Ci sono ragazzi che non giocano come gli altri, guardando
per terra. Ci sono ragazzi che giocano guardando le stelle, a Firenze lo
sappiamo bene, ne abbiamo avuti diversi. Soprattutto uno, del quale non
finiremo mai di sentire la mancanza. Dopo Antognoni mai più niente di simile,
dicevamo. Beh, qualcuno c’è stato che si è avvicinato parecchio al posto che
Antonio occupa nel nostro cuore. Baggino e Rui. I numeri 10 che fanno nostalgia
sono tanti. Questa è la storia di uno di loro, di un ragazzo che giocava a
ritmo do Fado, e che con l’occhio
languido lusitano fece innamorarle le ragazze fiorentine e sognare i ragazzi.
Erano i tempi in cui Batigol si avventava sull’erba, e Manuel Rui Costa ci scriveva
sopra deliziose poesie.
Il ragazzo di Lisbona, che oggi ha 45 anni, ne aveva 9
quando la perla nera Eusebio Da Silva
Ferreira, l’eroe dei mondiali del 1966 ed il più forte giocatore portoghese di
sempre lo notò e lo segnalò al Benfica. Eusebio di stelle se ne intendeva, Manuel
Cesar Costa detto Rui le guardava come lui, giocava a testa alta. Erano tanti i
ragazzi di talento che portarono il Portogallo a vincere il Mondiale Under 20
nel 1991. Lui era il più appariscente.
Nel 1994, la Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori risalì in
serie A vogliosa di riaprire un ciclo vincente. Aveva diversi campioni su cui
spiccava il puntero argentino
Batistuta. Mancava un numero 10 al’altezza della storia viola e delle ambizioni
di una società che voleva stare tra le Sette Sorelle. A quel’epoca Cecchi Gori
Vittorio non badava a spese, perché poteva spendere. Antognoni come club manager vide l’affare, Luciano
Luna volò in Portogallo, VCG disse di sì. Per 11 miliardi di lire Manuel Rui
Costa fu preso dalla Fiorentina al Benfica e portato a Firenze. E a Firenze
Manuel Rui Costa divenne l’eroe dei due mondi.
Della Fiorentina di Claudio Ranieri Rui Costa divenne il
poeta. Non segnava molto il campione portoghese, ma faceva segnare tanto i suoi
compagni. Nel 1996 i suoi assist contribuirono alla vittoria di Coppa Italia e
Supercoppa italiana, a San Siro contro il Milan il giorno che Batistuta fece
sapere al mondo che “amava Irina”. Due anni dopo, nell’anno che la Fiorentina
sfiorò lo scudetto sfumato per il carnevale di Rio di Edmundo e l’infortunio di
Batigol, Rui Costa fu il secondo marcatore dopo l’argentino. L’anno dopo
ancora, quando la squadra viola cavalcò in Champions League, Rui segnò a Valencia uno splendido gol su
punizione che valeva il passaggio ai quarti di finale, ma gli fu annullato
ingiustamente.
Passò il Valencia, la Fiorentina si dissolse su quella
sconfitta immeritata, a fine stagione andò via Batistuta e Cecchi Gori entrò in
crisi di liquidità. La stagione 2000-01 fu assurda, l’imperatore Terim venne,
vide, vinse e se ne andò al Milan. Arrivò Mancini in deroga alle norme federali
sul tesseramento degli allenatori. In campionato la Fiorentina fece alti e
bassi, in Coppa Italia fece sfracelli. Lo stesso Rui Costa devastò il Milan in
semifinale. In finale fu regolato il Parma. La notte del 13 giugno ogni tifoso vola
ricorda la faccia stravolta dalla gioia del capitano viola Manuel Rui Costa
mentre solleva la Coppa Italia. Fu un bel successo, ed anche l’ultimo della
Fiorentina.
Manuel Rui Costa alza la Coppa Italia 2001 |
Poco dopo, il gruppo Cecchi Gori entrò in agonia, la
Federazione certificò l’ammissione della Fiorentina al campionato di serie A a
condizione che i pezzi pregiati fossero svenduti. Toldo andò all’Inter, Rui
Costa andò al Milan, piangendo. Lo attendeva un calvario. Lui, giocatore
sopraffino, costretto in panchina a causa dell’acquisto del brasiliano Kaka,
che più di lui aveva solo la gioventù. Lui che con ilpallone scriveva poesie,
costretto a scrivere le memorie da Milano: Le mie prigioni. Anni inutili, il crepuscolo ingeneroso di un giocatore
che non aveva nulla da invidiare a nessuno di quelli che altrove vincevano il
Pallone d’Oro.
Nel 2006 rescisse il contratto con il Milan e tornò a casa
sua. Anni prima, durante una trasferta di Champion’s della Fiorentina a Lisbona,
aveva rilasciato una struggente intervista in cui spiegava perché chi era nato nella
capitale portoghese non poteva entusiasmarsi in nessun’altra città. E nonostante
ciò, lui si era innamorato di Firenze. Nel suo cuore aveva trovato posto per
due grandi amori. In uno c’era nato, nell’altro c’era cresciuto.
Pochi giorni dopo la fine della sua carriera di giocatore,
Il Benfica lo reclamò come direttore sportivo. Carica che ancora oggi ricopre.
Manuel è Lisbona, e Lisbona non poteva fare a meno di lui. Ma Manuel è anche
Firenze, e Firenze non ha più potuto fare a meno di sognare il suo ritorno,
dopo gli anni spezzati dal doping finanziario che lo portò via. Non c’è stata stagione
in cui i tifosi viola non abbiano drizzato le orecchie alle voci puntualmente
ricorrenti di un suo ingaggio come diesse.
E quando qualche anno fa si diffuse addirittura la voce di un ritorno clamoroso,
Antognoni e Rui Costa in tandem, si rischiò l’orgasmo collettivo.
A Firenze tutti sanno ballare il
Fado. La portuguesa non l’ha
dimenticata nessuno. E tutti aspettano il ritorno di Rui Costa.
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