venerdì 1 gennaio 2016

Vincenzo Montella, dove vola l'aeroplanino

C’è da giurare che per segnare quel benedetto gol a Francesco Toldo nella porta di Emergency alla Partita del Cuore il 19 maggio 2014 avrebbe dato la metà dei gol segnati in tutta la sua carriera, trascorsa interamente nelle zone alte della classifica cannonieri di serie A. Ci ha provato in tutti i modi, sbagliando anche un rigore e vedendosi parare uno splendido colpo di testa dal “vecchio” Toldo. Quella porta era stregata per lui, proprio nella sera in cui ci avrebbe tenuto di più a segnare, davanti al pubblico che l’ha adottato.
19 maggio 2014 la Partita del Cuore
Quando l’aeroplanino volava, i suoi piani di volo l’hanno sempre tenuto lontano da Firenze, a cui anzi ha dato spesso e volentieri dei dispiaceri. La Fiorentina è infatti una delle squadre alle quali ha segnato di più in carriera. Vincenzo Montella, nato a Pomigliano d’Arco il 18 giugno 1974 e cresciuto a Castello di Cisterna, due comuni dell’hinterland napoletano, a dodici anni era già venuto peraltro in Toscana. L’Empoli, che già a metà anni ottanta era una società che faceva del talent scouting il proprio verbo, si aggiudicò il cartellino della giovanissima promessa nel 1986, facendolo esordire in serie C1 nel 1990. Nel 1995, dopo cinque anni trascorsi sotto gli occhi della Fiorentina di Cecchi Gori, passò al Genoa dove cominciò a segnare gol in doppia cifra (e con decimale superiore ad 1) e brevettò la sua forma di esultanza che sarebbe rimasta celebre, l’aeroplanino, che sarebbe diventata altrettanto famosa della mitraglia di Batistuta.
Nel 1996 passò sull’altra sponda genovese, la Sampdoria, dove continuò a segnare non meno di venti gol a stagione, ad eccezione dell’ultima, nel 1999, allorché una fastidiosa pubalgia lo limitò a 12 gol, e guarda caso la Samp a fine di quella stagione retrocesse. Montella finì a Roma alla corte di Capello, dove riprese a segnare a raffica e dove dopo due anni si ritrovò accanto Batistuta. Dapprima l’aeroplanino e la mitraglia si litigarono la maglia numero 9, pretesa dall’argentino che benché fosse l’ultimo arrivato parve spuntarla facendo valere il suo maggior prestigio e l’ingente somma sborsata dalla Roma alla Fiorentina per aggiudicarselo.
Batigol ottenne anche il posto da titolare e Vincenzo finì spesso in panchina nel girone d’andata, salvo essere buttato in campo in quello di ritorno quando il titolare e  un po’ tutta la squadra stavano tirando il fiato, e contribuire con i suoi gol pesantissimi alla conquista del terzo scudetto giallorosso. A fine stagione, 13 gol della “riserva” contro i 20 del “titolare”, e la soddisfazione di essersi tenuto alla fine la maglia numero 9.
La stagione successiva fu quella dei quattro gol alla Lazio in un singolo derby. Restò in giallorosso per altri cinque anni, segnando una media di 20 gol a stagione. Nel 2007 arrivò l’avventura in Premier League con il Fulham, breve e di scarsa soddisfazione, 3 gol in 10 presenze. Poi un anno alla Samp e uno alla Roma, un saluto alle sue vecchie squadre degli anni migliori, prima di annunciare l’addio al calcio nel 2009. Allora la società giallorossa decise comunque di sfruttare l’ultimo anno di contratto dell’aeroplanino affidandogli la panchina dei “giovanissimi”.
Nel 2011 si ritrovò addirittura a sedere su quella della prima squadra, dopo le dimissioni di Claudio Ranieri. Non aveva ancora il patentino e dovette essere assistito dal vice Andreazzoli. Durò poco, ma fece a tempo a battere di nuovo la Lazio nel derby per 2-0.
L’anno dopo, finalmente patentato, finì a Catania, alla cui salvezza contribuì brillantemente. Nell’estate del 2012 era libera la panchina della Fiorentina, dopo i fallimenti di Mihajlovic e Delio Rossi. Proprio in relazione al predecessore serbo, anche lui proveniente da Catania due anni prima, i tifosi fiorentini storsero un po’ la bocca quando appresero del suo ingaggio. In realtà va detto che a Sinisa era toccata una squadra a fine ciclo, quasi allo sbando, a cui lui non aveva peraltro saputo recuperare una parvenza di gioco.
2012-13 la stagione del rilancio viola
Quando Montella si presentò a Firenze, più che una squadra aveva un’ectoplasma. Partì per il ritiro di Moena con un pullman semivuoto, e una vaga promessa dei Della Valle di riempirlo quanto prima. In effetti in pochi giorni ai primi d’agosto arrivano così tanti giocatori da stropicciarsi gli occhi. Gonzalo Rodriguez, Borja Valero, Cuadrado, Aquilani, Pizarro, solo per dirne alcuni. Il capolavoro di Montella fu quello di dare in pochi giorni a questi giovanotti arrivati alla spicciolata un’amalgama ed un gioco anch’essi da stropicciarsi gli occhi. Il campionato non era ancora cominciato che già tutti avevano dissipato ogni dubbio: l’aeroplanino era la scelta azzeccata, con lui la Fiorentina sarebbe tornata a volare.
Finì quarto come il miglior Prandelli, accreditandosi inoltre come il miglior tecnico emergente del campionato. Nell’estate successiva invogliò la società a dargli una squadra ancora più forte, affiancando alla “scommessa” Pepito Rossi anche Mario Gomez. Sembrava proprio che quello che andava a cominciare nel settembre 2013 potesse essere un campionato trionfale. E invece dopo le luci ecco le ombre. Il tedesco si fece male subito, Rossi a metà stagione, Llajic e Jovetic non c’erano più. Le soluzioni d’attacco di Montella sono venute meno quasi tutte insieme, proprio quando gli avversari, avendolo studiato, hanno imparato i punti deboli del suo gioco e gli hanno presentato il conto.
La stagione del trionfo è finita con amare delusioni quali la sconfitta contro la Juventus in Europa League e quella con il Napoli in Coppa Italia, dove la Fiorentina è tornata peraltro in finale dopo 13 anni. Ma in campionato comunque Montella ripete un quarto posto che alla luce del girone di ritorno e di tutte le sue vicissitudini ha del miracoloso. Vincenzo ha avuto qualche mese di sconcerto, quasi preso di sorpresa da infortuni e vicende sfavorevoli, poi la sua fantasia ha ripreso a lavorare, producendo intuizioni interessanti come il Cuadrado falso nueve dell’ultima fase di campionato.
Vincenzo Montella è umanamente parlando un curioso esemplare di “britannico partenopeo”. Sempre controllatissimo e signorile nelle sue manifestazioni esteriori, lascia intravedere appena le sue passioni che covano sotto la superficie, una emotività positiva che lo rende addirittura più apprezzabile e simpatico appena uno se ne rende conto. In lui, comunque, fair play e aziendalismo sono fuori discussione, almeno finché la Fiorentina ha qualcosa da giocarsi nella stagione. Poi, siccome acca’ nisciun’è fess, come dicono dov’è nato lui, trova alla fine il momento e la maniera di dire quello che pensa e di far valere le sue ragioni.
“Non posso immaginare di non continuare a crescere professionalmente”. E’ un messaggio chiaro alla società, l’anno prossimo voglio allenare una squadra più forte. Sulle prime, non è chiaro se con ciò intenda necessariamente la fiorentina, o meno. Non è chiaro nemmeno qual è l’atteggiamento di una società che negli ultimi anni ha avuto proprio nel settore della comunicazione il suo Tallone d’Achille più evidente. Tutti ricordano una analoga esternazione di Cesare Prandelli, quattro anni fa più o meno di questi tempi. Tutti sanno come andò a finire, un ragioniere della società lo prese in disparte e gli disse di cercarsi un’altra squadra. Molti temono adesso, istintivamente, che anche stavolta potrebbe finire così. Che comunque l’affare Cuadrado è già definito, le eventuali contropartite sono in alto mare e l’aeroplanino ha tutte le ragioni di voler sapere se potrà volare anche l’anno prossimo.
Come l’altra volta, Firenze è grata ai della Valle per tutto quello che hanno fatto e faranno, ma istintivamente si stringe attorno al suo allenatore. Che magari è giovane, fa i suoi bravi sbagli, ha la sua brava testardaggine e deve ancora imparare e migliorare, ma di sicuro vuole crescere con questa Fiorentina. Se glielo permettono.
L’applauso del Franchi quando lo speaker l’ha chiamato in campo nella Partita del Cuore era fortissimo e convinto. Che cosa avrebbe dato Vincenzo detto l’aeroplanino per segnare quel gol….

L'Aeroplanino se ne va (giugno 2015)
Arrivò in pieno marasma, ed in pieno marasma se ne va. Nel luglio 2012 la Fiorentina era soltanto un mucchio di buone intenzioni, o forse soprattutto un mucchio di incubi da cui allontanarsi prima possibile. Per due anni vari personaggi avevano cercato di rimettere insieme i cocci rotti nella vicenda Prandelli, senza riuscirci. A Moena nel luglio 2012 non c’era il numero legale per fare partitelle amichevoli di calcio a cinque. Vincenzo Montella ebbe pazienza, e fu ripagato.
I Della Valle sono un fenomeno imprenditoriale che andrebbe studiato a fondo. Gestissero tutte le loro imprese così come gestiscono – o lasciano gestire – la Fiorentina, probabilmente a quest’ora a malapena riuscirebbero a produrre e vendere infradito. Da quando sono nel calcio, la programmazione – quella cosa che tiene a galla al loro pari imprenditori molto meno accreditati di loro – è una parola per loro sconosciuta. Ma quando si trovano con le spalle al muro, riescono in pochi giorni a inventare squadre. Lo fecero nell’estate del 2012, dieci anni dopo il primo miracolo (o presunto tale) seguente al fallimento di Cecchi Gori.
Montella, che aveva creduto forse di aver sbagliato località per le vacanze, si ritrovò di punto in bianco una squadra. E che squadra. La Fiorentina fu la rivelazione del campionato successivo. Il calcio spagnolo trapiantato in Italia, ed allora il calcio spagnolo era il Vangelo secondo Matteo. L’anno dopo cominciò il difficile. Persi Jovetic e Llajic sull’altare delle plusvalenze e delle illusioni di due ragazzi convinti di essere fuoriclasse, la società gli mise in mano due scommesse, Pepito Rossi e Mario Gomez. Due ex ragazzi convinti di poter essere ancora all’altezza di se stessi. L’asticella si alzò, ma si alzarono anche le aspettative di dirigenza e tifosi.
La scoperta di avere in casa un fenomeno come Cuadrado coprì buona parte delle lacune aperte dagli infortuni di Gomez e Rossi. La Fiorentina arrivò a lambire il calcio che conta, lasciando una bella impressione di sé insieme alla suggestione di pensare che con un po’ più di fortuna e pochi ritocchi il calcio che conta le avrebbe detto “prego, si accomodi”. Peccato che quei ritocchi lo erano solo per chi si intendeva di bilanci, non per chi si intendeva di calcio vero. “Brillante” di nome e non di fatto, la Fiorentina che mieteva successi nei tornei estivi vendicando addirittura un vecchio conto aperto con il Real Madrid fu bruscamente ridimensionata già alla prima uscita seria all’Olimpico di Roma.
Difficile dire se fu Montella ad amplificare le lacune viola, oppure furono le lacune viola a disamorarlo all’avvio di una stagione che doveva essere quella decisiva. Per lui, per noi, per tutti. Il girone di andata fu in pratica una polemica a distanza tra il mister ed i suoi datori di lavoro, convinti di avergli messo in mano una squadra più forte di quella che lui riusciva a schierare in campo. A gennaio, quando dal cilindro della cessione di Cuadrado saltò fuori la briscola Salah, il clima era compromesso. La squadra cominciò a volare, almeno per un paio di mesi. Ma il mister forse faceva fatica a gioire della ritrovata sintonia con il suo lavoro attuale. Faceva fatica perché si immaginava già altrove, proprio mentre il mondo era costretto ad accorgersi della Fiorentina.
Ne ha di strada da fare Vincenzo Montella prima di diventare un top mister. Lo ha dimostrato nel momento cruciale, dopo Pasqua, quando tutti i giochi entrarono nella fase decisiva e tutti i nodi vennero al pettine. Non era convinto di reggere su tre obbiettivi, Vincenzo Montella. Forse non si inventò nulla per riuscirci malgrado tutto. Di sicuro società e tifosi non gli perdonarono di non esserci riuscito, anche se forse in mancanza di meglio avrebbero continuato ad affidarsi a lui.
O per meglio dire, i tifosi di sicuro. La società chissà. Quando i Della Valle prendono qualcuno sulle scatole, a torto o a ragione, non c’è più niente da fare. Prandelli fu liquidato la notte della vittoria a Liverpool. Montella viene esonerato nel momento in cui si dovrebbero programmare pochi, misurati acquisti per ridare l’assalto al Gotha del calcio italiano ed europeo. A metà giugno, qualunque siano le motivazioni che hanno spinto la proprietà a prendere questa decisione, questo significa compromettere forse la campagna acquisti per la prossima stagione, e quindi la prossima stagione stessa.
Adesso si scateneranno dellavalliani e montelliani. Ma c’è qualcosa che non va, qualcosa che ricorre, il male oscuro di questa Fiorentina che non sa o non vuole decollare. Mondonico che si dispera la notte dello spareggio vittorioso con il Perugia, Prandelli che si stacca da Firenze la notte di Liverpool, Montella che esce di scena malamente dopo giorni di scazzi a distanza a mezzo stampa con una società che per il terzo anno consecutivo guarda anche grazie a lui dall’alto società ben più blasonate e perfino l’arrogante e pompatissimo Napoli. C’è qualcosa nell’anima di questa Fiorentina che si rifiuta di crescere, di maturare. E siccome i suoi padroni sono gente che ormai va per i sessant’anni o c’è già arrivata, è difficile pensare che a quell’età si facciano ulteriori maturazioni.
Non si tratta di difendere Montella, che magari sa già bene dove andare l’anno prossimo, e che quantomeno si ritrova nella peggiore delle ipotesi uno stipendio già pagato. Si tratta di scongiurare la perdita di altri due anni. Con personaggi improbabili come questo Paulo Sousa che sembra tanto – con rispetto parlando - un Ottavio Bianchi in versione portoghese, o con altre improvvisate del genere. Per poi magari ritrovarsi tra un po’ a stipendiare il terzo allenatore – il Delio Rossi della situazione – che venga di corsa a salvare il salvabile.
Tutto questo non lo trovate nel comunicato dell’ACF Fiorentina. Ma è un film già visto. E come le repliche del vecchio, glorioso cinema Universale, ormai forse lo abbiamo visto troppe volte.

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