venerdì 1 gennaio 2016

Mario Cecchi Gori, sotto sotto... strapazzato da anomala passione

Maggio 1990. Piazza Savonarola è in fiamme. I tifosi della Fiorentina, reduci dalla sconfitta in Coppa  UEFAcontro il peggior avversario che ci sia, la Juventus, sul campo neutro – anzi ostile – di Avellino, hanno appreso al ritorno che Roberto Baggio non è più il loro gioiello, ma quello della nemica bianconera. I Pontello l’hanno venduto già prima della finale. La rabbia della gente esplode, la sede della A.C. Fiorentina è presa d’assedio, volano insulti prima e sampietrini poi.
La polizia carica, la folla inferocita si disperde in mille rivoli, spesso accolta nelle case della gente comune, incredibilmente e straordinariamente compatta e solidale con i manifestanti e contro le forze dell’ordine. Una cosa è certa, i Pontello – che erano stati accolti dieci anni prima come i salvatori della patria, gli uomini del destino – hanno concluso la loro epopea viola, e nel modo più ignominioso. Una loro permanenza alla guida della società non è nemmeno pensabile, già sarà dura pensare di restare a vivere e a lavorare a Firenze, se non a prezzo di farlo sotto scorta, per lungo tempo.
Quello che i tifosi non sanno è che al pari di quella per la cessione di Baggio ai gobbi, c’è stata un’altra trattativa segreta condotta in parallelo dai Conti fuggiaschi: quella per la vendita della società. Il compratore è un vecchio tifoso che da lungo tempo fa la corte a una delle passioni della sua infanzia. Si chiama Mario Cecchi Gori, lo conoscono in tutto il mondo, è uno dei produttori cinematografici italiani più prestigiosi. Vive a Roma, ma è rimasto fiorentino nel cuore, e non ha mai smesso di seguire quella Fiorentina che adesso gli viene offerta. Quella Fiorentina che, ancora una volta nella sua storia, ha bisogno di essere salvata.
L’ultimo e più grande film di Mario Cecchi Gori comincia così. Il tentativo disperato di trattenere Baggio non ha e non può avere esito, è già di Agnelli e i Pontello in compenso si portano via anche l’incasso. Al produttore non resta che allestire un nuovo cast in fretta e furia, con l’improbabile mister Lazaroni alla guida di ragazzi di belle speranze. La maglia del codino cade sulle spalle di Massimo Orlando, ma l’impresa si rivelerà troppo gravosa per lui. Altre stelle di Italia 90 come Lacatus, Kubik e il Dunga avvilito dal flop della nazionale carioca non bastano a rilanciare la Fiorentina, che quell’anno si leva una sola soddisfazione: battere proprio la Juventus con gol di Fuser e rigore non tirato da Baggio e parato da Mareggini a De Agostini.
Cecchi Gori è abituato alle grandi productions, vuole di più. Il suo braccio destro Luciano Luna parte a caccia di talenti, come ha fatto fino ad allora nel cinema. Ce ne sarebbe uno in Argentina, si chiama Diego Latorre. Il Boca lo vende ad una condizione, che si prenda anche un giovane attaccante, tale Omar Gabriel Batistuta. E’ stato capocannoniere in Coppa America, Cecchi Gori e Luna, poco convinti, finiscono comunque per dire sì. Sarà il più grande acquisto della società dai tempi di Antognoni. Intorno a questo ragazzo dai fondamentali all’inizio non brillantissimi ma dalla potenza devastante sarà costruita nel corso degli anni una squadra come la Fiorentina ha avuto poche volte nella sua storia.
Cecchi Gori ha un sogno, che poi è quello di tutti i suoi concittadini: il sospirato terzo scudetto, l'oscar del calcio. Nel 1993 pare l’anno buono, con gli acquisti di Laudrup, Effenberg ed il ritorno del condottiero Radice in panchina. 20 anni prima la sua Fiorentina era stata una delle più belle dell’epoca. Stavolta alla fine del girone di andata arriva fino al secondo posto, a ridosso del grande Milan di Capello. A gennaio sembra di poter vivere un’annata trionfale, invece succede il patatrac.
Sconfitta in casa con l’Atalanta, Radice esonerato malgrado il secondo posto, voci insistenti di torbidi avvenuti – per questioni di mogli – tra il mister ed il figlio del padrone. Già, perché Mario Cecchi Gori ha un figlio, si chiama Vittorio, e come tutti i figli d’arte ha il problema non da poco di affermarsi fuori dell’ombra del padre, nel suo caso assai ingombrante. Vittorio non ha il carattere flemmatico di Mario, è un fumino, come si dice a Firenze. Agisce d’impulso, tanto più quando si ritiene attaccato nelle sue prerogative. Ha sempre vissuto la vita dorata del jet set romano e di Cinecittà. La Dolce Vita, appunto. Ha combinato un matrimonio da copertina con la splendida attrice Rita Ruzic, che da delizia iniziale diventerà pian piano la sua croce. Non si sa se le voci su lei e Radice fossero vere, fatto sta che al rientro negli spogliatoi dopo il match con l’Atalanta le parole grosse che volano sono tante, troppe, per essere giustificate solo da un passo falso casalingo.
Via Radice, la stagione si complica con progressivo scivolamento della squadra verso le posizioni di bassa classifica. Vittorio Cecchi Gori imperversa, nel bene e nel male. Sale sulla balaustra, e il padre sembra guardarlo sconsolato, incapace di capire dove porterà questa esuberanza del figlio. A fine stagione, infatti, la Fiorentina retrocede in B, per la seconda volta nella sua storia. Ci mette molto del suo, giocando sempre peggio, il resto lo fa il Palazzo, che aspettava da tempo di regolare i conti con una piazza dove la Federazione, la Nazionale e tutto l’entourage di Don Vincenzo Matarrese dopo il ’90 sono stati contestati pesantemente ad ogni occasione.
Mario Cecchi Gori viene applaudito dai tifosi, malgrado la fine drammatica del campionato. Tra le lacrime, promette un pronto riscatto, e si porta in serie B tutti i campioni che se la sono guadagnata sul campo. A settembre, la Fiorentina parte a spron battuto, facendo vedere che quel campionato di B sarà una pura formalità, un purgatorio da attraversare più in fretta possibile per poi riprendere la corsa verso la gloria.
Sono le ultime immagini che Mario Cecchi Gori si porterà via con sé. La sua corsa in questa vita si ferma il 5 novembre, a causa di un arresto cardiaco che lo fulmina mentre lavora, nel suo studio ai Parioli. Lascia una moglie, Donna Valeria, e soprattutto un figlio, il suddetto Vittorio. Adesso è tutto nelle sue mani, e a frenare le sue danze spericolate sulla balaustra dello stadio Franchi non c’è più nessuno.

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