sabato 4 febbraio 2017

Roma Fiorentina, uno spot per il nostro calcio

E’ praticamente il primo ricordo d’infanzia che ho, allo stadio con mio padre. 22 gennaio 1967, Fiorentina-Roma 2-2, Brugnera (F), Carpenetti (R), Bertini (F), Enzo (R). Per tutta la sua vita avrei sentito ripetere a mio padre che quella fu la più bella partita che lui si ricordasse di aver visto allo Stadio Comunale, non ancora intitolato ad Artemio Franchi. E con lui erano d’accordo in molti, della sua generazione. Ci ho ripensato tante volte. Viola e giallorossi da allora è come se avessero stabilito un legame kharmico. Destinati spesso e volentieri ad affidare le loro speranze di successo al bel gioco piuttosto che ad altre caratteristiche. Destinati quasi sempre a sublimare il gioco del calcio, quando si incontrano.
"Picchio" De Sisti ed il compianto Agostino Di Bartolomei
E’ una lunga storia di spettacolo e di prodezze, quella dei match tra Roma e Fiorentina. Uscite dal buio degli anni settanta, durante i quali rischiarono di finire fuori più volte dal calcio che conta prima di trovare condottieri dotati delle opportune motivazioni nonché risorse, si presentarono all’inizio del decennio successivo come l’unica seria alternativa allo strapotere juventino. Il 5 aprile 1980 una tripletta di Giancarlo Antognoni stese una Roma in cui già militavano – per dirne alcuni – Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo, Bruno Conti e sulla cui panchina già sedeva il mitico Nils Liedholm. I campioni del secondo scudetto giallorosso c’erano già tutti, mancava solo Paulo Roberto Falcao, che sarebbe arrivato nell’estate successiva.
"Antonio" e Falcao
Nel 1981 l’ing. Dino Viola diede il primo assalto allo scudetto juventino. Fu fermato a due giornate dalla fine dall’annullamento – a tutt’oggi inspiegabile – del gol di Ramon Turone che gli avrebbe dato la vittoria a Torino nello scontro diretto con i rivali ed il sorpasso in classifica. L’anno dopo fu la volta della Fiorentina di Pontello, uno squadrone che conobbe due sole sconfitte, una delle quali proprio all’Olimpico con i giallorossi. Tutti ricordano il colpo di tacco volante di Falcao che liberò Roberto Pruzzo per il colpo di testa del 2-0. Al ritorno a Firenze fu ancora spettacolo, con Luciano Miani che segnò il gol che eliminava i capitolini dalla corsa al titolo. Corsa che si concluse a pochi minuti dalla fine del campionato come l’anno precedente, con un gol annullato agli avversari della Juventus, in quel caso la Fiorentina.
Nel 1983 ancora la Roma, stavolta i bianconeri non poterono fermarla, malgrado la vittoria nella sfida diretta sia a Torino che a Roma. Liedholm, Falcao & C. si cucirono finalmente il tricolore sulla maglia, Venditti poté cantare al Circo Massimo e la Fiorentina rimase a guardare, alle prese con una stagione di transizione in cui dovette inserire Passarella e rimpiazzare Vierchowod, passato proprio ai giallorossi. Ancora un anno più tardi, la corsa della Fiorentina si fermò sul secondo infortunio di Antognoni, quella della Roma sulla difficoltà di conciliare campionato e Coppa dei Campioni, di cui disputò la sfortunata finale casalinga contro il Liverpool.
Seguì una fase di cosiddetto “tono minore”, con l’unico acuto romanista nella stagione 1985-86, allorché Sven Goran Eriksson – poi ribattezzato Svengo dagli stessi tifosi capitolini – vide la sua squadra farsi battere dal Lecce già retrocesso a due giornate dalla fine, mentre era in rimonta su una Juventus stremata e a fine ciclo, quello dei Mundial.
Il "Principe" e l'Ottavo Re di Roma, agli esordi
Seguirono anni a fasi alterne. A Firenze andò in scena lo psico-dramma della cessione di Baggio alla Juve e del passaggio della società da Pontello a Cecchi Gori. A Roma il “principe” Giannini non seppe far rivivere ai suoi concittadini l’epopea di Falcao & C. Si dovette aspettare il 1993 perché succedesse qualcosa di importante. Quell’anno nella capitale fece il suo esordio con la maglia della sua squadra del cuore un ragazzino che avrebbe fatto parlare di sé a lungo, Francesco Totti.
Quell’anno successe anche qualcosa che avrebbe cementato per lungo tempo rapporti non proprio idilliaci tra le due tifoserie. All’ultima giornata, una Fiorentina costruita per spaccare le ossa a tutti, era con le ossa rotte in fondo alla classifica, dopo la cacciata di Radice da parte del figlio del padrone, già allora assai intemperante. I viola dovevano vincere e sperare che la Roma battesse in casa l’Udinese. La prima condizione si verificò, un 6-0 al Foggia in cui Batistuta & C. sfogarono tutta la loro rabbia per una stagione virata in modo incredibile verso lo scatafascio.
La seconda invece no, la Roma era in vantaggio fino a sei minuti dalla fine, quando consentì – in modo a detta di molti troppo accomodante – ai friulani di portarsi sul pareggio. L’Udinese restò in A, la Fiorentina andò in B, e da allora a Firenze se chiedete chi odiano di più tra juventini o romanisti ci devono pensare su, perché la risposta non è più semplice né immediata come prima.
Bandiere
A quell’epoca la Roma passò in mano a Franco Sensi, la Fiorentina a Vittorio Cecchi Gori. Le due squadre si sistemarono stabilmente nelle cosiddette Sette Sorelle, quelle che lottavano per lo scudetto, guidate rispettivamente da Totti e Batistuta. Ogni volta che si incontravano era spettacolo, anche se il risultato – almeno all’Olimpico – finiva per premiare sempre i giallorossi. Dopo un 3-1 a firma di Batigol nel 1992, la Fiorentina per vent’anni riportò dalla capitale a malapena un punto, nel 2006 con Tonigol. Il fuoriclasse Totti, nel frattempo laureatosi campione del mondo con la Nazionale di Lippi a Berlino, sembrava inmarcabile per i difensori viola di almeno un paio di generazioni.
Dopo il passaggio di Batigol alla Roma, il terzo scudetto romanista ed il fallimento della Settima Sorella, quella di Vittorio Cecchi Gori, con la ripartenza dalla C2 dei nuovi patron Della Valle, lo spettacolo riprese nel 2005 con una Roma sistemata stabilmente ai vertici della classifica ed una Fiorentina che remava per ritornarci. La prima vittoria fiorentina a Roma avvenne nel 2012, e fu decisiva per scongiurare un’altra retrocessione, nell’anno in cui sembrò che il progetto dei Della valle fosse andato definitivamente in pezzi. Nel 2009 Prandelli invece aveva fatto registrare uno storico 4-1 casalingo, che è rimasta l’ultima vittoria interna della Fiorentina sulla Roma fino al jolly pescato da Badelj. In quella circostanza i tifosi viola riadattarono per l’occasione la famosa canzone di Irene Grandi Bruci la città, vittoriosa al festival di Sanremo, a testimonianza di un immutato affetto verso la capitale.
Nel 2011 il prestigio viola fu affidato alla primavera, che andò a vincere Coppa italia e Supercoppa di categoria proprio sul prato degli acerrimi rivali giallorossi. Canzone viola risuonò all’Olimpico, segnando la rinascita di un settore – quello giovanile – che una volta era un vanto per la Fiorentina (al pari della Roma) e che da dopo la retrocessione in C2 aveva stentato a rinascere.
Batistuta e Totti, prima nemici poi amici
Nelle ultime cinque stagioni, i giallorossi sono stati praticamente l’unica indomabile bestia nera della rinata Fiorentina spagnola di Vincenzo Montella, e poi di quella ereditata da Paulo Sousa. Otto vittorie giallorosse, due pareggi e tre vittorie viola, tra cui le due prestigiose in Coppa Italia e Europa League dell’ultimo anno di Montella, maturate in trasferta.
La Fiorentina torna martedi sera all’Olimpico di Roma dopo il successo insperato dell’andata al Franchi, propiziato da un gol di Badelj dopo che i giallorossi avevano fatto vedere i sorci verdi ai viola per buona parte del match. L’Olimpico negli ultimi 25 anni è sempre stato particolarmente avaro di soddisfazioni per i colori viola, su entrambe le sponde. Spesso e volentieri, i giallorossi si sono trasformati in altrettanti lupi, come chiese una volta il loro allenatore Garcia, al cospetto di viola che troppo spesso si sono affacciati allo stadio della capitale come agnelli troppo leziosi.

Una speranza viva ci consola, e ci tiene accesa una piccola fiammella anche stavolta. Fiorentina – Roma o Roma – Fiorentina è da sempre uno degli spot migliori per il nostro calcio. Da quel 1967 in cui un ragazzino assistette alla sua prima edizione, per sapere poi che aveva visto la più bella partita per tanto tempo a venire.

lunedì 30 gennaio 2017

Hic sunt clientes





Leggo le solite recriminazioni sull'arbitraggio. Finché non si perderà l'attitudine al vittimismo, non andremo mai da nessuna parte (ammesso che con questa proprietà si possa mai andare da qualche parte).
Anzitutto, il fallo di mano di Bernardeschi sulla linea di porta c'é, ed è di quelli che un arbitro qualsiasi è portato a valutare come determinante e volontario.
Dopodiche, a norma del regolamento attuale, rigore ed espulsione vengono di conseguenza. Sono il primo a considerare l'estromissione di Federico dal match, e la conseguente squalifica per Roma (o Pescara?) come una disgrazia, ma l'episodio purtroppo è ineccepibile per come è stato gestito. Sui fuorigioco e i cartellini prima dopo e durante, soliti discorsi. Ci stanno bene quando sono a favore nostro, ci scatenano il complottismo endemico quando sono contro. Siamo diventati dei "Piagnoni" peggio di quelli di Savonarola.
Questione gestione societaria. Ragazzi, è questa. E non da ora, dai tempi di Prandelli. Cambiano gli allenatori, i giocatori, il prodotto non cambia. Questi due venuti dalle Marche sono due avventurieri, due incapaci, due arruffoni, due mestieranti, non so più come definirli, figuriamoci insultarli. Hanno arraffato una società di calcio per diventare qualcuno, otterranno il risultato di far diventare la Fiorentina NESSUNO. Quando poi la squadra finisce in mano ad un altro incapace come Paulo Sousa, e grazie alle campagne acquisti napoleoniche degli ultimi anni ti ritrovi ad andare a Pescara con una linea difensiva così configurata: De Maio, Sanchez, Tomovic (e meno male che si va a Pescara), il mazzo è completo. Ci si meraviglia ancora di qualcosa?
P.S. Vorrei dire in faccia a Sousa una cosa soltanto: con la squalifica di Bernardeschi domenica a chi li romperai i coglioni con le tue decisioni del cazzo?
Terzo, e concludo. Leggo di gente che ancora si lamenta del tifo. Abbonati e spettatori paganti che non cantano più, non si entusiasmano più, non "tifano" più. Il processo di involuzione di Firenze, dei fiorentini, della Fiorentina, della fiorentinità è in atto da più di vent'anni (e non la butto in politica volutamente, altrimenti....). I della Valle hanno dato soltanto la "mano di coppale", come si diceva una volta. Ai vecchi fiorentini questi due signorotti venuti dalle Marche sarebbero venuti sul cazzo in un battibaleno, e qualcuno o prima o dopo avrebbe corso, o per il Viale dei Mille, o in Piazza Savonarola, o verso la Consuma. Quella gente non c'é più. Non ci siamo più. Siamo diventati un popolo che ingoia tutto. Come le puttane.
Quando Mario Cognigni certificò la morte del "tifoso" e la sua sostituzione con il "cliente", dimenticò di specificare se quel termine lo usava nell'accezione ragionieristica o in quella latina. Chi ha fatto studi classici sa che in latino "clientes" significa "tributari", coloro cioé che bazzicavano i palazzi dei Patrizi, dei grandi signori, perché campavano di briciole gettate loro dal tavolo di quei signori, svolgevano attività collaterali utili alla casa ed alle proprietà di quei signori, facevano parte della plebe che in un modo o nell'altro sbarcava il lunario grazie alla benevolenza o all'indotto delle attività di quei signori.
Questo è diventata la gente che va allo stadio, o si mette davanti a Sky. E' chiaro che mettersi in discussione per questa "clientela" è devastante, il lavoro di psicoanalisi su se stessi è uno dei più difficili e ingrati. Molto più facile dare le colpe di tutti i mali ai complotti, agli arbitri, a Tomovic. Mai, comunque, MAI, MAI, MAI ai fratelli Labionda - Della Valle.
Alla prossima, con gli stessi discorsi.