C’è da giurare che per
segnare quel benedetto gol a Francesco Toldo nella porta di Emergency alla Partita del Cuore il 19
maggio 2014 avrebbe dato la metà dei gol segnati in tutta la sua carriera,
trascorsa interamente nelle zone alte della classifica cannonieri di serie A.
Ci ha provato in tutti i modi, sbagliando anche un rigore e vedendosi parare
uno splendido colpo di testa dal “vecchio” Toldo. Quella porta era stregata per
lui, proprio nella sera in cui ci avrebbe tenuto di più a segnare, davanti al
pubblico che l’ha adottato.
19 maggio 2014 la Partita del Cuore |
Quando l’aeroplanino volava, i suoi piani di volo l’hanno sempre tenuto
lontano da Firenze, a cui anzi ha dato spesso e volentieri dei dispiaceri. La
Fiorentina è infatti una delle squadre alle quali ha segnato di più in
carriera. Vincenzo Montella, nato a Pomigliano d’Arco il 18 giugno 1974 e
cresciuto a Castello di Cisterna, due comuni dell’hinterland napoletano, a dodici anni era già venuto peraltro in
Toscana. L’Empoli, che già a metà anni ottanta era una società che faceva del talent scouting il proprio verbo, si
aggiudicò il cartellino della giovanissima promessa nel 1986, facendolo
esordire in serie C1 nel 1990. Nel 1995, dopo cinque anni trascorsi sotto gli
occhi della Fiorentina di Cecchi Gori, passò al Genoa dove cominciò a segnare
gol in doppia cifra (e con decimale superiore ad 1) e brevettò la sua forma di
esultanza che sarebbe rimasta celebre, l’aeroplanino,
che sarebbe diventata altrettanto famosa della mitraglia di Batistuta.
Nel 1996 passò sull’altra sponda
genovese, la Sampdoria, dove continuò a segnare non meno di venti gol a
stagione, ad eccezione dell’ultima, nel 1999, allorché una fastidiosa pubalgia
lo limitò a 12 gol, e guarda caso la Samp a fine di quella stagione retrocesse.
Montella finì a Roma alla corte di Capello, dove riprese a segnare a raffica e
dove dopo due anni si ritrovò accanto Batistuta. Dapprima l’aeroplanino e la mitraglia si litigarono la maglia numero 9, pretesa dall’argentino
che benché fosse l’ultimo arrivato parve spuntarla facendo valere il suo
maggior prestigio e l’ingente somma sborsata dalla Roma alla Fiorentina per
aggiudicarselo.
Batigol ottenne anche il posto da titolare e Vincenzo finì spesso
in panchina nel girone d’andata, salvo essere buttato in campo in quello di ritorno
quando il titolare e un po’ tutta la
squadra stavano tirando il fiato, e contribuire con i suoi gol pesantissimi
alla conquista del terzo scudetto giallorosso. A fine stagione, 13 gol della “riserva”
contro i 20 del “titolare”, e la soddisfazione di essersi tenuto alla fine la
maglia numero 9.
La stagione successiva fu quella
dei quattro gol alla Lazio in un singolo derby. Restò in giallorosso per altri
cinque anni, segnando una media di 20 gol a stagione. Nel 2007 arrivò
l’avventura in Premier League con il
Fulham, breve e di scarsa soddisfazione, 3 gol in 10 presenze. Poi un anno alla
Samp e uno alla Roma, un saluto alle sue vecchie squadre degli anni migliori,
prima di annunciare l’addio al calcio nel 2009. Allora la società giallorossa
decise comunque di sfruttare l’ultimo anno di contratto dell’aeroplanino affidandogli la panchina dei
“giovanissimi”.
Nel 2011 si ritrovò addirittura a
sedere su quella della prima squadra, dopo le dimissioni di Claudio Ranieri.
Non aveva ancora il patentino e dovette essere assistito dal vice Andreazzoli.
Durò poco, ma fece a tempo a battere di nuovo la Lazio nel derby per 2-0.
L’anno dopo, finalmente
patentato, finì a Catania, alla cui salvezza contribuì brillantemente.
Nell’estate del 2012 era libera la panchina della Fiorentina, dopo i fallimenti
di Mihajlovic e Delio Rossi. Proprio in relazione al predecessore serbo, anche
lui proveniente da Catania due anni prima, i tifosi fiorentini storsero un po’
la bocca quando appresero del suo ingaggio. In realtà va detto che a Sinisa era
toccata una squadra a fine ciclo, quasi allo sbando, a cui lui non aveva peraltro
saputo recuperare una parvenza di gioco.
2012-13 la stagione del rilancio viola |
Quando Montella si presentò a
Firenze, più che una squadra aveva un’ectoplasma. Partì per il ritiro di Moena
con un pullman semivuoto, e una vaga promessa dei Della Valle di riempirlo
quanto prima. In effetti in pochi giorni ai primi d’agosto arrivano così tanti
giocatori da stropicciarsi gli occhi. Gonzalo Rodriguez, Borja Valero,
Cuadrado, Aquilani, Pizarro, solo per dirne alcuni. Il capolavoro di Montella fu
quello di dare in pochi giorni a questi giovanotti arrivati alla spicciolata
un’amalgama ed un gioco anch’essi da stropicciarsi gli occhi. Il campionato non
era ancora cominciato che già tutti avevano dissipato ogni dubbio: l’aeroplanino era la scelta azzeccata, con
lui la Fiorentina sarebbe tornata a volare.
Finì quarto come il miglior
Prandelli, accreditandosi inoltre come il miglior tecnico emergente del
campionato. Nell’estate successiva invogliò la società a dargli una squadra
ancora più forte, affiancando alla “scommessa” Pepito Rossi anche Mario Gomez.
Sembrava proprio che quello che andava a cominciare nel settembre 2013 potesse
essere un campionato trionfale. E invece dopo le luci ecco le ombre. Il tedesco
si fece male subito, Rossi a metà stagione, Llajic e Jovetic non c’erano più.
Le soluzioni d’attacco di Montella sono venute meno quasi tutte insieme,
proprio quando gli avversari, avendolo studiato, hanno imparato i punti deboli
del suo gioco e gli hanno presentato il conto.
La stagione del trionfo è finita
con amare delusioni quali la sconfitta contro la Juventus in Europa League e
quella con il Napoli in Coppa Italia, dove la Fiorentina è tornata peraltro in
finale dopo 13 anni. Ma in campionato comunque Montella ripete un quarto posto
che alla luce del girone di ritorno e di tutte le sue vicissitudini ha del
miracoloso. Vincenzo ha avuto qualche mese di sconcerto, quasi preso di
sorpresa da infortuni e vicende sfavorevoli, poi la sua fantasia ha ripreso a
lavorare, producendo intuizioni interessanti come il Cuadrado falso nueve dell’ultima fase di
campionato.
Vincenzo Montella è umanamente
parlando un curioso esemplare di “britannico partenopeo”. Sempre
controllatissimo e signorile nelle sue manifestazioni esteriori, lascia
intravedere appena le sue passioni che covano sotto la superficie, una
emotività positiva che lo rende addirittura più apprezzabile e simpatico appena
uno se ne rende conto. In lui, comunque, fair
play e aziendalismo sono fuori discussione, almeno finché la Fiorentina ha
qualcosa da giocarsi nella stagione. Poi, siccome acca’ nisciun’è fess, come dicono dov’è nato lui, trova alla fine il
momento e la maniera di dire quello che pensa e di far valere le sue ragioni.
“Non posso immaginare di non
continuare a crescere professionalmente”. E’ un messaggio chiaro alla società,
l’anno prossimo voglio allenare una squadra più forte. Sulle prime, non è
chiaro se con ciò intenda necessariamente la fiorentina, o meno. Non è chiaro
nemmeno qual è l’atteggiamento di una società che negli ultimi anni ha avuto
proprio nel settore della comunicazione il suo Tallone d’Achille più evidente.
Tutti ricordano una analoga esternazione di Cesare Prandelli, quattro anni fa
più o meno di questi tempi. Tutti sanno come andò a finire, un ragioniere della
società lo prese in disparte e gli disse di cercarsi un’altra squadra. Molti
temono adesso, istintivamente, che anche stavolta potrebbe finire così. Che
comunque l’affare Cuadrado è già definito, le eventuali contropartite sono in
alto mare e l’aeroplanino ha tutte le
ragioni di voler sapere se potrà volare anche l’anno prossimo.
Come l’altra volta, Firenze è
grata ai della Valle per tutto quello che hanno fatto e faranno, ma
istintivamente si stringe attorno al suo allenatore. Che magari è giovane, fa i
suoi bravi sbagli, ha la sua brava testardaggine e deve ancora imparare e
migliorare, ma di sicuro vuole crescere con questa Fiorentina. Se glielo
permettono.
L’applauso del Franchi quando lo
speaker l’ha chiamato in campo nella Partita
del Cuore era fortissimo e convinto. Che cosa avrebbe dato Vincenzo detto
l’aeroplanino per segnare quel gol….
L'Aeroplanino se ne va (giugno 2015)
L'Aeroplanino se ne va (giugno 2015)
Arrivò in pieno marasma, ed in
pieno marasma se ne va. Nel luglio 2012 la Fiorentina era soltanto un mucchio
di buone intenzioni, o forse soprattutto un mucchio di incubi da cui
allontanarsi prima possibile. Per due anni vari personaggi avevano cercato di
rimettere insieme i cocci rotti nella vicenda Prandelli, senza riuscirci. A
Moena nel luglio 2012 non c’era il numero legale per fare partitelle amichevoli
di calcio a cinque. Vincenzo Montella ebbe pazienza, e fu ripagato.
I Della Valle sono un fenomeno imprenditoriale
che andrebbe studiato a fondo. Gestissero tutte le loro imprese così come
gestiscono – o lasciano gestire – la Fiorentina, probabilmente a quest’ora a
malapena riuscirebbero a produrre e vendere infradito. Da quando sono nel
calcio, la programmazione – quella cosa che tiene a galla al loro pari
imprenditori molto meno accreditati di loro – è una parola per loro
sconosciuta. Ma quando si trovano con le spalle al muro, riescono in pochi
giorni a inventare squadre. Lo fecero nell’estate del 2012, dieci anni dopo il
primo miracolo (o presunto tale) seguente al fallimento di Cecchi Gori.
Montella, che aveva creduto forse
di aver sbagliato località per le vacanze, si ritrovò di punto in bianco una
squadra. E che squadra. La Fiorentina fu la rivelazione del campionato
successivo. Il calcio spagnolo trapiantato in Italia, ed allora il calcio
spagnolo era il Vangelo secondo Matteo. L’anno dopo cominciò il difficile.
Persi Jovetic e Llajic sull’altare delle plusvalenze e delle illusioni di due
ragazzi convinti di essere fuoriclasse, la società gli mise in mano due
scommesse, Pepito Rossi e Mario Gomez. Due ex ragazzi convinti di poter essere
ancora all’altezza di se stessi. L’asticella si alzò, ma si alzarono anche le
aspettative di dirigenza e tifosi.
La scoperta di avere in casa un
fenomeno come Cuadrado coprì buona parte delle lacune aperte dagli infortuni di
Gomez e Rossi. La Fiorentina arrivò a lambire il calcio che conta, lasciando
una bella impressione di sé insieme alla suggestione di pensare che con un po’
più di fortuna e pochi ritocchi il calcio che conta le avrebbe detto “prego, si
accomodi”. Peccato che quei ritocchi lo erano solo per chi si intendeva di
bilanci, non per chi si intendeva di calcio vero. “Brillante” di nome e non di
fatto, la Fiorentina che mieteva successi nei tornei estivi vendicando
addirittura un vecchio conto aperto con il Real Madrid fu bruscamente
ridimensionata già alla prima uscita seria all’Olimpico di Roma.
Difficile dire se fu Montella ad
amplificare le lacune viola, oppure furono le lacune viola a disamorarlo
all’avvio di una stagione che doveva essere quella decisiva. Per lui, per noi,
per tutti. Il girone di andata fu in pratica una polemica a distanza tra il
mister ed i suoi datori di lavoro, convinti di avergli messo in mano una
squadra più forte di quella che lui riusciva a schierare in campo. A gennaio,
quando dal cilindro della cessione di Cuadrado saltò fuori la briscola Salah,
il clima era compromesso. La squadra cominciò a volare, almeno per un paio di
mesi. Ma il mister forse faceva fatica a gioire della ritrovata sintonia con il
suo lavoro attuale. Faceva fatica perché si immaginava già altrove, proprio
mentre il mondo era costretto ad accorgersi della Fiorentina.
Ne ha di strada da fare Vincenzo
Montella prima di diventare un top mister. Lo ha dimostrato nel momento
cruciale, dopo Pasqua, quando tutti i giochi entrarono nella fase decisiva e
tutti i nodi vennero al pettine. Non era convinto di reggere su tre obbiettivi,
Vincenzo Montella. Forse non si inventò nulla per riuscirci malgrado tutto. Di
sicuro società e tifosi non gli perdonarono di non esserci riuscito, anche se
forse in mancanza di meglio avrebbero continuato ad affidarsi a lui.
O per meglio dire, i tifosi di
sicuro. La società chissà. Quando i Della Valle prendono qualcuno sulle
scatole, a torto o a ragione, non c’è più niente da fare. Prandelli fu
liquidato la notte della vittoria a Liverpool. Montella viene esonerato nel
momento in cui si dovrebbero programmare pochi, misurati acquisti per ridare
l’assalto al Gotha del calcio italiano ed europeo. A metà giugno, qualunque
siano le motivazioni che hanno spinto la proprietà a prendere questa decisione,
questo significa compromettere forse la campagna acquisti per la prossima
stagione, e quindi la prossima stagione stessa.
Adesso si scateneranno
dellavalliani e montelliani. Ma c’è qualcosa che non va, qualcosa che ricorre,
il male oscuro di questa Fiorentina che non sa o non vuole decollare. Mondonico
che si dispera la notte dello spareggio vittorioso con il Perugia, Prandelli
che si stacca da Firenze la notte di Liverpool, Montella che esce di scena
malamente dopo giorni di scazzi a distanza a mezzo stampa con una società che
per il terzo anno consecutivo guarda anche grazie a lui dall’alto società ben
più blasonate e perfino l’arrogante e pompatissimo Napoli. C’è qualcosa
nell’anima di questa Fiorentina che si rifiuta di crescere, di maturare. E
siccome i suoi padroni sono gente che ormai va per i sessant’anni o c’è già
arrivata, è difficile pensare che a quell’età si facciano ulteriori
maturazioni.
Non si tratta di difendere
Montella, che magari sa già bene dove andare l’anno prossimo, e che quantomeno
si ritrova nella peggiore delle ipotesi uno stipendio già pagato. Si tratta di
scongiurare la perdita di altri due anni. Con personaggi improbabili come
questo Paulo Sousa che sembra tanto – con rispetto parlando - un Ottavio
Bianchi in versione portoghese, o con altre improvvisate del genere. Per poi
magari ritrovarsi tra un po’ a stipendiare il terzo allenatore – il Delio Rossi
della situazione – che venga di corsa a salvare il salvabile.
Tutto questo non lo trovate nel
comunicato dell’ACF Fiorentina. Ma è un film già visto. E come le repliche del
vecchio, glorioso cinema Universale, ormai forse lo abbiamo visto troppe volte.
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