venerdì 1 gennaio 2016

Ugolino Ugolini, l'uomo che disse no ad Agnelli

Era nato a Firenze nel 1924, due anni prima che il Marchese Ridolfi fondasse quella creatura di cui sarebbe stato innamorato per tutta la vita e la cui società avrebbe avuto l’onore di presiedere, pur in uno dei periodi più difficili. Ugolino Ugolini  era uno di quei fiorentini che aveva avuto successo. La sua impresa, la Gover Gomma (forniture per edilizia e abbigliamento), fondata nel 1952, era diventata ben presto una delle  imprese
toscane più importanti.
Ugolini era entrato nella Fiorentina allorché ne era uscito Befani, nel 1961, diventando uno dei membri del consiglio d’amministrazione durante la Presidenza di Longinotti. Con Baglini era poi diventato amministratore delegato, per rilevare poi da lui proprietà e presidenza quando il presidente del secondo scudetto aveva detto basta, stressato dal durissimo campionato del 1971 conclusosi con una salvezza conquistata all’ultimo tuffo.
Ugolini aveva condiviso molto con Baglini, oltre alle gioie e ai dolori, soprattutto la filosofia imprenditoriale applicata al calcio fiorentino. Pertanto proseguì (o cerco di farlo) sulla strada della linea verde che aveva così ben pagato con il suo predecessore. Anzitutto individuò l’allenatore giusto per il nuovo ciclo in Nils Liedholm, valorizzatore di talenti e fautore del bel gioco come pochi altri mister, all’epoca. Baglini non lo aveva amato, ritenendolo troppo prudente, un non vincente. Ugolini invece gli si affidò senza riserve, e in un primo tempo sembrò aver avuto ragione. Con Liddas (così era stato soprannominato al suo arrivo in Italia), Ugolini cercò di impostare una nuova Fiorentina ye ye cercando talenti in casa propria e a giro per l’Italia sotto la supervisione del mago Pandolfini e dei suoi osservatori.
Inizialmente il progetto ebbe fortuna. Moreno Roggi, Andrea Orlandini, Domenico Caso, Vincenzo Guerini, Claudio Desolati, Walter Speggiorin, Nello Saltutti, Alessio Tendi, Ennio Pellegrini arrivarono progressivamente a sostituire gli eroi del secondo scudetto, a mano a mano che questi se ne andavano o appendevano le scarpe al chiodo. Alcuni di questi baby viola erano considerati delle vere e proprie promesse al pari dei loro predecessori, e qualcuno arrivò anche a vestire una meritata maglia azzurra (erano gli anni di Bernardini – altro estimatore dei piedi buoni - e della rifondazione della Nazionale). Ma soprattutto i nomi di Ugolini e di Liedholm sono consegnati per sempre alla leggenda viola per aver regalato alla città di Firenze quello che è stato e resterà sempre uno dei suoi artisti più grandi, al pari di Michelangelo e del Brunelleschi: Giancarlo Antognoni da Marsciano, in provincia di Perugia.
Con Nils Liedholm
Da tempo Pandolfini aveva segnalato a Liedholm questo ragazzo magro come uno stecco (lo chiamavano canna d’organo) ma dal talento straordinario. Lo svedese lo vide giocare con una selezione azzurra giovanile, e da subito non ebbe dubbi: “se non diventa un campione questo, non ci diventa nessuno”.
Ugolini e i suoi uomini mercato ebbero quindi la richiesta del mister di mettere le mani sul nuovo talento a tutti i costi. La trattativa non era facile, il ragazzo era in forza all’Astimacobi, società satellite della Juventus, che però in quel momento evidentemente era distratta, perché gli emissari viola riuscirono a tornare a Firenze con il loro acquisto preziosissimo, pur dopo una trattativa estenuante. Il fuoriclasse esordì a soli 18 anni in serie A il 15 settembre 1972, sostituendo lo squalificato Picchio De Sisti nella terza giornata del campionato 72-73. Fu un esordio vittorioso, e Antognoni non disattese le speranze di Liedholm che non lo tolse più di squadra nonostante il rientro di De Sisti.
Dopo due campionati conclusi al quinto e quarto posto, Liedholm passò la mano a Radice, giovane tecnico emergente, che però non riuscì a fare meglio del più famoso collega. Per qualche motivo la nuova Fiorentina non decollava, rimanendo dietro ai blasonati squadroni del nord e alla Lazio di Maestrelli e Chinaglia che viveva in quegli anni il suo periodo migliore. Neanche Radice convinse, e allora fu il turno di Nereo Rocco. Il paron triestino era a fine carriera, dopo i trionfi milanesi, e non volle o non seppe dannarsi l’anima a cavare qualcosa di più da questa squadra di ragazzi sempre sul punto di esplodere ma che non ci riusciva mai. Nel frattempo, era stato ceduto De Sisti, dei campioni dello scudetto resistevano solo Brizi, Superchi e Merlo, Antognoni incantava e diventava titolare fisso della Nazionale, ma per quanto grande fosse la sua arte, la squadra più di tanto non lo poteva seguire e molti talenti venivano via via ridimensionati.
Ugolini viveva anche un periodo di crisi nella sua azienda, il che riduceva le possibilità di investimento nel calcio. Nel 1975 esplose anche la contestazione, con Desolati e Speggiorin che dopo l’ennesima prestazione casalinga deludente vennero rincorsi dai tifosi inferociti per il Viale dei Mille. Al campionato mediocre concluso all’ottavo posto fece da contraltare la Coppa Italia, vinta sul Milan di Rivera e Chiarugi e destinata a restare l’ultimo trofeo aggiunto dai viola alla propria bacheca fino alla magica notte di Bergamo nel 1996. 
Il nuovo tecnico preso al posto del pensionando Rocco, Carletto Mazzone non ancora soprannominato “er Magara” ma piuttosto affettuosamente chiamato “stroncapettini” per la sua incipiente calvizie dai tifosi fiorentini, non poté sedersi in panchina perché le carte federali non glielo permettevano ancora, e all’Olimpico con la squadra scese in campo il secondo, Mario Mazzoni.
Antognoni e Rivera nella finale di Coppa Italia 1975
Dopodiché, la stella di Ugolini e della sua Fiorentina declinò irreparabilmente. Roggi e Guerini si infortunarono gravemente, il primo in un incidente di gioco e il secondo in un incidente d’auto, e le loro carriere finirono bruscamente. I sostituti non erano all’altezza, risorse economiche da investire ce n’erano sempre meno, ci si affidava esclusivamente al vivaio, ma i giovani che facevano sfracelli nella primavera al momento di fare il salto nella serie maggiore si perdevano. Mazzone riuscì a concludere il campionato del 1977, quello del lungo derby tra una Juventus ed un Torino di un’altra categoria, al terzo posto ma staccato di quindici punti dalla seconda, la squadra granata appunto.
L’anno dopo tornò di scena il dramma. Ugolini aveva preso la presidenza nel 1971, all’indomani di una salvezza per il rotto della cuffia, e la lasciò nel dicembre 1977, mentre la squadra si trovava di nuovo impelagata in una lotta per non retrocedere, ancora più drammatica se possibile. Alla fine lo stress per le vicende viola unito a quello per le vicende della propria azienda diventarono per lui insopportabili, e pur rimanendo proprietario fino al 1980, delegò la presidenza prima a Rodolfo Melloni e poi ad Enrico Martellini, suoi ex collaboratori. Al primo toccò ricostruire un minimo di squadra e di ambiente dopo la salvezza al cardiopalma del 1978, ingaggiando il tecnico Paolo Carosi al posto del “salvatore” Chiappella che aveva a sua volta preso il posto dell’esonerato Mazzone. Al secondo toccò invece traghettare la società verso i nuovi proprietari, i Pontello, famiglia emergente dell’imprenditoria edile fiorentina, e presto anche nazionale.
A conclusione di questo altalenante e alla fine drammatico periodo, la presidenza di Ugolini resta nel cuore dei tifosi e nella storia della Fiorentina soprattutto per un motivo: non aver mai ceduto alle lusinghe della Juventus affinché le cedesse il gioiello della corona, quel Giancarlo Antognoni che fu in quel periodo buio l’unica consolazione (enorme, peraltro) dei tifosi. Soprattutto nel 1978, all’indomani della scampata retrocessione, i bianconeri fecero un’offerta che non si poteva rifiutare. Nessuno aveva mai detto di no all’Avvocato Agnelli, più che mai deciso oltretutto a prendersi ciò che gli era sfuggito da sotto il naso anni prima. Ugolini lo fece. Per questo motivo sulla sua tomba, in cui è sceso nel 2009, non mancherà mai un fiore
portato dai fiorentini riconoscenti.

1 commento:

  1. Ugolini pur non avendo la ricchezza dei Della Valle come presidente e' stato molto migliore. in 7 anni un terzo posto, 4 5 posto, coppa italia , 2 viareggi. questi della valle spilorci cosa hanno vinto e fatto x la fiorentina? NIENTE. ZERO

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