lunedì 1 febbraio 2016

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 10) Il sogno abita ancora qui

Inizia il nuovo corso, ma inizia senza il coraggio di rinnovare la squadra, forse perchè per cambiare radicalmente ci vogliono tanti soldi. Viene preso un allenatore lontano anni luce da Prandelli, che viene munificamente e gloriosamente elargito alla Nazionale.
Mihajlovich non si fa amare dalla tifoseria e anche il campo gli dà torto. Il popolo rumoreggia, ma il serbo viene confermato per la stagione successiva, quasi a voler indispettire la piazza. Un disastro annunciato. Le sessioni di mercato portano sulle rive dell’Arno giocatori inspiegabili e improponibili. Corvino non ne azzecca più una: sfoltisce, taglia il monte ingaggi, regala giocatori e si affida a improbabili sostituti. Il numero 10 sulle spalle di Olivera, l’acquisto di un centravanti improbabile come il Tanque Silva rappresentano il punto di non ritorno della discesa dei Viola agli inferi.
La Fiorentina perde, gioca male e non convince. Pagherà il serbo, come pagherà poco dopo anche Corvino: lo 0 a 5 casalingo rimediato contro la Juve esige una testa da ghigliottinare e il DS, fino ad allora inspiegabilmente perdonato e difeso, diventa il perfetto capro espiatorio.
Il nuovo allenatore Rossi è chiamato a compiere il miracolo, ma anche lui si ritrova, ben presto, a navigare su un guscio di noce in mezzo all’oceano in tempesta. La scazzottata in diretta TV con l’indisponente Ljajic è la punta dell’iceberg, è l’inequivocabile sintomo che la Fiorentina è profondamente malata.
Finisce l’ennesimo campionato amaro, deprimente e deludente, con la squadra che si salva sul filo di lana. Gli ultimi due anni di gestione Della Valle hanno svuotato il Franchi, spaccato la tifoseria e annientato quella che, un tempo, era stata un “signora” squadra.
Vengono fatte promesse, si garantisce una rivoluzione e si assicura il rilancio. Una tempesta di idee investe la Fiorentina. Si cambia tutta l’area tecnica. Montella, Pradè e Macia sono gli uomini che devono compiere l’impresa, il trio della Provvidenza, chiamato a fare di necessità virtù.
Così, nell’ estate del decennale, la Fiorentina decide di rimboccarsi le maniche. Sarà il campo a dare l’inappellabile verdetto finale, ma non si può negare che la Società in quell’estate del 2012 abbia lavorato molto e, per certi aspetti, bene.
Gli uomini “nuovi del new deal viola – Pradè e Macia – hanno provato, seppur con risorse limitate, a ricostruire una squadra degna di questo nome. “L’acquisto”, però, che fa più clamore, perché per niente scontato, è quello di Andrea Della Valle.
Se è un semplice ritorno di fiamma o piuttosto qualcosa che è destinato a durare lo capiremo solo vivendo. Quello che è innegabile è che l’anno del decennale è un importante crocevia per la storia della Fiorentina. Non è più il tempo delle mezze misure.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 9) Il sogno di Prandelli

2007-2012: un quinquennio di luci e ombre, gioie e dolori, struggenti ricordi e cocenti delusioni in salsa viola, difficili da dimenticare e, forse, anche da raccontare. Il campionato 2007-2008 regala alla Fiorentina l’accesso al preliminare di Champion’s League: uno zuccherino che fa rimettere la bocca dopo l’amara sconfitta, ai rigori, nella semifinale di Coppa Uefa contro i Rangers Glasgow.
Nella stagione successiva l’avventura europea finisce nella fase a gironi, ma l’appuntamento con l’Europa che conta è solo rinviato di un anno, perché con il piazzamento in campionato la Fiorentina si riqualifica. Nella stagione 2009-2010 i Viola superano la fase a gironi della Champion’s League come primi classificati battendo, per ben due volte, il Liverpool.
Agli ottavi, più che il Bayern, è l’inconcepibile e indimenticabile Ovrebo a disintegrare i sogni viola, rendendosi fautore di una eliminazione che griderà imperitura vendetta. Arriva anche la semifinale in Coppa Italia, ma qualcosa comincia a scricchiolare pericolosamente. L’alchimia perfetta che, fino a quel momento aveva regnato in Fiorentina, si dissolve. Prandelli, che nel 2009 aveva ottenuto al centesima vittoria alla guida dei gigliati, superando Bernardini nella classifica degli allenatori più vincenti sulla panchina viola, viene in pratica pubblicamente delegittimato.
Lo spogliatoio, senza più un timoniere riconosciuto e appoggiato dalla Società, tira i remi in barca. Il parafulmine che, per quasi 5 anni, aveva sanato e nascosto tanti problemi e tante magagne diventa improvvisamente il nemico da combattere. La sua più grande colpa è stata puntare, per la prima volta, i piedi, chiedendo un piccolo passo in più, un ulteriore sforzo per completare una grande opera.
Nella mente di Diego Della Valle, però, le “grandi opere” sono ormai ben altre. C’è il Colosseo da restaurare, ci sono i treni dell’alta velocità da realizzare e la Fiorentina decade a ruolo di “figliastra”, da parcheggiare e affidare alle cure – e alle incurie – di dirigenti che nel mondo del calcio stanno a zero e ci stanno, pure, malvolentieri.
La Cittadella, conditio sine qua non del rilancio viola, rimane un freddo plastico buono ormai solo per una comparsata a Porta a Porta e fra la Fiorentina e i Della Valle scoppia la “crisi del settimo anno”. Rigore, freddezza, distacco e autofinanziamento sono le nuove parole chiave di un rapporto, da separati in casa, che si logora e si incrina sempre di più.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 8) La fatal Verona - Calciopoli

Prima della conclusione del campionato, già dal mese di marzo, Mencucci e Cognigni cominciano a lavorare per portare in Società l’uomo della svolta, quel Pantaleo Corvino di cui si dice che sia l’unico in grado di tenere testa a Moggi, e che per la verità un affare con Bojinov l’ha fatto pochi mesi prima, ma per il Lecce.
Approdato a Firenze Corvino, il primo atto formale fu scegliere il “top coach”. Così arriva in riva d’Arno quel Cesare Prandelli del quale tutti dicono un gran bene. Questi uomini mettono in scena una campagna acquisti seconda – nella storia viola – solo a quella di Pontello nel 1981. Arrivano in pochi giorni il bomber Luca Toni dal Palermo, poi Brocchi, Fiore, Pasqual, Gamberini, il portiere Frey, Donadel.
Il campionato che segue sarà altrettanto memorabile. Il gioco brillante dato da Prandelli a tutti questi campioni, e soprattutto i 31 gol di Toni (che vincerà, primo italiano di sempre, la Scarpa d’Oro) portano la Fiorentina ad un quarto posto (valevole per il preliminare di Champion’s League) che viene sancito dalla vittoria a Verona contro il Chievo all’ultima giornata.
Purtroppo, però, mentre i giocatori sul prato del Bentegodi danno vita alla festa per il trionfo, sugli spalti cominciano già ad arrivare le notizie che troncheranno sul nascere quella stessa festa tra i tifosi. Quelle telefonate dell’anno precedente sono state intercettate dai Carabinieri, nell’ambito delle indagini sulla corruzione nel calcio italiano, che passeranno sotto il nome di Calciopoli. Nei guai, non ci finiscono solo i “signori del calcio”, Moggi per la Juve e Braida per il Milan, ma anche i neofiti Della Valle e Lotito, e tutti i loro rispettivi entourage.
Secondo le regole bizantine del calcio italiano, vige la presunzione di colpevolezza, al contrario di quanto avviene nella società civile. O Della Valle dimostra (in pochi giorni) che quelle telefonate sono state innocue, o la Fiorentina viene accusata di illecito sportivo (tentato o consumato, cambia poco) e retrocede di nuovo. E non c’è solo la Giustizia Sportiva, ma anche la Magistratura di Napoli che ha aperto un fascicolo, e spedito ai fratelli Della Valle e all’amministratore delegato Mencucci degli avvisi di garanzia che sembrano metterli in ginocchio.
A Folgaria, all’inizio del ritiro, c’è solo Cesare Prandelli ad accogliere i giocatori. La società pare in quel momento dissolta sotto i colpi di Calciopoli. Tocca a quei pochi presenti a Folgaria di stringere i denti, trattenere le lacrime ed asciugare quelle dei giocatori, che sono partiti da casa per il ritiro qualificati al preliminare di Champion’s e arrivano a Folgaria retrocessi in Serie B.
Le grandi manovre dietro le quinte, messe in atto per salvare “imputati più gravi e più eccellenti”, portano a ridimensionare poi la sanzione per la Fiorentina, che si vede cancellata la qualificazione alla Champion’s per il 2006 e assegnati 19 (poi ridotti a 15 in ottobre) punti di penalizzazione per l’anno successivo. Salvarsi sarà un’impresa da uomini veri. Per fortuna, la Fiorentina scoprirà di averne.
Mentre Corvino mette a disposizione del tecnico altri campioni come il fuoriclasse Mutu, Santana e Liverani, Prandelli e i giocatori stringono un patto. Costi quel che costi, resteremo in serie A, malgrado tutto, anche il campionato dal calendario in salita che ci viene proposto.
E lo fanno. A novembre, quando Martin Jorgensen mette dentro lo splendido gol della vittoria in casa del Torino, la penalizzazione è già azzerata, e da quel momento si comincia a contare i punti con il segno più. E’ un’altra cavalcata, come quella dell’anno prima, ma ancora più affascinante e drammatica.
Toni non ripete l’exploit dei 31 gol, ma Adrian Mutu ci mette molto del suo, Frey para di tutto e di più, e anche gli altri giocano il campionato della vita. Alla fine la Fiorentina è quinta, e Prandelli può vantarsi orgogliosamente di essere arrivato in realtà terzo, cioè direttamente qualificato alla Champion’s, se non ci fosse stata quella dannata penalizzazione.
In Champion’s ci va una volta di più la Roma, ma i viola possono essere fieri di aver compiuto una grandissima impresa, il miglior risultato a tutt’oggi dell’era Della Valle e uno dei migliori di tutti i tempi.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 7) Una stagione "faticosissima"

Serie A! La gente a Firenze riassapora per tutta l’estate del 2004 il gusto di queste due parole sul palato. Una volta era semplicemente “quanto ci competeva”, adesso è un qualcosa di prezioso, da conservare con cura nella cassaforte dei gioielli preziosi.
Si era visto solo due anni prima quanto ci vuole a perderla, e anche in maniera apparentemente irreparabile. Rimane in tutti, insieme al gusto del miracolo appena compiutosi, la sensazione della precarietà del nostro “essere viola” ai vertici del calcio italiano, dopo il fallimento.
E questo è qualcosa che segnerà il rapporto della tifoseria con i Della Valle per gli anni a venire. “Se vanno via, si fallisce di novo” è un mantra che ben presto risuonerà in tutte le sedi dove si parla di Fiorentina, quando i tempi difficili ritorneranno, e in maniera imprevedibile. Ma per il momento, ci si gode solo il presente.
Per la massima serie, si allestisce una squadra apparentemente forte, in joint-venture con la Juventus di Luciano Moggi. Arrivano Chiellini, Maresca e Miccoli, tre giocatori che a Torino non trovano spazio, ma che sembrano più che adeguati per l’organico della neo-promossa squadra viola.
Qualcuno storce il naso per il fatto che si fanno affari con gli odiati bianconeri, qualcun altro sottolinea che ultimamente da quella sponda ci sono arrivati solo fior di campioni, da Cuccureddu e Gentile fino a Torricelli e al mai troppo ringraziato Angelo Di Livio. Per cui non è il caso di fare troppo gli schizzinosi. Dal Perugia sconfitto arriva Obodo, e pare un altro bell’acquisto. Completano il quadro due campioni, quali Tomas Ujifalusi dall’Amburgo e Martin Jorgensen dall’Udinese.
Sul fronte societario, la Fiorentina arriva nella massima serie con la sensazione di poter dire la sua anche i termini “politici”. Diego della Valle è nello stesso tempo profondamente estraneo al mondo del calcio e alla sua gestione “bizantina” da parte di una Federcalcio e di una Lega più vecchie della Prima Repubblica, e animato dalla voglia di fare grandi cose anche in questo nuovo settore in cui si è impegnato. Di lasciare insomma un segno suo, brevettando un marchio altrettanto brillante di quello della Tod’s.
Così, la prima volta che si presenta ad una riunione di Lega, al cospetto dei signori del calcio italiano, lungi da patire alcun timore reverenziale per i suoi colleghi più navigati, e in qualche caso più famosi e potenti di lui, parte in quarta dichiarando senza mezzi termini che quel mondo lì è da moralizzare profondamente con nuove regole e nuovo fair play, e che le risorse finanziarie devono essere redistribuite negoziando nuovi contratti con Federazione e televisioni.
E’ un gesto coraggioso ed ammirevole, che gli vale il plauso di tutti i tifosi viola, in quel momento, e l’unanime rigetto da parte dei colleghi, che da quel momento lo vedranno come un corpo estraneo da isolare ed espellere prima possibile. O quantomeno da ridimensionare.
A novembre, il Milan di Berlusconi ne da sei a zero alla Fiorentina sembrando voler infierire e ricordare agli ultimi arrivati “chi è che comanda”. Poi ci pensa il Palazzo a fare il resto, mandando alle partite della Fiorentina arbitri che non si trovano al meglio della propria condizione.
Il 18 dicembre ci sono anche importanti cambiamenti nella struttura societaria: Andrea Della Valle viene diventa Presidente della Fiorentina al posto di Gino Salica che resta consigliere, Sandro Mencucci e Mario Cognigni sono nominati Amministratori Delegati.
A Natale, la Fiorentina è di nuovo nei guai. Salta prima Mondonico, poi Sergio Buso, alla fine viene chiamato Dino Zoff. In più, a gennaio arriva dal Lecce il gioiellino del momento, Valery Bojinov, pagato a peso d’oro ad un abile DS di cui i tifosi viola sentiranno riparlare, Pantaleo Corvino. Dall’Atalanta n ragazzo toscano di belle speranze, Giampaolo Pazzini.
I risultati non cambiano, gli arbitraggi nemmeno, e dopo poco perfino il flemmatico Dino Zoff dice apertamente di avere “cattivi pensieri”. A poche giornate dalla fine, sembra di nuovo che per salvare la Fiorentina ci sia bisogno dell’intervento esterno di un miracolo. E qualcosa succede.
Come è sempre stata prassi nel calcio italiano, qualcuno in Viale Manfredo Fanti alza il telefono per chiamare la Federazione e chiedere spiegazioni. Atto dovuto, dirà qualcuno, magari si fossero decisi prima. Prassi deleteria, vizio antico del nostro calcio, anche se lo fanno tutti, diranno altri. Fatto sta che alle telefonate seguono incontri, faccia a faccia, chiarimenti.
Difficile dire la ricaduta di tutto ciò, perché dopo una vittoria a Chievo con uno dei pochi gol del deludente Bojinov, segue un pari a Roma con la Lazio frutto di un mani in area biancoceleste di Zauri secondo solo alla “mano de diòs” di Maradona per platealità. Ma l’arbitro, una volta di più, è una statua di sale.
All’ultima giornata, a un disperato Zoff e a dei disperati tifosi viola accorsi al Franchi a soffrire una volta di più, una mano la dà il calendario, che ci offre il non trascendentale Brescia dell’ex Cavasin, mentre le dirette concorrenti vanno a giocarsi impegni più difficili, e Lecce e Parma danno vita ad uno “spettacolare” 3-3 che viene da subito chiacchierato anche per l’atteggiamento apertamente ironico del tecnico Zeman. Retrocede alla fine il Bologna del presidente Gazzoni Frascara, che da subito lamenterà il malcostume delle telefonate ed anche alcuni favoritismi fatti ad altre squadre, tra cui la Fiorentina.
Siamo salvi, ma ci si risveglia in un “mondo difficile”. Le iniziative di fair play di Della Valle gli valgono buona stampa e applausi tra la gente, ma molto astio nella “stanza dei bottoni”. Pare incrinarsi anche il “feeling” con la Juve di Moggi, in estate, per la questione del prestito di Miccoli, Maresca e Chiellini, che tornano alla casa madre. C’è da rifare dunque la squadra, una volta di più.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 6) La fatal Perugia

L’estate del 2003 è uno di quei momenti in cui il calcio italiano si gioca la sua credibilità. E la perde, regolarmente. Il vulcanico Luciano Gaucci, in quel momento ancora “benemerito” per una parte del sistema, ottiene per il suo Catania l’estensione della Serie B a 24 squadre, a risarcimento di presunti torti subiti da quella che all’epoca è la sua seconda squadra. Ciò significa ripescaggio dalla C1 di almeno 4 squadre, per determinare le quali viene scelto il criterio del “blasone”, che premia la neopromossa Fiorentina.
Dopo una campagna acquisti condotta in funzione della C1, che ha visto arrivare altre promesse di quegli anni come Christian Maggio e Sebastian Cejas, ci si dispone ad affrontare una durissima Serie B. Un’impresa da far tremare i polsi a tanti, ma non ai nostri capitani coraggiosi, Gino Salica e Giovanni Galli, che dichiarano apertamente di puntare alla Serie A come obbiettivo della stagione.
I fatti dicono altrimenti. La squadra allenata da Cavasin stenta, e a gennaio è chiaro che se l’obbiettivo deve essere centrato, al di là dei bei discorsi servono rinforzi consistenti. Che peraltro arrivano. All’epoca i fratelli Della Valle non badano a spese. Al mercato di riparazione vengono acquistati da Giovanni Galli e Fabrizio Lucchesi (arrivato in autunno a rinforzare lo staff con la qualifica di Direttore Generale) ben 11 giocatori, tra cui il greco Zizis Vryzas, che va ad affiancare il bomber Christian Riganò, cannoniere efficace anche nella serie cadetta.
I risultati però non cambiano, Diego Della Valle perde la calma: viene esonerato Cavasin, ed al suo posto chiamato il tecnico-tifoso Emiliano Mondonico, con il preciso incarico di agganciare quel sesto posto che darebbe il diritto a giocare il play-off con la quart’ultima della serie A. Mondo è un grande navigatore della serie B. Vryzas giustifica i soldi spesi per prenderlo firmando il gol vittoria contro il Palermo capolista.
Da quel momento la Fiorentina ne vince cinque a fila, e il sesto posto è suo. Si giocherà lo spareggio, e un destino che quell’anno pare volersi divertire mette di fronte alla Fiorentina di nuovo il buon Gaucci, questa volta con la sua prima squadra, il Perugia.
I grifoni umbri per la verità hanno giocato un campionato “alla meno”, come si dice. Squadra abbastanza forte, nel girone di ritorno è andata in crisi di risultati fino a scivolare alla posizione che ora ce la fa incontrare nel doppio spareggio. Sembra una squadra troppo forte per la portata viola, eppure i nostri partono per Perugia fiduciosi. Tanta è forse la voglia di riprenderci il posto che ci compete.
A Perugia, avviene il miracolo. Dopo soli tre minuti di gioco, Enrico Fantini – giocatore fino a quel momento rimasto all’oscuro delle cronache – segna un gol splendido, che è rimasto nel cuore dei tifosi viola. La Fiorentina lo tiene giocando bene per i restanti 87 minuti, mettendo sotto un Perugia impaurito e contratto (c’è chi dice che le motivazioni della prestazioni sono altre, anche alla luce della successiva fuga a Santo Domingo di Gaucci, ma si tratta di illazioni che non sono mai state provate). Nel match di ritorno, i grifoni provano a reagire, ci mettono paura con l’ineffabile Do Prado, ma ancora Fantini si dimostra l’eroe del momento e chiude il conto.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 5) La cavalcata della C2

A settembre comincia il campionato. E’ la C2, così ha voluto il Presidente della Lega Semiprofessionisti Mario Macalli a dispetto di chi (tutta Firenze) chiedeva uno sconto. Il Palazzo che non ci ha mai amati non comincia a farlo adesso, Macalli finisce nella lista dei nemici di Firenze, e il campionato può cominciare. Allenatore un’altra vecchia conoscenza del lontano 1982: Pietro Vierchowod, l’ex-stopper.
La campagna abbonamenti è un trionfo, oltre 17.000 abbonati per confermare che i fiorentini vogliono stare accanto alla propria squadra, dovunque e comunque. Da San Giovanni Valdarno (dove l’ex Ciccio Baiano  ci castiga subito) a Gualdo Tadino fino a Grosseto (passando per una sconfitta interna con il probabile avversario per la promozione, il Rimini), tocca proprio a Vierchowod subire l’impatto con questa terra sconosciuta ed i suoi feroci e impietosi abitanti che è questa C2.
Il “russo”, che non si fa amare neppure dalla stampa con la quale non riesce a stabilire alcun tipo di rapporto, viene sostituito alla decima giornata da Alberto Cavasin, tecnico più navigato, esperto e comunicativo, con il quale la Fiorentina, pardon, la Florentia Viola dopo qualche stento ulteriore spicca il volo, inanellando otto vittorie consecutive che la portano in testa al campionato al pari con il Rimini.
Saranno le vittorie (sempre producenti nei confronti del morale), sarà il nuovo tecnico, sarà che la Società si sta strutturando velocemente, la nuova “cosa viola” acquista sempre più simpatia, oltre che forza. Il 24 febbraio 2003 va a Rimini a giocare il big match nella tana dell’avversario.
E’ apoteosi. Vince 2-0 dominando, e da quel momento la promozione non è più in discussione. C’è tempo per un siparietto estemporaneo a Gubbio, quando una nevicata fuori stagione o quasi costringe i tifosi viola reduci da Wembley e dal Nou Camp di Barcellona a improvvisarsi spalatori, rimboccandosi le maniche senza far caso agli scherzi del destino verso le nobili decadute.
Alla fine di quella stagione incredibile e (si spera) irripetibile, la Florentia Viola è prima con 70 punti, e promossa in C1.
Per regalo, pochi giorni dopo Diego Della Valle ricompra il marchio e i colori storici della squadra di Firenze.
La Fiorentina sta tornando. Siamo ancora vivi. Viva la Fiorentina.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 4) Una squadra in venti giorni

Cosa succede nei giorni successivi al 3 agosto, ha dell’incredibile, e del leggendario, a ripensarci ancora oggi. In poco più di 72 ore, si passa dalla disperazione più nera ad una euforia incontrollata ed incontrollabile.
Siamo ancora vivi. Non c’è una sede, una struttura societaria, nemmeno le maglie da distribuire ai giocatori. Non parliamo dei giocatori. Il solo Angelo Di Livio, tra gli eroi del passato, accetta di rimanere e di scendere a giocare in C2. Un gesto che in futuro non gli varrà una grande riconoscenza da parte della società, ma che sul momento ha una importanza fondamentale. Si, perché della vecchia Fiorentina, quella morta la notte del 31 luglio, non rimane veramente altro.
La squadra messa in piedi da Diego dDella Valle su mandato del Sindaco Leonardo Domenici e dell’Assessore allo Sport Eugenio Giani è fatta di “absolute beginners”, almeno per il calcio in una piazza che conta, pur nobile declassata, come Firenze.
La leggenda vuole che la rottura tra i Della Valle e Giancarlo Antognoni avvenga proprio in quei giorni. Il magico 10, viene contattato non si sa se dal sindaco o dall’assessore, per partecipare alla dirigenza della nuova società, ma forse le proposte si spingono anche oltre. Giancarlo pensa che, come minimo, visto che Giovanni Galli é già stato incaricato come Direttore Sportivo, a lui assegneranno la Presidenza, ruolo di garanzia per la città nei confronti dei nuovi arrivati. Diego Della Valle, invece risponde che, stima molto Antognoni come calciatore, ma non lo vede come manager e, essendo la società sua, il Presidente lo sceglierà lui.
Così a dirigere le operazioni viene chiamato Gino Salica, ingegnere chimico entrato da poco nel Gruppo Della Valle, un gran lavoratore, serio, onesto, capace, che in poco più di venti giorni trasformerà il nulla assoluto in una società di calcio pronta ad affrontare un campionato totalmente sconosciuto.
Come già detto, Direttore Sportivo viene chiamato un vecchio amore di Firenze: Giovanni Galli. L’ex-portiere del quasi scudetto dell’82 compie un’impresa con pochi precedenti portando a termine una campagna acquisti straordinaria per rapidità e consistenza: ben trentatre giocatori che vanno ad aggiungersi a “Soldatino” Di Livio, con alcuni nomi che o sono eccellenti o sono destinati a diventarlo:  Christian Riganò, Alessandro Diamanti e Fabio Quagliarella su tutti.
Si lavora giorno e notte, anche il giorno di Ferragosto, in una sede che consiste in un paio di locali ritagliati nello Stadio Franchi. La nuova società, non essendo ancora fallita la vecchia e non dovendosi creare pertanto nessun tipo di continuità con essa per non addossare a Della Valle situazioni debitorie pregresse, si chiama “Fiorentina 1926 Florentia srl”. Per gli affezionati, cioè tutti i fiorentini, sarà “Florentia Viola”. Gli sponsor sono un bel colpo: la Fondiaria (che lega così per la prima volta il suo nome alla società di Della Valle) e la Puma che fornisce a spron battuto le nuove maglie.
A metà agosto, la Florentia Viola può scendere in campo, e a nessuno pare ancora vero. Nella prima partita ufficiale, Fiorentina – Pisa di Coppa Italia (21 agosto 2002) allo Stadio Franchi partecipano più che altro dei ragazzini della Primavera (o di quello che ne rimane dopo il disfacimento della Fiorentina di Cecchi Gori ed il saccheggio operato da procuratori e società interessate). E’ una partita che ha soprattutto un valore catartico: i fiorentini si ritrovano una volta di più a riempire lo stadio, quando credevano invece di non avere più una squadra di calcio, solo per urlare in faccia non solo ai tifosi pisani e ai loro sfotto’ ma a tutto il mondo incredulo: “siamo ancora vivi”.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 3) Si muovono le Istituzioni, rinasce la speranza

1° agosto 2002: Firenze è una città ammutolita, annichilita, svuotata e sotto shock. L’incredulità delle prime ore lascia il posto ad un dolore profondo e insopportabile. La Fiorentina, stritolata e fagocitata dai debiti e dall’istanza di fallimento, non esiste più. Una lunga e ininterrotta storia d’amore é stata spezzata e spazzata via.
Firenze, per la prima volta nella sua storia di città perennemente e orgogliosamente “contro”, incapace di arrendersi e di rassegnarsi al destino, reclina la testa. Non ha più la forza, non ha più la speranza, non ha più niente da difendere e per cui combattere. Eppure, come per miracolo, in 48 ore tutto è destinato a cambiare. Le Istituzioni decidono di scendere in campo, di tentare il tutto per tutto pur di scongiurare il rischio che Firenze possa perdere, in quella rovente e maledetta estate, la squadra per cui vivere e tifare.
In quelle giornate infuocate, sono ore frenetiche quelle che si vivono a Palazzo Vecchio. Si cerca, con l’orologio che scandisce il poco tempo a disposizione, una soluzione fra le pieghe delle carte federali che consenta di sfuggire all’oblio. Occorre un nuovo soggetto che consenta a Firenze di mantenere il titolo sportivo e di sopravvivere, seppur, in una serie cadetta.
Il Sindaco Leonardo Domenici e l’Assessore allo Sport Eugenio Giani decidono di costituire una nuova Società giusto in tempo per la regolare iscrizione ad un campionato professionistico, con l’intento di cederla poi ad un nuovo proprietario, in grado di prenderne le redini.
Il calcio a Firenze non può morire, la Fiorentina non deve morire, perché non si tratta di cancellare una società di calcio, ma un pezzo di cuore e l’anima di una città intera.
Domenici e Giani fondano una nuova società dove, per tutelare i nuovi acquirenti, viene bandito ogni elemento di continuità con il passato, per scongiurare possibili e future rivendicazioni dei creditori. Nasce la Florentia Viola I fiorentini pagheranno a caro prezzo quella doverosa scelta, perdendo il nome e il colore.
E’ una Fiorentina mutilata e sfigurata, ma viva. Quel “Florentia Viola” è un bendaggio, un passaggio doloroso e necessario, che tutti vedono come medicazione necessaria per poter un giorno rivedere il vero volto della Fiorentina.
Arriva l’iscrizione alla C2 e cominciano i sondaggi e il vaglio delle offerte. Tutto viene gestito con grande riservatezza, fino al 3 agosto: giorno in cui, praticamente dal niente, esce il nome di Diego Della Valle. Il tam tam mediatico spinge a consultare freneticamente Internet per capire chi sia l’uomo della Provvidenza, l’imprenditore che giunge dalle Marche per raccogliere ciò che resta di una storia e di un amore.
Si sa poco di lui, ma si apprende quel che basta in quel frangente. È ricco, è potente ma, soprattutto, è pronto a partire da Firenze, in questa nuova avventura, e a far ripartire la Fiorentina. Per lui è una sfida e Firenze ama le sfide, soprattutto se si sente scelta e amata.
Il miracolo si é compiuto. Ci attende un lungo viaggio e, per quanto possa essere duro, umiliante e in salita, niente ci può più scoraggiare. Finalmente abbiamo una strada da percorrere.
Si riparte dalla C2, ma siamo vivi e quella é l’unica cosa importante. Occorre solo rimboccarsi le maniche, sputare sangue, sudore e lacrime ma la meta, il ritorno in serie A con il nostro nome e i nostri colori, non é più una chimera.
Firenze rinasce dalle proprie ceneri: c’é una Fiorentina da ricostruire, c’é da mettere in campo tutto l’orgoglio, la dignità e la forza di volontà che i fiorentini hanno nel DNA. Niente ha mai piegato e sconfitto Firenze: non ci sono riuscite le pestilenze, le esondazioni dell’Arno, Papi e Imperatori che non son mai riusciti a farne un proprio tesoro.
Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo” disse Archimede. La leva é Diego Della Valle, la forza quella di un intero popolo: quello viola.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 2) La caduta

Non c’è neanche il tempo di mettere in bacheca la Coppa Italia, che scoppia il dramma. Da tempo si sa che il  Gruppo Cecchi Gori è in difficoltà economiche. La guerra cinematografico-televisiva con Berlusconi sta producendo danni incalcolabili. C’è chi dice che la Fiorentina è forse l’unica sana tra le società controllate dal gruppo. Ma è proprio la Fiorentina a pagare il primo, durissimo prezzo.
Dapprima la Co.Vi.Soc. (Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio, istituita dalla FIGC quale antesignana del Fair Play finanziario) avanza seri dubbi sulla capacità dell’A.C. Fiorentina di potersi iscrivere al campionato di calcio per la stagione 2001-2002. A nulla serve far notare che ci sono società, al nord e al centro-sud, assai più indebitate della Fiorentina. La società viola è l’unica sul banco degli imputati.
La Co.Vi.Soc., per ammeterla al campionato, pone come condizione senza deroghe la cessione immediata dei pezzi migliori della squadra, per pareggiare i conti in rosso. Un bell’assist per Inter e Milan, che si aggiudicano, a prezzi di svendita fallimentare, rispettivamente Francesco Toldo e Manuel Rui Costa. Altri due addii dolorosissimi dopo quello di Gabriel Omar Batistuta, già passato alla Roma dove ha vinto nel frattempo lo scudetto a lungo sognato e mai raggiunto sulle rive dell’Arno.
La Fiorentina, ridimensionata nell’organico, può cominciare il campionato. Sarà l’ultimo della gestione Cecchi Gori. Contro il quale il Tribunale Civile di Firenze, ha nel frattempo avviato una (in seguito molto chiacchierata) azione fallimentare. Il cerchio si stringe addosso a Vittorio. Il dramma arriva presto anche in campo.
Con un organico impoverito, Mancini non riesce a ripetere i risultati dell’anno prima. In campo i lottatori sono pochi: Di Livio, Torricelli, Chiesa. Gli altri, o sono ormai alla frutta o non valgono tecnicamente e umanamente (come Domenico Morfeo e Marco Rossi) coloro che sono venuti a sostituire.
Quando si fa male gravemente Enrico Chiesa, si capisce che la campana ha cominciato a suonare a morto per questa Fiorentina. A gennaio viene preso un giovane di belle speranze in prestito, il brasiliano Adriano. Ma la squadra ormai è allo sbando. Mancini viene avvicinato da un gruppo di tifosi, e “convinto” a mollare. Al suo posto, dopo una breve parentesi di Luciano Chiarugi, arriva Ottavio Bianchi, che ben presto fa capire che l’unica sua preoccupazione, o quasi, è lo stipendio. A proposito, girava voce che la società ai giocatori lo stipendio non lo pagasse più.
Ai primi di aprile la Fiorentina è già matematicamente retrocessa in serie B, per la terza volta nella sua storia, e la seconda nell’epoca Cecchi Gori. Basterebbe questo a dare contorni drammatici a quel finale di stagione e a gettare nello sconforto i tifosi. Invece, il bello deve ancora venire.
Sempre la Co.Vi.Soc. fa sapere alla città di Firenze che la sua società di calcio, lungi dal potersi iscrivere al prossimo campionato di serie B, rischia di essere azzerata, di perdere addirittura il titolo sportivo e scomparire, se non verranno messi a posto i conti, in rosso più che mai. Il Gruppo, a quanto pare infatti, ha attinto fondi dalla controllata A.C. Fiorentina, che adesso sta affogando.
Mentre a Roma e Lazio viene consentito di spalmare i debiti folli contratti per la vittoria dei recenti rispettivi scudetti in almeno due generazioni future, alla società viola non vengono fatti sconti. Si arriva agli ultimi giorni del mese di luglio, e sembrano gli ultimi giorni di Pompei, a Firenze. Con la differenza che qui tutti sanno in anticipo che fine faranno. Vittorio Cecchi Gori non ne ha più. Il penultimo giorno utile, il 30, compare un misterioso fax di una Banca colombiana che pare aver concesso un miracoloso “fido”.
L’illusione – o per meglio dire la farsa – dura lo spazio di una notte. All’alba del 31 luglio, è chiaro a tutti che lo spettacolo è finito, miracoli non ce ne saranno, e si tratta solo di vedere le lancette dell’orologio scorrere verso le 19,00. Ora alla quale verrà pronunciata la sentenza.
E le 19,00 alla fine arrivano. Mentre una città intera trattiene il fiato, come poche altre volte nella sua storia (la Liberazione, l’Alluvione, il paragone non è un’eresia…), la sentenza arriva, inesorabile.
Tutti fanno ritorno disperati nelle loro case. Sarà una lunga notte, quella. La Fiorentina non esiste più.

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 1) Declino e caduta della Casa Cecchi Gori

Vittorio Cecchi Gori rimane, nella memoria collettiva, l’uomo che ha fatto finire i libri contabili della Fiorentina in Tribunale, quello che l’ha fatta fallire, sparire, morire. Vittorio, però, è stato anche l’uomo delle ciliegine, delle arrampicate in balaustra, degli striscioni sull’incedibilità di Batistuta, delle scintillanti presentazioni della squadra, corredate da modelle e attrici che portavano nella periferica Firenze il sapore di quella Hollywood alla amatriciana che si era ritrovato per le mani.
L’impero cinematografico era stato costruito da suo padre. La stessa Fiorentina era creatura di Mario Cecchi Gori e sotto la sua egida avremmo, sicuramente, scritto tutta un’altra storia. Vittorio aveva il destino segnato di chi è condannato ad essere sempre e soltanto “il figlio di”: un eterno numero due, imbrigliato da chi, con onestà intellettuale che prevaleva sull’amore paterno, vedeva in lui i limiti del gregario.
Mario se ne è andato nel 1993 e Vittorio ha avuto finalmente carta bianca: ha conseguito così la sua maturità e quell’affrancamento negato fino ad allora dal genitore-tutore. E così, in rapida e inesorabile successione, ci furono l’esperienza in politica, le televisioni, il burrascoso divorzio da Berlusconi: tutte esperienze fallimentari che decretarono l’inesorabile inizio di un declino, in cui Vittorio ha perseverato con pervicacia e testarda convinzione.
La Fiorentina ha pagato i suoi limiti e i suoi errori e niente è stato fatto per salvarla: per lei non si son scomodati a inventarsi un “decreto spalma debiti” o la miracolosa trasformazione in “ramo di azienda”.
Gli ultimi mesi del suo regno sono stati surreali e grotteschi. La liason con Valeria Marini, lo zafferano, le perquisizioni, fino al fax della banca colombiana che avrebbe dovuto salvare la Fiorentina. Una trama degna di uno dei suoi migliori film…..
Quello che, però, è accaduto nell’estate del 2002 non era scenica finzione, ma la triste realtà. L’amara storia del principe che non diventò mai re e che perse il suo regno a causa della cieca presunzione di chi il bastone del comando lo ha ereditato e non conquistato.
Il Feudo Viola moriva con il suo impero…

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: prologo

È il 13 giugno 2001 quando Manuel Rui Costa alza al cielo la Coppa Italia. Esplode la gioia di giocatori e tifosi sull’erba del Franchi, per un trionfo sofferto e voluto. Nessuno può immaginare in quel momento che sarà l’ultimo e che, all’incirca un anno dopo, a Firenze la gente viola starà a trepidare per ben altra questione: la possibilità di non avere più una squadra di calcio.
Dodici anni. Tanto tempo è passato da quando in Piazza Savonarola andò tutto in pezzi. Da quando la Città di Firenze perse una delle sue istituzioni più importanti, più caratterizzanti l’essere fiorentini, insieme al Calcio Storico, alla Festa del Grillo, allo Scoppio del Carro, alla Rificolona. Da quando morì l’A.C. Fiorentina. Sembrava, e sembra ancora oggi, decisamente impossibile.
La società fondata nel 1926 dal marchese Luigi Ridolfi, la squadra dalle maglie viola, ormai faceva e fa parte della città in modo indissolubile. Vederla sparire fu come trovarsi al Piazzale Michelangelo e vedersi togliere all’improvviso la vista di uno dei monumenti famosi in tutto il mondo e che costituiscono nel loro complesso il colpo d’occhio che tutti associamo a Firenze. Levate il Campanile di Giotto, o la Cupola del Brunelleschi, e cambia tutto. Levate la Fiorentina, levate la bandiera viola sulla Torre di Maratona dello stadio di Luigi Nervi, e niente sarà più come prima.
Eppure accadde. Dodici anni fa. Era un luglio molto caldo, la squadra era reduce da una delle stagioni più disastrose, finita con la retrocessione nella serie cadetta, la discussa proprietà della famiglia Cecchi Gori volgeva al termine tra debiti e lotte politico-economiche nazionali e locali. Ma i tifosi viola, abituati da sempre a soffrire, ne avevano viste così tante da non poter credere che anche questa crisi sarebbe stata superata.
E allora, si diceva, alla Roma, alla Lazio, al Parma, al Napoli cosa dovrebbero fare? Alla fine ci salveranno…. Non andò così. Il Palazzo, che non ci aveva mai amato particolarmente, quella volta non si inventò niente per salvarci. Nei giorni compresi tra la fine di luglio e la metà di agosto 2002 si consumò a Firenze uno psicodramma incredibile. Una sera si andò a letto senza più avere una squadra di calcio, la “nostra squadra del cuore”, due o tre giorni dopo ci si svegliò leggendo sul giornale che il Comune, applicando una norma fino ad allora sconosciuta del diritto sportivo e societario, aveva recuperato dalla defunta A.C. Fiorentina il “titolo sportivo” e l’aveva consegnato nelle mani di un industriale marchigiano fino ad allora quasi sconosciuto, Diego Della Valle, patron della Tod’s.
I retroscena di questa vicenda, dal fallimento Cecchi Gori all’avvento di Mister Tod’s, sono tutt’ora oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori e i tifosi. Quello che è certo è che da una morte certa a una resurrezione che definire miracolosa è poco il passo fu brevissimo, e nell’agosto 2002 prese il via un’epopea che almeno per i primi sette-otto anni portò la Fiorentina rinata (o Florentia Viola, come si chiamò inizialmente) sulle prime pagine di tutti i giornali, non solo sportivi, e i suoi proprietari a una notorietà indiscussa, non solo per i risultati ottenuti ma anche per alcune iniziative decisamente dirompenti rispetto a un mondo del calcio decisamente fin troppo tradizionalista.
I guai per la Fiorentina non erano certo finiti, come la vicenda di Calciopoli si incaricò di dimostrare ben presto, ma la più grave crisi della sua storia fu brillantemente superata. Nessuno, fuori di Firenze, aveva dato una mano alla Fiorentina. E tuttavia la Fiorentina era risorta.
Questa è la storia di quei giorni che sconvolsero Firenze. La storia di questi anni che hanno cambiato per sempre la Fiorentina.