venerdì 1 gennaio 2016

Enrico Befani il pratese che fece grande Firenze

Era nato a Prato nel 1910. All’inizio degli anni ’50, quando Prato stava diventando una delle capitali industriali italiane, e nel settore tessile una delle capitali mondiali, era uno degli imprenditori più prestigiosi e facoltosi. Enrico Befani era un grande organizzatore, con idee moderne, e con una grande passione, oltre al suo lavoro: il calcio.
Enrico Befani con il Marchese Ridolfi
A due passi da casa sua, a Firenze, la squadra viola, dai tempi eroici del Marchese Ridolfi al dopoguerra, aveva cominciato a farsi un nome, attraverso prestazioni dignitose e campionati a volte anche conclusi in posizioni prestigiose, mai però sopra il quinto posto. In un calcio ancora artigianale e dilettantistico, finita l’epopea del Grande Torino, solo gli squadroni del nord avevano una struttura societaria che si elevava al di sopra del pressappochismo. La Fiorentina di quegli anni giocava benino, segnava poco, e aveva un rendimento altalenante. La società cercava di investire, ma spesso senza idee chiare. I tifosi in compenso cominciavano a sognare un futuro più roseo, come Firenze meritava.
Le idee chiare non mancavano a Befani, che nel 1952 rilevò la società viola da Carlo Antonini. Il neo-presdente si intendeva di calcio, oltre che di organizzazione societaria. Non era ancora arrivato in sede che già aveva acquistato due pezzi pregiati come il mediano Segato e l’ala Prini, oltre ad altri giocatori promettenti. Nel suo primo campionato, 1952-53, la squadra partì malissimo. A metà campionato si ritrovò in piena lotta per la retrocessione. Befani decise di esonerare l’allenatore Renzo Magli, e siccome a volte la fortuna aiuta gli audaci, la sua scelta cadde su quanto di meglio c’era allora: Fulvio Bernardini.
Un imprenditore, la storia lo ha spesso dimostrato, è grande non solo per le proprie qualità, ma anche per quelle dei collaboratori che si sa scegliere. Fulvio Bernardini era stato un gran giocatore, e come raramente succede, si apprestava a diventare un grandissimo allenatore. Esplose qui a Firenze, ed esplose grazie a Befani che gli dette fiducia e lo assecondò. Bernardini era un teorico del Sistema, o WM, il modulo che andava per la maggiore allora. Ma soprattutto era un teorico del principio che per giocare a calcio, qualunque sia il modulo, essenziali sono i piedi buoni. E Befani gliene mise a disposizione in quantità. Con le sue risorse economiche non indifferenti, e con la capacità di spenderle al meglio, nel giro di due anni portò a Firenze Sarti, Virgili, Gratton, Bizzarri, Orzan, e soprattutto il miglior brasiliano ed il miglior argentino che si poteva acquistare in quel momento: Julinho e Montuori.
La Fiorentina del 1955-56 volò verso il primo scudetto della storia societaria senza trovare avversari. Alla fine i punti di vantaggio sul Milan arrivato secondo furono dodici, e solo il Genoa agli ultimi minuti dell’ultima partita riuscì a battere lo squadrone viola. Negli anni successivi, le potenze del nord si riorganizzarono e – con qualche aiutino, di cui a Firenze ci si lamentò soprattutto nel 1958 – tornarono a primeggiare. Seconda, per quattro anni consecutivi, la Fiorentina di Befani, e qualcosa voleva pur dire. In Nazionale, il blocco della Fiorentina dettava legge in quegli anni. Nel 1957 soltanto un Real Madrid anch’esso non certo mal visto – diciamo così - dalla Federazione riuscì a battere in Coppa dei Campioni la Fiorentina.
Befani era un talent scout. Nel 1958 Julinho rientrò in Brasile, colpito dalla saudade. E il presidente andò a scovare per sostituirlo un ragazzino svedese che aveva giocato nella sua nazionale sconfitta solo dal Brasile ai mondiali casalinghi appena disputati, un’ala all’apparenza fragile, come un uccellino, disse qualcuno: Kurt Hamrin. Il gioiello più prezioso che lasciò in eredità al suo successore, Enrico Longinotti, quando alla fine del 1961 decise di lasciare, non prima comunque di aver vinto il primo trofeo internazionale non solo della Fiorentina, ma anche di una squadra italiana in assoluto, la Coppa delle Coppe.
Una delle caratteristiche del presidentissimo viola era quella di operare continuamente riassetti societari (finalizzati a ricapitalizzazioni), che a volte però andavano a scontrarsi con un ambiente fiorentino come sempre scorbutico e a volte un po’ invidioso di chi aveva successo, per di più venendo da fuori. A cinque anni dallo scudetto, Befani ritentò la sorte proponendo riforme allo statuto e alla struttura societari al fine di aprire un nuovo ciclo vincente. Le riforme gli furono bocciate dal consiglio d’amministrazione, e lui decise di mollare, sbattendo la porta. Il suo ultimo commento da presidente viola, dicono, fu: “ciò che oggi avete negato, un giorno sarete costretti ad accettarlo senza discussioni e senza che vi possiate opporre”. Frase quanto mai sibillina.
Enrico Befani morì a Prato nel 1968, a pochi mesi di distanza da un’impresa che ripeteva la sua del 1956: il secondo scudetto viola di Nello Baglini.

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