse sì, stavolta, di fronte a questo orrore, ce l’abbiamo. Ma lasciamo la scelta alla coscienza ed alla sensibilità di ognuno. Chi ha lo stomaco ed il cuore domenica di andare allo stadio, faccia pure. Si accomodi.

Noialtri restiamo con Marisol.

giovedì 18 agosto 2016

Auf Wiedersehen Stierkampfer *



Siamo una tifoseria unica al mondo. Trovatene un’altra che gioisce per le cessioni, piuttosto che per gli acquisti.
Mario Gomez Garcia non è più un giocatore della Fiorentina. Il Wolfsburg alla fine se l’è portato via, per 5 milioni di euro, di cui la metà spettano al Besiktas secondo gli accordi presi l’anno scorso con il club turco nella prima fase dal tentativo di sbolognamento del Torero, diventato improvvisamente ingombrante, inutile, insopportabile.
Siamo fatti così. A rileggere le cronache di tre anni fa, quando Supermario arrivò dal Bayern di Monaco pagato a peso d’oro, dovrebbe risaltare adesso evidente la sensazione di fallimento complessivo insita in questa vicenda. Siamo l’unica squadra al mondo che è riuscita a non far segnare Mario Gomez, mentre la Germania campione del mondo continua ad affidargli la maglia di centravanti titolare della Mannschaft.
Siamo riusciti a darlo via alla fine rimettendoci, e per di più dovendo fare a mezzo di questa rimessa con un terzo incomodo, che non solo con lui ha vinto un campionato nazionale (chissà cosa si prova, sensazione a noi ignota…..) facendogli segnare altre 26 reti in 33 partite (se le sogna Kalinic, anche nella prossima vita……ah, già, ma dice che il campionato turco a confronto al nostro è una cazzata…..), ma che l’ha fatto senza rimetterci una lira (turca) ed anzi mettendosi in cassa molti euro. Il 50 % dell’affarone made in Corvino & C.
Sostituti? Per ora, zero. C’è di che battersi la testa al muro, è dai tempi di Chiarugi sostituito con Sormani che non si fa una boiata del genere. Macché. Firenze in festa. Tra due giorni comincia un campionato per il quale siamo attrezzati in attacco con una punta e mezzo. E noi si fa festa.
Forse, e lo diciamo consapevoli di poter scatenare quella parte di Firenze che ogni giorno ringrazia Dio di non dover tornare a Gubbio, il problema della Fiorentina degli ultimi quattordici anni non è stato Mario Gomez, o chi per lui e prima di lui. Non sono stati nemmeno Vincenzo Montella e Paulo Sousa, gli unici due allenatori al mondo che non hanno saputo cosa farsene del bomber tedesco.
Il problema della Fiorentina si chiama Diego Della Valle. Per fare l’imprenditore in un determinato settore bisogna capirci qualcosa, in partenza. Il discorso è tutto lì.

(*Addio Torero)

Mario Gomez a Firenze. E' febbre viola!

 Ancora dall'album dei ricordi. Dei fallimenti viola.

15 luglio 2013



Mario Gomez è atterrato a Peretola alle ore 12,00 circa. E adesso la festa può finalmente cominciare. Allo stadio Franchi si prevede che per il bagno di folla atteso con gli ormai febbricitanti e fibrillanti tifosi fiorentini possa non bastare l’apertura della Maratona. Potrebbe rendersi necessaria anche la Curva Ferrovia. Preparate per l’occasione in prima battuta 200 magliette ufficiali con il nome del neoacquisto viola, molto probabile una ristampa a breve per rapido esaurimento delle scorte.
Il campione tedesco è stato nel frattempo prelevato a Peretola da una autovettura ufficiale messa a disposizione dalla società, con a bordo la nuova responsabile della Comunicazione di Viale Manfredo Fanti, Elena Turra. Per quello che è probabilmente nient’altro che un caso fortuito, atterrava negli stessi istanti all’aeroporto fiorentino il presidente del Palermo Maurizio Zamparini, che ha ribadito di essere giunto nel capoluogo toscano non per motivi legati al calcio, ma per una iniziativa che lo vedrà a fianco del sindaco Matteo Renzi. Rischiestogli di Ilicic, ha liquidato la questione con un lapidario “lo sanno tutti che l’anno prossimo giocherà qui”.
E’ febbre viola, ormai. E’ una pandemia, almeno per la città di Firenze, e di quelle per cui non esiste vaccino. In questo tourbillon scatenato dalla chiusura felice della trattativa per il centravanti del Bayern e della Germania, sta passando tutto in secondo piano, dal momento non felice che la città sta vivendo insieme al paese a cose per fortuna meno serie (ma neanche poi tanto, se chiedete a un qualsiasi fiorentino che si rispetti), come l’avvio del ritiro viola a Montecatini, la prima uscita ufficiale della nuova Fiorentina 2013-14 con otto gol rifilati alla squadra locale alcuni dei quali messi a segno da neoacquisti come Ambrosini, Yakovenko, Bakic e Wolski, le convocazioni per la seconda fase del ritiro a Moena tra cui spiccano almeno due assenze eccellenti: una – quella di Jovetic – è scontata, da un momento all’altro si attende la conferma che il montenegrino salirà sul primo aereo per Manchester, "medaglina e arrivederci" avrebbe detto un altro Mario che ci porteremo sempre nel cuore; l’altra – quella di David Pizarro – è abbastanza clamorosa, tutto sommato, e dolorosa, perché si tratta di perdere uno degli artefici della passata splendida stagione, molto difficile da sostituire, ma che evidentemente ormai ha una posizione non conciliabile (in termini di ingaggio, pare) con quella della Fiorentina.
Passano in secondo piano perfino le voci di mercato che si rincorrono, tutte clamorose e quindi nessuna ormai più clamorosa. Per sostituire Pizarro, la Fiorentina sarebbe sulle orme nientemeno che di Marco Verratti, gioiellino già del Pescara di Zeman e adesso del Paris Saint Germain dei petrodollari e della Nazionale di Prandelli. Il talento abruzzese avrebbe un contenzioso con la sua società attuale, roba di un paio di milioni di euro per il rinnovo del contratto, cose da niente per chi estrae il petrolio da terra. Oppure invece no, e se l’accordo non ci fosse dicono che la Fiorentina è pronta a farsi sotto, con il gradimento del giocatore già interpellato da Prade’.
In questa pazza (o forse finalmente normale, secondo i sogni dei fiorentini) estate viola, c’è posto per tutto, per Daniele De Rossi che alcuni vorrebbero finalmente in partenza da Roma, magari verso nord per fermarsi a soli 250 km di autostrada.
Jordy Clasie del Feyenoord sarebbe nel frattempo già stato bloccato dai viola in caso di rottura definitiva con Pizarro. Macia starebbe intanto rastrellando il suo paese d’origine, la Spagna, in cerca di altri affari. Non ci facciamo mancare nulla, non ci meravigliamo più di nulla. Prima o poi i piedi torneranno per terra, per ora sognare a ruota libera è troppo bello. E adesso tutti da Fanfani, e poi allo Stadio! Speriamo che il grande Nervi l’abbia progettato per durare a lungo, perché quest’anno dovrà tornare a reggere un bel peso.

Gomez!

Questo è quello che scrissi tre anni fa. Parlare di tristezza è il minimo. Di fallimento, è doveroso.

14 giugno 2013



Fiorentina scatenata. In un calciomercato che più che decollare stenta proprio ad iniziare, la società viola si è già messa in mostra con due colpi di tutto rispetto. Marcos Alonso Mendoza, promettente giovane difensore iberico preso dal Bolton Wanderers, Joaquin Sanchez Rodriguez, altro esterno offensivo ex promessa del calcio spagnolo arrivato dal Malaga, sono due colpi più che di rispetto per una squadra che intende confermare (e se possibile migliorare) gioco e risultati della passata stagione, con in più l’avventura dell’Europa League da vivere all’altezza del nome della società, sia rispetto al blasone passato che soprattutto a quello che si vorrebbe conseguire in futuro.
Ma negli ultimi giorni si è aggiunto qualcosa di nuovo, e potrebbe succedere qualcosa capace di ampliare improvvisamente orizzonti e programmi viola verso una dimensione tutta nuova, che finora a Firenze almeno nell’era Della valle si era potuta soltanto sognare. Nel pieno del tourbillon inevitabile prodotto dalla vicenda Jovetic e dal nuovo braccio di ferro con la pretendente rivale di sempre Juventus, la Fiorentina ha deciso di ribaltare il tavolo da gioco tirando fuori un asso di quelli che se calato con successo potrebbe in un colpo solo risolvere la vicenda del montenegrino, degli intricati rapporti con i Campioni d’Italia in carica e della ricerca di un attaccante che faccia fare il salto di qualità definitivo ad una squadra già dotata di un impianto di gioco notevole.
Sono giorni che a Firenze si rincorrono le voci circa un acquisto che nelle stagioni passate sarebbe stato considerato da Fantacalcio. Quello del centravanti del Bayern Monaco e della nazionale tedesca Mario Gomez. Un top player, uno di quelli che credevamo di dover vedere ormai soltanto alla televisione in occasione delle competizioni internazionali. Il ventottenne campione nato a Reidlingen, Baden Wurttenberg, da padre spagnolo e madre tedesca è alla fine della sua esperienza con i neocampioni d’Europa bavaresi. Teoricamente nel mirino di diverse prestigiose società europee, di fatto la valutazione del suo cartellino che si aggira tra i 16 ed i 18 milioni di euro (più ingaggio di altri 5 al giocatore) taglia le gambe alla maggior parte di esse. L’ultima cosa che era lecito aspettarsi era che si facesse sotto, con determinazione, proprio la Fiorentina.
A quanto pare, ci sarebbe già l’accordo con il giocatore, come la stessa Bild Zeitung (uno di quei quotidiani ai quali è d’obbligo premettere l’aggettivo "autorevole") ha ammesso nei giorni scorsi. Ci sarebbe anche l’accordo sulla valutazione tra Il Bayern (che aspetta l’arrivo del gioiellino Lewandowski da Dortmund) e i viola. Ci sarebbe poi la ridda di voci che sta sconquassando Firenze dalle fondamenta da circa una settimana, e che fanno sì che anche i commentatori più scettici si stiano lentamente convertendo ad un possibilismo tra l’incredulo e lo speranzoso. Da quelle che riportano di alcune stanze riservate per il prossimo fine settimana in un albergo prestigioso della zona sud di Firenze per ospiti altrettanto prestigiosi. A quelle che riportano invece dello staff di Clinica Medica a Careggi (quello che solitamente compie le visite mediche sui neoacquisti della Fiorentina) che è stato allertato d’urgenza sempre per il fine settimana. A quelle infine che riportano un Della Valle che ha dato l’ok ai propri uomini mercato di stringere per il campione tedesco, pur in mancanza di una definizione della pratica Jovetic. Anzi, forse proprio per quello.
A quanto pare gli imprenditori marchigiani che detengono la proprietà della Fiorentina hanno deciso di passare dalla fase dell’autofinanziamento stretto a quella dell’investimento scegliendo di puntare molto in alto. Investimenti così, del resto, si fanno soltanto per vincere. E’ lecito pensare che ormai a Casette d’Ete siano giunte tutte le rassicurazioni del caso circa la realizzazione dello stadio nuovo alla Mercafir, e che nello stesso tempo la recrudescenza della polemica a distanza con la proprietà della Juventus abbia spinto i fratelli Della Valle a giocare più duro. Non c’è solo la vicenda Berbatov da vendicare e far dimenticare, ormai lo scontro è a tutto campo e a una Juventus che cerca di portarsi via Jovetic sottocosto e che trova anche difficoltà a comprare sul mercato europeo, da parte loro non si perdona e non si sconta più nulla. Jovetic costa 30 milioni, può essere offerto al Bayern in contropartita per Gomez o ad una delle pretendenti inglesi che hanno manifestato interesse a proposito.
In ogni caso, in Viale Manfredo Fanti non si sta più ad aspettare la sorte. Sono attese novità importanti in questo fine settimana. La scaramanzia è d’obbligo, ma sognare al momento presente è più lecito che mai.

mercoledì 17 agosto 2016

I Miserabili



Alla fine il numero legale per poter scendere in campo a Torino ci dovrebbe essere. Se poi la sorte volesse fare un regalo in anticipo alla Fiorentina per il suo novantesimo compleanno, le metterebbe di fronte una Juventus che come all’inizio del campionato scorso ha ancora la testa alle vacanze, oppure già a quella Champion’s League che è il suo obbiettivo dichiarato di stagione.
Pericoloso farsi illusioni. I bianconeri saranno anche in officina per la revisione, con diverse parti meccaniche da mettere ancora a punto. Higuain sarà ancora dal dietologo. Ma loro hanno nel DNA che ogni lasciata è persa, e se appena gli capita l’occasione (e la Fiorentina come si è visto di recente ne fornisce in quantità) te la buttano dentro, e poi rifagliela se ti riesce, in queste condizioni. Noi, appunto, siam quella razza che non sta tanto bene, d’estate salta i fossi, d’autunno non si sa che viene.
Senza scomodare il Benigni d’annata, si può dire che la Fiorentina comunque vada, e non solo sabato sera, ha buttato via un’estate. Mancano due settimane (un tempo che storicamente da queste parti preclude miracoli e perfino la conclusione di operazioni normali) alla fine della sessione di mercato più abominevole della sua intera storia. Oddio, ce ne furono un paio simili, anni fa. Al termine delle quali, un anno arrivò Bruzzone, l’altro Zagano. E rìzzati. Ma i proprietari allora non erano in classifica di Forbes.
Quest’anno, siamo partiti dando dell’incapace a Daniele Pradé, reo di tutte le colpe che una tifoseria ormai cloroformizzata è restia a dare al padrone, o almeno a chi tiene i cordoni della borsa per lui. Al suo posto, ecco Corvino 2 Il Ritorno. Tutti a fregarsi le mani, sognando il nuovo Mutu, il nuovo Toni.
Sono arrivati. Il nuovo Hagi, il nuovo Chiesa. Due ragazzini che – se gli adulti non fossero gli scellerati che sono – dovrebbero giocare in Primavera e farsi le ossa come si conviene. Invece sono in prima squadra a reggere il peso della non campagna acquisti, della non preparazione, della non presenza di obbiettivi e di strategie da parte di una non società.
Poi è arrivato un portiere rotto, mossa determinante visto che ne avevamo già due, di cui uno si può definire una promessa del nostro calcio (visto che è nel giro dell’Under 21) e l’altro ormai si può definire una botte che dà il vino che ha. E che abbiamo già assaggiato, con qualche perplessità.
In difesa, continuiamo a cercare centrali, quando è l’unica cosa – a dosi sempre più ridotte – che abbiamo. Gonzalo e Astori reggono baracca, con l’entusiasmo di un judoka egiziano che deve stringere la mano ad uno israeliano, ma la reggono. Più Tomovic, che come l’Araba Fenice risorge tutti gli anni dalle ceneri del mercato. E dei discorsi che da queste parti ormai sostituiscono le risorse economiche. Terzini? No, grazie.
Vedran Corluka è l’ultimo di una lista di nomi seconda soltanto a quella della Panini. Il croato dimostra che buon sangue balcanico non mente, ed usa la Fiorentina come grimaldello per far saltare il monte ingaggi del suo club, il Lokomotiv Mosca, che alla fine gli rinnova per quattro pippi. Roba che a Cognigni non gliela puoi neanche proporre come battuta in pausa caffè. Si va su De Maio, che era qui dietro casa fino ad un mese fa, che adesso è all’Anderlecht, che insomma per arrivare finalmente a Firenze probabilmente presuppone l’imbastitura di uno dei soliti casini stagionali che non ci siamo mai fatti mancare negli ultimi anni. Di Vitor Hugo non ne parliamo, ci sentiamo già abbastanza miserabili così come siamo.
Centrocampo. Si può discutere di tutto. Anche di Borja Valero a Roma per quindici milioni. E vedrete se a Firenze in Viale Manfredo Fanti non ne discutono. Non si può farlo però a chiusura di calciomercato. Questi non son boni nemmeno a trovare un terzo portiere con tutta la stagione davanti. Figurarsi in quindici giorni il sostituto dell’unico regista di centrocampo che abbiamo, dell’unico che dà del tu al pallone, con buona pace sia di Vecino che di Badelj.
In attacco, dice che siamo a posto. Certo, con Gomez che ha fatto il giro d’Europa (questa settimana siamo a Wolfsburg) e che di tornare qui non ha comunque nessuna voglia, né ha voglia di continuare a pagargli lo stipendio il suo datore di lavoro. E poi con Babacar che è diventato più difficile da piazzare di Balotelli. A meno di scordarci Pincopallo, se non andiamo errati gli attaccanti della Fiorentina al momento sono due, e su entrambi non ci si può fare affidamento per trentotto partite, più Europa League e Coppa Italia. Il primo, Nikola Kalinic, perché ha dimostrato che non le regge. Il secondo, Giuseppe Rossi, perché ha dimostrato che se non è prima è dopo, ma ce lo stroncano.
Ma insomma, se il mercato ci affligge, tra poco torna a parlare il campo. Purtroppo. Vorremmo tanto incontrare sabato sera la Juventus dello scorso anno, di questi tempi. E probabilmente non ci basterebbe nemmeno.

mercoledì 10 agosto 2016

Io sto con Giancarlo Antognoni

Disgraziata la patria che ha bisogno di eroi, diceva Bertolt Brecht. E’ il caso di Firenze. Che di eroi, in tutti i campi, ne ha avuti e ne avrà probabilmente sempre. Ma che sono destinati a spiccare sempre di più sullo sfondo di un panorama cittadino d giorno in giorno più misero. E questo non è detto che sia un bene. Anche se i nostri eroi non ce li tocca nessuno, com’è gusto che sia.
Giancarlo Antognoni a Firenze è l’eroe per antonomasia. L’uomo che, dotato di una classe e di una maestria nella propria arte come pochissimi altri prima e dopo, rinunciò a grandi vittorie a lui assolutamente confacenti per attaccamento ad una maglia, quella viola, che ai suoi tempi era già diventata una delle pochissime cose a cui questa città - che una volta di geni ne produceva e ne accoglieva in quantità industriale – poteva aggrapparsi per non avvilirsi a proposito delle sue presenti condizioni.
La luce del sole, se stagliata sullo sfondo di una tenebra fittissima, risplende ancora di più. Ecco perché Firenze ha voluto bene a Julinho, a De Sisti, a Rui Costa, a Mutu, ma a lui, Giancarlo, sempre e comunque un pochino di più. Perché lui è stato la ragione di vita per tutti quei ragazzi che negli anni Settanta cominciarono ad andare allo stadio. Per vedere le giocate del numero 10, e pochissimo altro. Perché lui è stato ed è Firenze. Come Michelangelo. Come Lorenzo il Magnifico. Come Ghiberti e Brunelleschi. Nei secoli dei secoli.
Giancarlo Antognoni è un uomo intelligente. E’ consapevole di essere un personaggio pubblico senza eguali. Non solo qui, ma soprattutto qui. Ecco perché non ha ancora deciso se presenziare alla cosiddetta festa dei 90 anni viola. Perché sa che, comunque si muova, scontenterà qualcuno, compromettendo la sua immagine di icona, di simbolo, di valore super partes.
Se resta a casa, come orgoglio e dignità più che giustificati suggerirebbero, verrà accusato da parte dei filo-societari e degli agnostici di aver boicottato quella che qualcuno spaccia per la più grande celebrazione viola degli ultimi anni per ragioni di “bottega” personale. Se va, cedendo alla mozione di un cuore che ormai bene o male viola è e viola resta, verrà accusato di andare a Canossa per “mendicare qualcosa” da coloro che l’hanno messo ai margini della storia viola. Lui, che è la storia viola, ad inginocchiarsi da chi la storia viola non ha neanche cominciato a scriverla.
In realtà, le cose stanno diversamente. Qualunque cosa faccia, Giancarlo Antognoni resta Giancarlo Antognoni. Firenze deve ringraziarlo, e la Fiorentina pure. E i Della Valle rassegnarsi al fatto che anche qualora cominciassero a vincere qualcosa (del che ci permettiamo non di dubitare ma di essere sicuri del contrario) non potranno mai sperare di avere un milionesimo dell’affetto che la città riserva a colui che essi giustamente – dal loro punto di vista – hanno messo in disparte perché l’ombra che avrebbe proiettato su di loro sarebbe entrata in confitto con tutti i motivi soprattutto di visibilità per cui hanno acquisito e mantengono la Fiorentina.
Quindi, Giancarlo non ha di che preoccuparsi, e sicuramente non se ne preoccupa. Qualunque cosa faccia il 28, lui in quei 90 anni c’é. E non si discute. Chi lo fa, commette un peccato di ignoranza prima ancora che di mancanza di senso critico. Peccato mortale, di questi tempi.
Il fatto però è che il grandissimo Giancarlo Antognoni è ormai, al pari di Julinho, De Sisti, un giocatore del passato. Sono sempre meno quei ragazzi degli anni Settanta di cui sopra, e sono tutti appartenenti a quella maggioranza silenziosa che della gestione Della Valle comincia a non poterne più, ma che comunque non si fa sentire, per timidezza, disinteresse o scarsa voglia di mettersi a discutere con energumeni di ogni ordine e grado.
Gli altri, quelli che vanno allo stadio magari in settori dove si discute poco e si pensa ancora meno, si fanno sentire eccome. Magari non andando oltre la ripetizione di mantra come “tornateci voi a Gubbio”, “se vanno via chi ci piglia”, “allora compratela voi”, “fate i fenomeni con i soldi degli altri”, “i Della Valle ci tengono ai massimi livelli a cui può ambire la Fiorentina” (Baglini vendeva inchiostri e Befani stracci di lana, chissà qual era allora il livello a cui potevano ambire).
Sono coloro che erroneamente vengono definiti i dellavalliani. Gente per cui Giancarlo Antognoni è un video da cineteca, ma “Vittorio se lo ricordano bene, e poi Gubbio e Gualdo Tadino”. Gente per cui anche Gabriel Batistuta comincia a stemperarsi e a sfumare come ricordo nelle nebbie di un passato sempre più lontano e sempre meno conosciuto.
Gente che il 28 agosto si precipiterà alla festa viola, perché bisogna esserci. Poi magari domandate loro che cosa si festeggia, e di ripeterlo – come si faceva a scuola una volta – con parole loro.
Personalmente, riteniamo che tutto ciò che ci sarebbe realmente da festeggiare in questi 90 anni di storia viola o non c’è più (perché la legge del tempo è l’unica che si deve rispettare sempre e comunque, anche in questo paese), oppure finirà per restare ai margini – per un motivo o per un altro – di questa kermesse di Cognigni & soci.
Semmai, ci sarebbe da commemorare proprio quel ragazzo che poteva andare a vincere quello che voleva e dove voleva. E che invece rimase qui a fare assist per gente che per stoppare un pallone rischiava di bucarlo. Poi, nel 1982, si ruppe la testa e quasi si ammazzò per andare in fuga per il terzo scudetto viola. Nel 1984, andato male il primo tentativo, si ruppe la gamba e chiuse la carriera solo per averci riprovato. La Fiorentina alla fine di quei due anni non vinse niente, ma è stata l’ultima volta che è andata veramente vicina a farlo. Batigol, non ce lo dimentichiamo, per mettere le mani su un trofeo che non fosse la Coppa Italia dovette trasferirsi a Roma.
Chi ha voglia di festeggiare qualcosa di serio, il 28, vada su youtube e si guardi tutto quello che c’è sul “ragazzo che giocava guardando le stelle”. E tenga un occhio al calciomercato, perché fra frizzi e lazzi la stagione che va a cominciare potrebbe aggiungere ben poco ai festeggiamenti, e molto a certi corsi e ricorsi storici a cui non vogliamo neanche pensare.

Comunque vada, #noistiamoconGiancarloAntognoni.

lunedì 8 agosto 2016

Schalke 04 batte Fiorentina 09



Disclaimer: questo è un articolo dal contenuto riservato agli adulti. Se certi ragionamenti ti offendono o non hai la coscienza critica necessaria per sostenerli, sei pregato di uscire. Astenersi perditempo, immotivati e sostenitori del “tanto nel calcio tutto si aggiusta e tutto si equilibra”.
Quest’anno, cari tifosi, continuando così non si aggiusta proprio niente. E non è calcio d’agosto, è quello che vedremo tutto l’anno, se la società non corre ai ripari immediati. E forse è tardi. O forse non ha nessuna intenzione di farlo. Non sul serio, almeno.
La sconfitta con lo Schalke 04 è la quarta consecutiva, dopo Cesena, Celta Vigo e Bayer Leverkusen. Nove gol subiti, due fatti. Da Kalinic, di rapina alla sua maniera. E non è detto che Kalinic sia qui nelle prossime uscite. A Valencia, in quella che dovrebbe essere – vivaddio – l’ultima amichevole precampionato. A Torino allo Juventus Stadium, in quella che dovrebbe essere – ahimé – la prima di campionato.
Dunque. I punti fermi sono questi. A protezione di un portiere che non è Sebastien Frey la squadra viola non ha praticamente difesa. Eccezion fatta per due ex pilastri della scorsa stagione, Gonzalo e Astori, che al pari di tutti i compagni hanno probabilmente avvertito il calo di tensione e la mancanza totale di obbiettivi che si respira nelle stanze societarie all’avvio di questo Anno Domini 2016-17. Poi c’è Tomovic, inutile aggiungere nulla, nel bene e nel male. Poi c’è Diks, aspettiamo ad aggiungere nulla, è meglio, speriamo solo non sia questo.
A centrocampo, Borja Valero sta raggiungendo un’età in cui è più facile fare il sindaco (soprattutto come lo fanno a Firenze da vent’anni a questa parte) che giocare al pallone. Finché gli regge il fiato (e Roma o Milan non alzano il tiro delle offerte) tutto ok. Poi? A proposito di Milan - inteso come club e come giocatore omonimo a livello di nome di battesimo, il Badelj che vorrebbe acquistare a cifre stratosferiche – finora era uno di quei casi in cui si diceva “lo porto io, parto subito”. Come per Vecino al Napoli, stesso discorso. Ma dati i tempi storici delle trattative viola al tempo di Corvino (e di chi gli mette i soldi nel borsellino), forse è meglio che stia qui, e non parta nessuno. Almeno il numero legale ce l’abbiamo.
Poi c’è il figlio di Hagi e quello di Chiesa. Diventeranno sicuramente forti come i genitori, ma per ora forse sarebbe meglio vederli in Primavera. Così come sarebbe forse opportuno non vedere più Bernardeschi fuori ruolo, o non vedere più in assoluto Babacar. Rivedremmo volentieri Gomez in un nuovo ruolo, quello di finalizzatore di un gioco costruito per lui. A queste condizioni si potrebbe discutere di Kalinic altrove (con tesoretto reinvestito), altrimenti vale il discorso per Borja & C.
Abbiamo tralasciato qualcuno o qualcosa? Dice che la società corre ai ripari con Carlos Sanchez, centrocampista dell’Aston Villa. Nei capelli ricorda Marcelo del Brasile (e non è un bel ricordo, né per i brasiliani né per nessun altro), o andando più indietro il mitico Cuellar, che giocava nel Messico diversi decenni fa, colui che brevettò la caratteristica “chioma a leone”, e poco altro per la verità. C’è di buono, in attesa di saperne di più, che almeno è in età da poter prendere una patente di guida. Il che non è poco, di questi tempi.
Speriamo bene. Speriamo molto bene. Quando dopo partite come quella di ieri una tifoseria ossequiosa come quella viola (16.000 abbonamenti, in proporzione un fenomeno di portata mondiale, a fronte di simile campagna acquisti) intona il celeberrimo canto “vinceremo il tricolor” qualche domanda in Viale Manfredo Fanti farebbero bene a farsela. Meglio ora che verso novembre – dicembre, in ogni caso.

mercoledì 3 agosto 2016

La festa dei Quattordici Anni



E’ la festa dei quattordici anni. E zero titoli.
Quattordici anni fa, Diego della Valle accettava ufficialmente l’offerta di Leonardo Domenici, sindaco  pro-tempore di Firenze che aveva recuperato il titolo sportivo perso dall’A.C. Fiorentina (dichiarata inammissibile ai campionati di calcio della F.I.G.C., e poi anche fallita) dalla holding di Cecchi Gori e l’aveva offerto appunto a quella di Della Valle.
La storia di quei giorni l’abbiamo scritta in tanti, la conosciamo veramente fino in fondo in pochi e ce la immaginiamo però tutti.
Un fallimento indubbiamente pilotato e poco casuale, una rinascita che sul momento ebbe del miracoloso. Squadra e società allestite in meno di 20 giorni (poco dopo Ferragosto la nuova Florentia Viola già giocava al Franchi contro il Pisa). A ripensarci adesso a mente fredda, con l’entusiasmo sbollito da tempo, quella lista di giocatori di categoria (C2) che Gino Salica e Giovanni Galli andarono a comprare in quattro e quattr’otto sembra – fatte le debite proporzioni – come quella che Erdogan aveva già pronta per le epurazioni dopo il fallito colpo di stato.
La storia passata, presente e futura (per quanto prevedibile) del calcio ci insegna che i miracoli si fanno, sì, ma ci vogliono un po’ più di 20 giorni. Le trattative per quel dolorosissimo (per i tifosi) e complicatissimo  (per gli addetti ai lavori) passaggio di mano viola durarono probabilmente più delle 48 ore che Domenici, Giani e compagnia bella hanno consegnato alla leggenda, più che alla storia della Fiorentina.
Che da allora ha come ragione sociale A.C.F.. Non più A.C.. E che non volle recuperare la storica sede di Piazzale Donatello. Da allora alloggia al Franchi, come una sfollata di lusso. A fatica riacquistò nome e trofei, era il minimo sindacale, di meno Firenze non avrebbe accettato. Quel nome e quei trofei erano quanto aveva di più caro. Al pari del David, del Ponte Vecchio, del Campanile di Giotto, del Battistero, del Piazzale Michelangelo, di Santa Maria del Fiore. Non è un mistero, in questa città Giancarlo Antognoni sta alla pari di Michelangelo Buonarroti.
Tra poco si festeggiano i 90 anni. Quando fa comodo l’A.C.F. rivendica una continuità con il passato che nella sostanza non ha mai, o quasi, perseguito. Nei giorni in cui si dura fatica a comprare un terzinaccio, è indubbiamente molto più appassionante giocare al Top 11 o immaginare quale delle vecchie glorie, di un passato con il quale i Della Valle non hanno nulla e non hanno voluto avere nulla a che fare, interverranno alla festa.
Senza chiedersi se non fosse più opportuno limitare la commemorazione agli ultimi quattordici, di questi anni. E interrogarsi sul perché, a parte un paio di amichevoli con squadroni spagnoli in cerca di lauti ingaggi, non abbiamo vinto più nulla, né ci siamo andati vicini.
Di seguito alleghiamo una scheda contenente la lista dei presidenti che si sono succeduti al timone della Fiorentina, A.C. o A.C.F. che dir si voglia.
Lo proponiamo noi un gioco. In questa lista dei TOP 24, i Della Valle a che punto li mettereste? Aspettiamo curiosi le risposte.

I Presidenti Viola

Luigi Ridolfi Way da Verrazzano (1926 – 1942)
Fondatore, promozione in A nel 1931, retrocessione in B nel 1938, promozione in A nel 1939, 1^ Coppa Italia nel 1940, lasciò la presidenza della Fiorentina per assumere quella della Federcalcio nel 1942
Scipione Picchi (1942 – 1945)
Padre del giornalista e storico viola Sandro
Arrigo Paganelli (1945 – 1946)
Ex dirigente della Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas, cofondatore della Fiorentina nel 1926 e vicepresidente con Ridolfi, fu reggente della società viola per un anno (con Ridolfi caduto in disgrazia per il suo passato fascista ed un comitato di reggenza che eleggeva le cariche sociali)
Iginio Cassi (1946 – 1947)
Reggente viola per un anno, in seguito presidente della Mostra Internazionale dell’Artigianato (fu lui a spostarla dal Parterre alla Fortezza nel 1958)
Ardelio Cassi (1947 – 48)
Reggente viola per un anno, imprenditore tessile pratese, che sponsorizzò società e squadra anche dopo il termine della propria reggenza
Carlo Antonini (1948 – 1951)
Imprenditore di Chiusi, fu il primo vero presidente viola del dopoguerra, e colui che avviò la costruzione della squadra che sarebbe diventata campione nel 1956
Enrico Befani (1951 – 1961)
Imprenditore tessile pratese, campione d’Italia nel 1956, finalista di Coppa Campioni nel 1957, vincitore di Coppa delel Coppe e Coppa Italia nel 1961, il primo double della storia del calcio europeo (due trofei nella stessa stagione)
Enrico Longinotti (1961 – 1965)
Imprenditore di Geve in Chianti, rilevò la società viola dopo le improvvise dimissioni di Befani, sdegnato perché il C.d.A. viola gli aveva bocciato il progetto di ristrutturazione e ricapitalizzazione societaria.
Nello Baglini (1965 – 1971)
Imprenditore pisano del settore inchiostri, Cmpione d’Italia nel 1969, vincitore di Coppa Italia nel 1966 e nello stesso anno della Mitropa Cup (altro double continentale)
Ugolino Uolini (1971 – 1977)
Imprenditore fiorentino, la Gover Gomma (forniture per edilizia e abbigliamento) era una delle fabbriche più importanti non solo della Toscana, vincitore della Coppa Italia nel 1975 e della Coppa di lega Italo – Inglese nel 1976
Rodolfo Melloni (1977 – 1979)
Presidente per delega di Ugolini, il primo dei tre presidenti morti in carica, per infarto
Enrico Martellini (1979-1980)
Già consigliere viola, anch’egli delegato di Ugolini
Ranieri Pontello (1980 – 1986)
Nessuna vittoria, ma uno scudetto sfiorato per quindici minuti
Pier Cesare Baretti (1986 – 1987)
Ex giornalista, il secondo dei presidenti viola, in questo caso per delega di Pontello, a morire in carica, per incidente aereo
Lorenzo Righetti (1987 – 1990)
Ex arbitro, delegato di Pontello alla presidenza viola fino a pochi mesi prima della cessione della società dopo la finale UEFA di Avellino
Flavio Pontello (1990)
Riassunse la presidenza per breve tempo, quello necessario a trattare la cessione a Cecchi Gori
Mario Cecchi Gori (1990 – 1993)
Imprenditore fiorentino del cinema, terzo presidente a morire in carica, stroncato da un infarto. Una retrocessione in B
Vittorio Cecchi Gori (1993 – 2002)
Una promozione in A, due Coppe Italia, una Supercoppa italiana, un fallimento della società
Ugo Poggi (2002, per due mesi)
Ottavio Bianchi (2002,  per tre mesi)
Leonardo Domenici (1° agosto – 3 agosto 2002)
Sindaco pro – tempore di Firenze, recupera il titolo sportivo della società fallita e lo cede a Diego della Valle, che costituisce la Giorentina 1926 Florentia Viola
Gino Salica (2002 – 2004)
Una promozione in C1, un ripescaggio in B, una promozione in A dopo spareggio con il Perugia
Andrea Della Valle (2004 – 2009)
Mario Cognigni (2009 – 2016)