Gila! Non è il titolo
di un numero di Tex Willer, ma bensì la notizia che irrompe su tutti i siti web
che si occupano di calciomercato. Alberto Gilardino torna alla Fiorentina, tre
anni dopo averla salutata, in uno dei suoi momenti più bui, perché “si era
spenta la luce”, aveva perso le motivazioni, aveva bisogno di cambiare un’aria
che per lui si era fatta pesante.
Era andato a chiudere la sua carriera
in Estremo Oriente, al Guangzhou Evergrande Football Club, la squadra cinese di
Canton in cui avevano già trovato rifugio dorato altre due vecchie glorie del
calcio italiano: il mister Marcello Lippi e Alessandro Diamanti. Le ultime
stagioni al Bologna e al Genoa gli avevano fatto sentire il peso degli anni, 33
compiuti nello scorso luglio, e la lontananza ormai dai giorni di gloria. Quelli
che in tre anni lo avevano visto vincere un titolo Europeo con l’Under 21 di Claudio
Gentile, un titolo mondiale con la Nazionale Azzurra di Lippi e una UEFA
Champion’s League con il Milan di Carlo Ancelotti. Per non parlare dell’epopea
in vola.
Il ragazzo nato a Biella il 5
luglio 1982, il giorno che l’Italia di Bearzot batteva il Brasile di Falcao e
Zico al Sarria di Barcellona, era sembrato un predestinato quando era esploso
nel Parma a vent’anni. Nelle mani di un Cesare Prandelli che allora sembrava
trasformare in oro tutti i giocatori che allenava si era imposto all’attenzione
dei grandi club e della Nazionale a suon di gol. Nel 2005 era approdato al
Milan, dopo aver sfiorato per due volte la vittoria nella classifica dei
marcatori italiani con 23 gol in ciascuna stagione.
Ma se in Nazionale il Gila era
esploso arrivando a formare con Luca Toni una coppia di attacco da titolo
mondiale, con i rossoneri la sua vena era sembrata come inaridirsi. Il Milan di
Ancelotti non giocava per lui, a differenza del Parma e della squadra azzurra,
e nonostante la vittoria in Champion’s – anzi forse proprio per la sua
esclusione dalla finale di Atene in cui il Milan ottenne la settima coppa
vendicandosi del Liverpool che lo aveva sconfitto rocambolescamente ad Istanbul
due anni prima – maturò ben presto in lui il proposito di accasarsi in una
squadra più confacente.
Nell’estate del 2008 la
Fiorentina di Cesare Prandelli, sua vecchia conoscenza, era sulla cresta dell’onda.
Semifinalisti in Europa League, i viola erano intenzionati a dare l’assalto
alla Champion’s con una squadra all’altezza, e il diesse Corvino cercava
appunto un centravanti da affiancare al fenomeno Adrian Mutu, dopo che Bobo
Vieri aveva appeso le scarpette al chiodo e i giovani Pazzini e Osvaldo
stentavano a mantenere le promesse iniziali.
Il passaggio del Gila in viola fu
altrettanto clamoroso di quello in rossonero avvenuto tre anni prima. Il
biellese entrò subito nel cuore dei suoi nuovi tifosi segnando nei minuti
finali il gol del pareggio della Fiorentina contro la Juventus nella gara d’esordio
al Franchi. Miglior biglietto da visita non poteva esserci. Malgrado una
partecipazione europea incolore, quell’anno la Fiorentina giocò un bel
campionato riqualificandosi nuovamente alla coppa con le orecchie. Della prima
stagione in viola si ricordano le sue 19 reti (100 complessive n serie A), ed
anche l’incidente – da lui sempre definito involontario – del gol segnato di
mano a Palermo in ricaduta che gli valse una squalifica di tre giornate a seguito di una delle rarissime applicazioni
della prova TV.
L’anno dopo, l’ultimo di Cesare
Prandelli prima che lasciasse il viola per l’azzurro, le sue reti in campionato
scesero a 15. Quelle in Champion’s furono invece 4, e lo portarono a
complessive 10, lo stesso score europeo in viola di Omar Gabriel Batistuta. Il
gol che lui stesso avrebbe definito il più importante della sua carriera lo
avrebbe segnato il 7 dicembre 2009 ad Anfield Road, in casa del Liverpool, al
93° minuto di una partita che rimase come una delle più grandi vittorie
internazionali di sempre della Fiorentina, qualificata al turno successivo di
coppa proprio a spese dei Reds.
You’ll never walk alone? Macché,
proprio quella notte il giocattolo viola si ruppe. Prandelli fu invitato da un
dirigente a cercarsi un’altra squadra, la banda viola resse fino al 9 marzo,
giorno in cui il Bayern la eliminò dalla competizione europea – con la
complicità del vergognoso arbitraggio del norvegese Ovrebo e del gol in
fuorigioco chilometrico segnato da Miroslav Klose -, dopodiché ruppe le righe
anche in campionato, collezionando alla fine 17 sconfitte complessive.
L’anno dopo, con Sinisa
Mihajlovic insediatosi sulla panchina di un Prandelli che aveva lasciato un’eredità
emotiva prima ancora che tecnica pesantissima, Gilardino fu uno di quelli che
accusò maggiormente il colpo, anche se con le sue reti contribuì a reggere la
baracca. A Bari a febbraio segnò il suo gol numero 200 in carriera, a fine
stagione si era issato al decimo posto tra i marcatori viola di sempre.
L’anno dopo ancora, stagione
2011-12, con Mihajlovic sempre al timone, il Gila aprì la stagione segnando il
primo gol ufficiale in Coppa Italia al Cittadella. In campionato segnò due
reti, una alla seconda giornata e una alla sedicesima, l’ultima prima di uscire
di fronte alla stampa con la famosa confessione a cuore aperto della “luce
spenta”. Il 3 gennaio 2012 terminò la carriera in viola di Alberto Gilardino
con il suo trasferimento al Genoa. I tifosi la presero malino, le battute sulla
bolletta dell’ENEL si sprecarono, niente comunque a paragone di quanto sarebbe
successo di lì a poco a Riccardo Montolivo, un altro di quelli che a Firenze
avevano fatto il loro tempo, in una stagione destinata a concludersi con gli schiaffi
di Delio Rossi (subentrato a Mihajlovic) a Llajic.
"Gilardino, sonaci i'violino!" |
Tre anni dopo, nel momento in cui
la Fiorentina si scopre a corto di attaccanti (con Rossi e Bernardeschi
convalescenti, Gomez alle prese con una crisi psichica e tecnica e Babacar
reduce anch’egli da un infortunio) e deve tornare sul mercato per ovviare,
Andrea della Valle si scopre da parte sua improvvisamente nostalgico del bomber
biellese, così come lo era stato di Luca Toni in occasione di un altro ritorno
clamoroso. Ecco quindi che dopo aver preso Alessandro Diamanti Daniele Prade’ è
dovuto volare di nuovo in Cina per recuperare un altro talento dei tempi d’oro
viola e azzurri che sembrava disperso in lontananza sul viale del tramonto.
I tifosi la prenderanno come
sempre. Se la luce è stata riallacciata in casa del Gila, se l’uomo che segnava
gol a raffica e andava a festeggiarli con una sviolinata sotto la Curva Fiesole
(“Gilardino sonaci i’violino!") si ripresenterà gonfiando la rete come fece l’altra
volta, ogni perplessità sarà superata (come è stata superata in extremis la
concorrenza del Cagliari di Gianfranco Zola) e i soldi di Della Valle, tanti o
pochi, saranno stati spesi bene una volta di più.
Il violinista è tornato. Non è un
quadro di Kandinsky. Alberto Gilardino nei prossimi giorni si allena con la
Fiorentina.
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