venerdì 1 gennaio 2016

Ascesa e caduta della casa Pontello

Maggio 1980. Allo Stadio Comunale di Firenze esplode la contestazione dei tifosi verso la proprietà di una Fiorentina che sta concludendo l’ultimo di una serie di campionati incolori, inframmezzati da un paio in cui ha addirittura rischiato la retrocessione in serie B.
La presidenza di Ugolino Ugolini prima e dei suoi collaboratori Rodolfo Melloni ed Enrico Martellini poi si conclude tristemente tra le urla e i mortaretti degli Ultras ed i fumogeni della Polizia, dopo che per un decennio l’industriale della gomma aveva cercato di rinverdire i fasti del suo predecessore, quel Nello Baglini che aveva portato a Firenze il secondo e ultimo scudetto con la prima “linea verde”, e dopo aver lasciato in eredità alla città il cartellino di Giancarlo Antognoni, un capolavoro paragonabile per i fiorentini al David di Michelangelo, per ottenere il quale la Juventus aveva sferrato una lunga ed insistente quanto inutile offensiva.
La contestazione si placa improvvisamente all’annuncio che la società viola è stata acquistata da una nota famiglia di imprenditori edili locali che stanno assurgendo ad una crescente fama nazionale, i Pontello.
Flavio Callisto Pontello
Maggio 1990. Ancora grida, mortaretti e lacrimogeni a Firenze, ma stavolta in Piazza Savonarola, davanti alla sede dell’A.C. Fiorentina e per le strade circostanti. La guerriglia urbana non è stata scatenata per motivi politici o sociali, ma perché il decennio delle grandi speranze viola legate al nome ed alla gestione dei Pontello si è concluso con la abdicazione all’odiata rivale storica, la Juventus, che si è appena portata via non soltanto la Coppa UEFA conquistata nella doppia finale contro la Fiorentina a Torino ed Avellino, ma anche la stessa “argenteria di famiglia”, quel Roberto Baggio che ormai la gente aveva investito dell’eredità di Giancarlo Antognoni, come nuova bandiera viola da difendere ed ostentare sempre e comunque, a prescindere.
La famiglia che aveva preso la Fiorentina nel clamore di una contestazione la lascia dieci anni dopo nel marasma di una contestazione dieci volte più violenta. In mezzo, un decennio che a tutt’oggi può essere considerato tra i più affascinanti della storia della Fiorentina, molte luci ed ancora più ombre, e soprattutto due titoli agognati da tempo e sfiorati veramente per poco. Sfumati entrambi alla fine di un esaltante ed estenuante confronto con la solita rivale di sempre, la Juventus di Torino.
Nell’albo d’oro, la Fiorentina è ferma all’ultimo scudetto vinto nel 1969 ed a livello internazionale all’ultimo e unico trofeo vinto nel 1961, la Coppa delle Coppe. Nel 1982 arriva a quindici minuti da uno spareggio in cui avrebbe potuto conquistare il terzo scudetto, nel 1990 arriva a un passo dalla sua prima Coppa UEFA. In entrambi i casi il titolo prende all’ultimo momento la via di Torino, e il relativo trofeo finisce nelle mani di Dino Zoff, la prima volta come capitano, la seconda come allenatore.
Stemma araldico famiglia Pontello
Ma chi è questo proprietario, questo condottiero viola che può mettere in campo addirittura un blasone nobiliare, e che rimane a tutt’oggi il patròn viola che è arrivato più vicino a vincere, dai tempi ormai storici di Baglini? Dopo di lui i Cecchi Gori metteranno in bacheca due Coppe Italia, mentre i Della Valle sono fermi a zero tituli, per dirla con Mourinho. Ma la gente ricorda sempre piuttosto quel mancato scudetto del 1982 e quella maledetta finale di Coppa UEFA.
Flavio Callisto era l’erede di una famiglia nobile, i Conti Pontello, inizialmente originari del Friuli e poi trasferitisi a Firenze, che avevano legato con successo le loro fortune all’imprenditoria edilizia. Nel 1944 il giovane Flavio aveva dovuto abbandonare gli studi di ingegneria al Politecnico di Milano, perché la guerra e l’occupazione nazista si erano portati via i “vecchi”. Lui, che era il più grande di quattro fratelli, Claudio, Gianluigi e Miuta, aveva inevitabilmente ereditato le redini dell’impresa di famiglia, la “S.a.s. Costruzioni Pontello”. Negli anni sessanta la ditta aveva partecipato in modo consistente alla realizzazione della rete autostradale che stava modernizzando l’Italia del boom economico.
All’inizio degli anni 80, la Fiorentina era in cerca di un futuro, i Pontello erano in cerca dell’ultimo salto di qualità, quello che ne avrebbe fatto imprenditori di fama nazionale ed internazionale più di quanto già non fossero. Fu così che Ugolini passò la mano al Conte, e il calcio italiano ebbe il suo stemma nobiliare tra i partecipanti al suo massimo torneo, il Campionato di Calcio di Serie A.
Flavio Pontello era un personaggio singolare, che non si accontentava di partecipare. Lui voleva primeggiare. Nel 1968 aveva istituito una Fondazione per l'incremento degli studi e delle ricerche scientifiche in edilizia e in architettura, che ogni anno assegnava premi cospicui a giovani studiosi. Per tutto ciò che aveva fatto nel 1973 aveva ricevuto il Cavalierato del Lavoro dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Ranieri Pontello ingaggia Picchio de Sisti
Nel 1980 prese la Fiorentina con l’intento di farne subito uno squadrone. Il primo anno ereditò allenatore e giocatori della passata gestione. Il povero mister Paolo Carosi e i suoi ragazzi raccolti attorno alla “bandiera” Antognoni stavano ripetendo il campionato incolore delle passate ultime stagioni (la Fiorentina passò un intero girone d’andata pareggiando o perdendo, senza vincere mai), quando il Conte, che non era famoso per avere un carattere facile o tollerante, prese in mano la situazione, esonerò Carosi affidando la squadra ad un’altra “bandiera” carica di gloria, quel Picchio De Sisti capitano del secondo scudetto, e partì in quarta in primavera con una campagna acquisti come a Firenze non si vedeva forse dagli anni 50.
Arrivarono Graziani e Pecci da quel Torino che aveva vinto lo scudetto nel 76, Cuccureddu dalla Juventus,  la giovane promessa Daniele Massaro dal Brescia, l’altra promessa Renzo Contratto dall’Atalanta, Francesco Casagrande dal Cagliari, Roberto Galbiati era già arrivato dal Pescara e Daniel Bertoni dal Siviglia, alla riapertura delle frontiere. Questa fu la squadra – vestita della nuova maglia con il giglio stilizzato che fece tanto discutere ed al suono del nuovo inno stile bossa nova che sostituì momentaneamente quello tradizionale glorioso di Narciso Parigi - che sfiorò lo scudetto nel 1982, con Giovanni Galli in porta e con Luciano Miani che sostituì alla grande Antognoni, infortunatosi alla nona giornata contro il ginocchio assassino di Martina, portiere del Genoa, e rientrato solo a tre giornate dal termine. In tempo per giocare uno spareggio che i vertici del Calcio avevano già deciso che non ci dovesse essere.
Ranieri Pontello
Il programma di Pontello era stato semplice. Una sera ad una TV privata dichiarò né più e né meno che “l’epoca della Juventus in Italia era finita”. Dopo la “beffa di Cagliari” ed il rigore di Catanzaro trasformato da Liam Brady, il Conte non si perse d’animo e andò in Argentina a comprare nientemeno che Daniel Alberto Passarella, carismatico capitano della nazionale biancoceleste che aveva trionfato ai mondiali casalinghi del 1978. Dopo il campionato del 1984, naufragato su secondo grave infortunio di Antognoni, andò a prendere anche il capitano del Brasile, quel Socrates che fece innamorare subito anche Firenze con il suo spessore di personaggio anche e soprattutto fuori dal campo.
Nei primi cinque-sei anni Pontello ci provò in tutti i modi, gestendo in prima persona la società con l’ausilio del figlio Ranieri a cui aveva affidato la presidenza formale della stessa. Poi, i colpi della sfortuna, la mancanza di successi e l’arrivo delle prime contestazioni al Comunale nella stagione che coincise con la presa di coscienza che Antognoni era alla fine della carriera (una fine pessimamente gestita dal mister Aldo Agroppi, peraltro), spinsero non solo il Conte ma tutta la famiglia a ridimensionare entusiasmo ed impegno. Ranieri si dimise dalla presidenza, che andò prima al povero Pier cesare Baretti (ex giornalista di Tuttosport e dirigente di Lega Calcio) e poi dopo la scomparsa di questi a Renzo Righetti (ex arbitro e dirigente federale anch’egli).
Gli ultimi quattro anni di gestione Pontello coincisero con il tentativo di attuare una nuova “linea verde”, che ruotava intorno al gioiellino Roberto Baggio acquistato da Baretti e Nassi dal Vicenza, su preciso mandato del Conte. Presidente del Vicenza era Maraschin, l’industriale del ferro. “Lo conosco, abbiamo fatto insieme un’autostrada, ci penso io”, raccontò poi Pontello. Baggio arrivò a Firenze nel 1985, cominciò a giocare nel 1987 – una volta superati due gravi infortuni – e restò fino al 90.
Piazza Savonarola nel maggio 1990
In quell’anno, l’uomo che aveva orgogliosamente e con sprezzo del pericolo affermato una volta che non avrebbe “mai trattato con i metalmeccanici di Torino”, gli Agnelli, decise di farlo, e nel modo più clamoroso. L’avvocato Agnelli si era scornato con Ugolini per Antognoni, era orfano di Platini arrivato a Torino in sua vece. Stavolta voleva Baggio, a tutti i costi. Fece un’offerta di quelle che non si potevano rifiutare. Il Conte accettò, malgrado avesse già deciso di vendere la società a Mario Cecchi Gori, il quale aveva preteso come condizione che il “Codino” rimanesse. E malgrado sapesse anche che Firenze non l’avrebbe presa affatto bene. Come infatti successe.
A Piazza savonarola, tra il fumo dei lacrimogeni, le sirene delle camionette dei Carabinieri e le urla della gente che scappava a nascondersi nelle case circostanti dopo aver lanciato i sampietrini, finì la presidenza dei Pontello, che avrebbe potuto essere ricordata come un periodo glorioso della storia viola. Per lungo tempo i carabinieri dovettero fermarsi di sorveglianza sotto casa del Conte.
Il quale è scomparso nel 2006, poco dopo la sua azienda di famiglia, che non ha retto ai tempi nuovi, arrivati non solo nel calcio.

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