I vecchi campioni lasciati andare dalla Fiorentina in quel 1986 vanno a
fare grandi le milanesi: Passarella all’Inter, Galli e Massaro al Milan.
Proprio il portiere comincia una delle sue “nuove vite” in quello che
sembrava il suo annus horribilis. Al Milan è appena arrivato un
nuovo proprietario, dicono molto ambizioso, e non solo in ambito
calcistico: Silvio Berlusconi. Il quale vuole vincere subito, e va a
prendere pezzi da 90. Galli viene preso dalla Fiorentina per 5 miliardi
di lire di allora. Saranno spesi bene. Con l’ex viola in porta, e con
buona pace di Gianni Brera che lo giudica un mediocre, i rossoneri
vinceranno uno scudetto, due coppe dei campioni, una coppa
intercontinentale, una supercoppa europea ed una italiana. Anni d’oro, e
un inevitabile legame che si instaura tra Giovanni, il Gruppo Mediaset e
l’entourage di Berlusconi. Legame che darà frutti in seguito.
Nel 1990, di nuovo campione del mondo ma stavolta di club, passa al
Napoli e parrebbe un altro preludio a nuovi successi. E’ il Napoli di
Maradona, ancora, ma per poco. Nell’aprile 1991 la polizia italiana
presenta a Diego il conto di tante intemperanze e lo costringe ad
abbandonare l’Italia. Napoli si scopre improvvisamente sola, e molto
meno forte. Nei tre anni partenopei, Giovanni vincerà soltanto una
supercoppa italiana. Altro ciclo che si chiude, altra vita. Galli va a
Parma, dove Tanzi è ancora un Re Mida e la squadra una delle Sette
Sorelle. Quella per la precisione che nel 1995 vince la Coppa UEFA.
Giovanni ormai però è in panchina, il titolare è Bucci. E’ il momento di
pensare al “dopo”, appendere le scarpe al chiodo e godersi i meritati
successi e la vita che ancora deve venire, con la maturità e la
famiglia.
Un nuovo inizio, all’apparenza felice. Giovanni è intelligente, sa fare
tante cose, non è solo uno dei più grandi portieri italiani di tutti i
tempi. Come opinionista e telecronista Mediaset è sempre piacevole da
ascoltare. Tra poco avrà modo di dimostrare il suo valore anche come
dirigente. Ma all’improvviso, il 9 febbraio 2001, il destino decide di
presentargli il conto più atroce che possa toccare ad un uomo, ad un
genitore. Potrà avere tutti i successi che vuole, ma la felicità per lui
non tornerà più.
Il figlio Niccolò sta tornando a casa da un allenamento della sua
squadra, il Bologna. A 17 anni è una promessa del calcio anche lui, come
il padre a suo tempo. All’improvviso, per cause che non sono mai state
accertate, perde il controllo del ciclomotore su cui viaggiava e va a
sbattere contro un guard-rail in manutenzione a cui è appoggiato
un tubo in posizione pericolosa. E’ un attimo. 24 anni prima
l’allenatore della squadra dove giocava aveva fatto segno al padre
Giovanni di alzarsi dalla panchina, perché toccava a lui esordire in
serie A e diventare un campione. Stavolta, invece, l’allenatore che
sovrintende alle nostre vite decide che è il momento di chiamare a sé il
figlio Niccolo’, per portarlo a giocare in cielo.
Quando succedono queste cose, si usa dire che colui a cui è successo era
grato agli Dei. Che cosa invece può mai consolare un padre costretto a
sopravvivere al proprio figlio? Niente, si può immaginare. Meno che mai
una giustizia italiana che non riesce proprio a smentirsi, e nel 2011
finirà per assolvere il funzionario della Coop Costruzioni ed i tecnici
del Comune di Bologna (già condannati in primo grado per omicidio
colposo), “per prescrizione”.
Ci prova il Bologna a consolare Giovanni, ritirando la maglia n. 27 di
Niccolò e intitolandogli il suo Centro Tecnico a Casteldebole. Ci prova
Fabio Quagliarella, a suo tempo compagno di Nazionale giovanile di
Niccolò, che sceglierà sempre in tutte le squadre in cui giocherà la
maglia n. 27 in ricordo dell’amico. In realtà, l’unica forza che ti può
far andare avanti la puoi trovare solo dentro di te. Magari scrivendo,
come fa Giovanni, un libro autobiografico-esorcizzatore come La vita ai
supplementari, dove racconta il suo dolore.
Magari intitolando al figlio sfortunato la Fondazione ONLUS ed il
Memorial dedicato a giovani calciatori attraverso i quali raccoglie
fondi per scopi filantropici. Ma soprattutto, vien da dire con il dovuto
rispetto, rispondendo ad un’altra chiamata del destino che lo invita a
ricominciare ancora. Nel modo più incredibile.
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