Era nato a Firenze nel 1924, due anni prima che il Marchese Ridolfi
fondasse quella creatura di cui sarebbe stato innamorato per tutta la
vita e la cui società avrebbe avuto l’onore di presiedere, pur in uno
dei periodi più difficili. Ugolino Ugolini era uno di quei fiorentini
che aveva avuto successo. La sua impresa, la Gover Gomma (forniture per
edilizia e abbigliamento), fondata nel 1952, era diventata ben presto
una delle imprese
toscane più importanti.
Ugolini era entrato nella Fiorentina allorché ne era uscito Befani, nel
1961, diventando uno dei membri del consiglio d’amministrazione durante
la Presidenza di Longinotti. Con Baglini era poi diventato
amministratore delegato, per rilevare poi da lui proprietà e presidenza
quando il presidente del secondo scudetto aveva detto basta, stressato
dal durissimo campionato del 1971 conclusosi con una salvezza
conquistata all’ultimo tuffo.
Ugolini aveva condiviso molto con Baglini, oltre alle gioie e ai dolori,
soprattutto la filosofia imprenditoriale applicata al calcio
fiorentino. Pertanto proseguì (o cerco di farlo) sulla strada della
linea verde che aveva così ben pagato con il suo predecessore. Anzitutto individuò l’allenatore
giusto per il nuovo ciclo in Nils Liedholm, valorizzatore di talenti e
fautore del bel gioco come pochi altri mister, all’epoca. Baglini non lo
aveva amato, ritenendolo troppo prudente, un non vincente. Ugolini
invece gli si affidò senza riserve, e in un primo tempo sembrò aver
avuto ragione. Con Liddas (così era stato soprannominato al suo arrivo
in Italia), Ugolini cercò di impostare una nuova Fiorentina ye ye cercando talenti in casa propria e a giro per l’Italia sotto la supervisione del mago Pandolfini e dei suoi osservatori.
Inizialmente il progetto ebbe fortuna. Moreno Roggi, Andrea Orlandini,
Domenico Caso, Vincenzo Guerini, Claudio Desolati, Walter Speggiorin,
Nello Saltutti, Alessio Tendi, Ennio Pellegrini arrivarono
progressivamente a sostituire gli eroi del secondo scudetto, a mano a
mano che questi se ne andavano o appendevano le scarpe al chiodo. Alcuni
di questi baby viola erano considerati delle vere e proprie promesse al
pari dei loro predecessori, e qualcuno arrivò anche a vestire una
meritata maglia azzurra (erano gli anni di Bernardini – altro estimatore
dei piedi buoni - e della rifondazione della Nazionale). Ma soprattutto
i nomi di Ugolini e di Liedholm sono consegnati per sempre alla
leggenda viola per aver regalato alla città di Firenze quello che è
stato e resterà sempre uno dei suoi artisti più grandi, al pari di
Michelangelo e del Brunelleschi: Giancarlo Antognoni da Marsciano, in
provincia di Perugia.
Con Nils Liedholm |
Da tempo Pandolfini aveva segnalato a Liedholm questo ragazzo magro come uno stecco (lo chiamavano canna d’organo)
ma dal talento straordinario. Lo svedese lo vide giocare con una
selezione azzurra giovanile, e da subito non ebbe dubbi: “se non diventa
un campione questo, non ci diventa nessuno”.
Ugolini e i suoi uomini mercato ebbero quindi la richiesta del mister di
mettere le mani sul nuovo talento a tutti i costi. La trattativa non
era facile, il ragazzo era in forza all’Astimacobi, società satellite
della Juventus, che però in quel momento evidentemente era distratta,
perché gli emissari viola riuscirono a tornare a Firenze con il loro
acquisto preziosissimo, pur dopo una trattativa estenuante. Il
fuoriclasse esordì a soli 18 anni in serie A il 15 settembre 1972,
sostituendo lo squalificato Picchio De Sisti nella terza giornata del
campionato 72-73. Fu un esordio vittorioso, e Antognoni non disattese le
speranze di Liedholm che non lo tolse più di squadra nonostante il
rientro di De Sisti.
Dopo due campionati conclusi al quinto e quarto posto, Liedholm passò la
mano a Radice, giovane tecnico emergente, che però non riuscì a fare
meglio del più famoso collega. Per qualche motivo la nuova Fiorentina
non decollava, rimanendo dietro ai blasonati squadroni del nord e alla
Lazio di Maestrelli e Chinaglia che viveva in quegli anni il suo periodo
migliore. Neanche Radice convinse, e allora fu il turno di Nereo Rocco.
Il paron triestino era a fine carriera, dopo i trionfi milanesi,
e non volle o non seppe dannarsi l’anima a cavare qualcosa di più da
questa squadra di ragazzi sempre sul punto di esplodere ma che non ci
riusciva mai. Nel frattempo, era stato ceduto De Sisti, dei campioni
dello scudetto resistevano solo Brizi, Superchi e Merlo, Antognoni
incantava e diventava titolare fisso della Nazionale, ma per quanto
grande fosse la sua arte, la squadra più di tanto non lo poteva seguire e
molti talenti venivano via via ridimensionati.
Ugolini viveva anche un periodo di crisi nella sua azienda, il che
riduceva le possibilità di investimento nel calcio. Nel 1975 esplose
anche la contestazione, con Desolati e Speggiorin che dopo l’ennesima
prestazione casalinga deludente vennero rincorsi dai tifosi inferociti
per il Viale dei Mille. Al campionato mediocre concluso all’ottavo posto
fece da contraltare la Coppa Italia, vinta sul Milan di Rivera e
Chiarugi e destinata a restare l’ultimo trofeo aggiunto dai viola alla
propria bacheca fino alla magica notte di Bergamo nel 1996.
Il nuovo tecnico preso al posto del pensionando Rocco, Carletto Mazzone non ancora soprannominato “er Magara” ma piuttosto affettuosamente chiamato “stroncapettini”
per la sua incipiente calvizie dai tifosi fiorentini, non poté sedersi
in panchina perché le carte federali non glielo permettevano ancora, e
all’Olimpico con la squadra scese in campo il secondo, Mario Mazzoni.
Antognoni e Rivera nella finale di Coppa Italia 1975 |
Dopodiché, la stella di Ugolini e della sua Fiorentina declinò
irreparabilmente. Roggi e Guerini si infortunarono gravemente, il primo
in un incidente di gioco e il secondo in un incidente d’auto, e le loro
carriere finirono bruscamente. I sostituti non erano all’altezza,
risorse economiche da investire ce n’erano sempre meno, ci si affidava
esclusivamente al vivaio, ma i giovani che facevano sfracelli nella
primavera al momento di fare il salto nella serie maggiore si perdevano.
Mazzone riuscì a concludere il campionato del 1977, quello del lungo
derby tra una Juventus ed un Torino di un’altra categoria, al terzo
posto ma staccato di quindici punti dalla seconda, la squadra granata
appunto.
L’anno dopo tornò di scena il dramma. Ugolini aveva preso la presidenza
nel 1971, all’indomani di una salvezza per il rotto della cuffia, e la
lasciò nel dicembre 1977, mentre la squadra si trovava di nuovo
impelagata in una lotta per non retrocedere, ancora più drammatica se
possibile. Alla fine lo stress per le vicende viola unito a quello per
le vicende della propria azienda diventarono per lui insopportabili, e
pur rimanendo proprietario fino al 1980, delegò la presidenza prima a
Rodolfo Melloni e poi ad Enrico Martellini, suoi ex collaboratori. Al
primo toccò ricostruire un minimo di squadra e di ambiente dopo la
salvezza al cardiopalma del 1978, ingaggiando il tecnico Paolo Carosi al
posto del “salvatore” Chiappella che aveva a sua volta preso il posto
dell’esonerato Mazzone. Al secondo toccò invece traghettare la società
verso i nuovi proprietari, i Pontello, famiglia emergente
dell’imprenditoria edile fiorentina, e presto anche nazionale.
A conclusione di questo altalenante e alla fine drammatico periodo, la
presidenza di Ugolini resta nel cuore dei tifosi e nella storia della
Fiorentina soprattutto per un motivo: non aver mai ceduto alle lusinghe
della Juventus affinché le cedesse il gioiello della corona, quel
Giancarlo Antognoni che fu in quel periodo buio l’unica consolazione
(enorme, peraltro) dei tifosi. Soprattutto nel 1978, all’indomani della
scampata retrocessione, i bianconeri fecero un’offerta che non si poteva
rifiutare. Nessuno aveva mai detto di no all’Avvocato Agnelli, più che
mai deciso oltretutto a prendersi ciò che gli era sfuggito da sotto il
naso anni prima. Ugolini lo fece. Per questo motivo sulla sua tomba, in
cui è sceso nel 2009, non mancherà mai un fiore
portato dai fiorentini riconoscenti.
Ugolini pur non avendo la ricchezza dei Della Valle come presidente e' stato molto migliore. in 7 anni un terzo posto, 4 5 posto, coppa italia , 2 viareggi. questi della valle spilorci cosa hanno vinto e fatto x la fiorentina? NIENTE. ZERO
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