martedì 27 dicembre 2016

Glielo porto io. E poi?



L’offerta del Tianjin per Kalinic è di quelle che non si possono rifiutare. Se davvero si trattano di 40 milioni, decidiamo chi parte e ce lo porta, anche con la propria macchina. Si può e si deve rifiutare invece quella degli inglesi, che non essendo – calcisticamente parlando – alle prime armi come i cinesi, mettono sul piatto della bilancia un assai più prosaico Simone Zaza più soldi. Siccome di giocatori ridicoli negli anni a Firenze ne abbiamo avuti a sufficienza, direi che fare passo è d’obbligo. Zaza sta bene su youtube, e lì è giusto che resti.
Se l’offerta cinese è valida, invece, si aprono due scenari. Uno è il solito da diversi anni a questa parte, e autorizza le prevedibili obbiezioni: anche Alonso era un offerta che non si poteva rifiutare, e i soldi però dove sono finiti? Chi se li è messi in tasca?
A questa obbiezione ha risposto preventivamente il consigliere Panerai all’uscita dell’ultimo CdA. Per quanto abbia una faccia che ricorda quella di Darth Sidious nella saga di Guerre Stellari, Panerai una cosa giusta l’ha detta (più che giusta, indicativa dello stato delle cose): al prossimo mercato, bisogna rientrare di altri soldi.
Manco fosse il Monte dei Paschi, la Fiorentina del fair play finanziario è ultimamente diventata un pozzo senza fondo. Una idrovora che macina quattrini in quantità industriale, è il caso di dire trattandosi di una holding e non più di una società sportiva (Darth Cognigni docet).
Al mercato di gennaio, è già stata messa in preventivo una cessione. Lo sappiamo tutti. In principio era Badelj, su cui si stava aprendo una parvenza di asta tra Milan e Inter, una specie di derby cinese. Poi Zarate, che si pensava dovesse liberare quel posto in Tribuna Autorità ormai suo di diritto per tutta la restante durata della gestione Sousa.
Quando già le prestazioni strepitose di Federico Bernardeschi cominciavano ad autorizzare scenari alternativi ed inquietanti, ecco l’offerta asiatica per Nikola Kalinic.  Secondo il primo scenario di cui stiamo trattando, su 40 milioni 35 buoni se li metterebbe intasca il tesoriere viola, o quello della Tod’s, fate voi. Ennesimo sacrificio umano alla divinità divoratrice di quattrini che viene adorata in Viale Manfredo Fanti a partire dal 2002.
Non vale la pena di parlarne, bilancio risanato (almeno per qualche mese), fine dei discorsi, a gennaio si razzoleranno un paio di prestiti. Tanto, per arrivare ottavi o noni basterebbe riprendere anche il buon Diamanti, o giù di lì.
Poi c’è il secondo scenario. Si vende per reinvestire. Prima che vi vada di traverso dalle risate ciò che resta del panettone natalizio, proviamo a ragionarne.
Dalla partenza di Kalinic non ne può venire che bene. Oltre al denaro fresco da reinvestire (ripeto, non spanciatevi dalle risate), sarebbe in primo luogo finita la farsa del modulo ad una punta che tanti punti ci è costato in questa disgraziata stagione. Non potendoci insomma liberare di Sousa prima di maggio, gli toglieremmo di mano il principale strumento delle sue sousate.
Da febbraio in poi, se la dovrebbe giocare con Babacar titolare e Zarate (opportunamente ritirato dal mercato e fatto scendere dalla Tribuna) al suo fianco come seconda punta. Un diecino speso su Gabbiadini del Napoli semplificherebbe la vita non tanto a Sousa quanto a chi continuerebbe a seguire le prestazioni della Fiorentina, dallo stadio o da casa.
Su Badelj, discutiamo. Non è Eraldo Pecci, ma negli equilibri di centrocampo viola, con Borja Valero prossimo alla casa di riposo, con Gonzalo Rodriguez in procinto di seguire le orme di Osvaldo e darsi in pianta stabile al rock, il croato il cui nome stranamente non finisce in IC sarebbe difficilmente sostituibile per uno staff di mercato viola (che poi quest’anno è di nuovo una one man band, quella salentina di ritorno) che non è capace di programmare acquisti mirati più di quanto uno scolaro delle elementari sia capace di gestire i compiti delle vacanze prima della sera della Befana. Senza Badelj, il centrocampo viola si chiama Vecino e basta. E ringraziare (o maledire a seconda dello scenario) che nel frattempo sta esplodendo Federico Chiesa.
Poi ci sarebbe da spendere per la difesa. Nello scenario due, si prende quel ciarpame arrivato in estate più Tomovic, si accompagna ai confini della Terra di Mezzo con diffida a farsi mai più rivedere, e si comprano un paio di difensori decenti. Nello scenario uno, chi è scoppiato a ridere da almeno un paio di paragrafi continui pure, perché il tesoriere viola vi esibirà una bella lingua di Menelicche.
Diamo Kalinic ai cinesi, prima che ci ripensino. Poi si discute cosa fare dei 40 milioni. 10 alla Fiorentina e 30 in tasca ai Della Valle, visti i chiari di luna, ci si potrebbe anche stare.

domenica 27 novembre 2016

La dura vita dell'allenatore nella Firenze dei Della Valle

La monarchia costituzionale fu inventata nel diciottesimo secolo per sollevare i monarchi dalla responsabilità delle loro azioni, soprattutto da quel certo momento in poi in cui prese piede l’usanza di farla valere sul palco della ghigliottina. In sostanza, il ministro o maggiordomo pagavano e pagano al posto del loro sovrano, mettendoci la faccia e in qualche caso la testa.
La filosofia politica ha fatto tanta strada da allora, estendendo il proprio campo d’azione tra l’altro a tutti quei settori che prevedono l’esistenza di un padrone, di un’azienda, di un fatturato e di azionisti – o quantomeno clienti – a cui rispondere.
Eccoci quindi nel mondo del calcio. Non c’è più un Luigi XVI a cui salvare la testa, ma tanti presidenti-proprietari, padroni assoluti come tanti Re Sole fino al giorno in cui la squadra va male, e allora bisogna dare in pasto alla folla inferocita una testa, appunto. Non di un ministro, in questo caso, ma di un allenatore.
E’ la prima cosa che imparano i presidenti del calcio. L’allenatore sta lì a prendersi gli osanna e le maledizioni dei tifosi. Il Presidente, quello non si tocca mai, non si contesta. Perché….. se va via…..
A Firenze, dal 2002 c’è una squadra – azienda. E avresti detto che aziendalisti come i Della Valle, così precisi e rigorosi nelle altre aziende del loro gruppo, avrebbero rifuggito inorriditi da certi malcostumi tipici del calcio. E invece…..
Gli allenatori a Firenze durano poco, storicamente. Il record di permanenza, sei stagioni, a tutt’oggi rimane legato alla memoria di una figura leggendaria: Fulvio Bernardini, il mister del primo scudetto. Proprio con i Della Valle siamo andati vicini a superarlo, con Cesare Claudio Prandelli, che di stagioni da queste parti ne ha rette ben cinque. Sappiamo tutti com’è andata a finire, “si cerchi un’altra squadra” proprio la sera di Liverpool. Qualcosa non funziona nel rapporto degli imprenditori marchigiani con i loro dipendenti in tuta da calcio. Ce ne accorgemmo allora, quando l’illusione di una proprietà che credevamo diversa svanì nello spazio di una nottata e di un girone di ritorno.
Nel 2002, doveva essere Eugenio Fascetti a guidare la Fiorentina retrocessa in B di Vittorio Cecchi Gori. Ma la B diventò C2, la Cecchi Gori Productions diventò una società fallimentare, ed al suo posto la Giunta Domenici tirò fuori dal cappello messole in mano dalla politica romana il Gruppo Tod’s. Che all’inizio ebbe il merito di inventarsi in soli 20 giorni società e squadra. Giovanni Galli ingaggiò l’ex compagno di quasi-scudetto Pietro Vierchowod, per dare la scalata alla C1.
Pietro durò nove giornate. Allenatori non ci si improvvisa, ed il russo scoprì a sue e nostre spese di non avere l’esperienza ed il carisma per portare Riganò & C. ad una marcia trionfale. Al suo posto fu chiamato il navigato Alberto Cavasin, che in C2 se la cavò egregiamente. Dalla C2 alla B, grazie ai meriti di blasone, il passo però fu troppo breve, e nel febbraio 2004 anche Cavasin fu giudicato non all’altezza del compito. In serie cadetta, la squadra era quattordicesima, Firenze voleva la serie A, l’azienda pure. Arrivò il mister tifoso Emiliano Mondonico, vecchio filibustiere di tutte le serie.
Mondo vinse lo spareggio, ma se ne disperò quasi. Aveva annusato che l’aria di Viale Manfredo Fanti era diventata pesante per lui e per gli eroi venuti su dalla C2. Anche lui arrivò fino al novembre successivo, poi passò la mano a Sergio Buso, allenatore fino a quel momento dei portieri. Il povero Buso resse tre mesi, finendo vittima di logiche di sistema che andavano al di là dei suoi demeriti. La Fiorentina dei Della Valle era stata antipatica da subito all’establishment di quella serie A che aveva appena riconquistato. A Genova finì la partita in otto, tanto per gradire. Altro che cattivi pensieri, come quelli che vennero al Grande Timoniere Dino Zoff. Che comunque portò la squadra in salvo con una rimonta alla Chiappella.
E venne Claudio Cesare, vide e vinse. Quarto posto, Champion’s League e Toni Scarpa d’Oro. Peccato che il conto di Calciopoli arrivò proprio quell’estate. Meno quindici, e tanti avvisi di garanzia. A Folgaria quell’anno al raduno c’era solo lui. Diventò per la Fiorentina una specie di Alex Ferguson, salvando la squadra e portandola al terzo posto virtuale. Ma i Della Valle non tolleravano i Ferguson, al massimo i Cognigni. E quando un bel giorno Prandelli chiese conto dei proclami di vittoria entro il 2011, gli fu risposto dal patron Diego in persona: “lei è l’allenatore? E allora pensi ad allenare”.
A novembre 2009 il giocattolo di Prandelli andò in pezzi. Società improvvisamente demotivata, calciatori che ressero di nervi fino al furto di Ovrebo a Monaco. Poi fu Caporetto, 17 sconfitte stagionali. Prandelli la squadra se la trovò davvero, era la Nazionale, nientemeno. Ad ottobre dell’anno dopo, in visita a Firenze con gli azzurri, Andrea Della valle lo accolse con la storica frase “Un giorno mi ringrazierai”. La risposta di Cesare fu altrettanto storica: “Se vuoi posso farlo anche adesso”.
Sinisa Mihajlovic aveva soprattutto la colpa di venire dopo di lui, l’allenatore più amato dai fiorentini dopo Bernardini, Pesaola e De Sisti. Il serbo aveva poca esperienza, come già Vierchowod dieci anni prima, e non aveva ancora grandi idee di gioco. Pagò per sé e per tutti sempre di novembre (mese maledetto per gli allenatori, viola e non) nel 2011. Gli fu fatale l’ennesimo pareggio in una annata che ne vide un visibilio.
Dentro Delio Rossi, aziendalista senza azienda. Via i campioni a cui si stava spegnendo la luce, squadra che affondava nelle parti basse della classifica. Con il Novara in casa a tre giornate dalla fine, il dramma dei cazzotti a Llajic e dei due gol ospiti che stavano spingendo i viola di nuovo in B. Al risultato ci pensò il reprobo Montolivo. A salvare Rossi non poteva ormai pensarci nessuno. Le ultime due giornate in panchina andò Vincenzo Guerini, anche lui ripagato a tempo debito con un bel calcione nel fondo schiena.
Sotto con Vincenzo Montella, un’altra scommessa. Questa volta vinta, perché fu dotato di giocatori validi, con motivazioni di rivalsa forti. Tre quarti posti a fila, due partecipazioni alla Europa League molto buone (con possibili risultati ancora migliori sfumati per ingenuità, contro Juventus e Siviglia), una Champion’s League mancata di un soffio grazie alla supponenza di Pizarro contro l’infame Montolivo.
Anche Montella, come Prandelli, ebbe l’ardire di chiedere in sede se eravamo questi e questi restavamo, o se invece potevamo fare il benedetto 31 dopo il 30. Gli fu risposto che poteva rimanere al mare. Mentre partiva l’ennesima campagna plusvalenze, la società pescava l’oscuro Paulo Sousa, fresco vincitore del campionato svizzero a Basilea, che la gente però ricordava piuttosto per essere stato uno dei gobbi di Lippi.
La Fiorentina partì a razzo nella stagione 2015-16, la gente perdonò volentieri il gobbismo passato a Paulo Sousa e il depauperamento tecnico del parco giocatori alla società. Fino a Natale la squadra era prima o giù di lì. A gennaio, auspicava il tecnico prima ancora dei tifosi, qualcuno si sarebbe frugato in tasca per rinforzarla e tentare fino in fondo di ripetere qualcosa che non succedeva più dal 1969.
Tino Costa, Kone, Benalhouane. I sogni muoiono sempre all’alba del 1° febbraio, in Viale Manfredo Fanti. Girone di ritorno da scoppiati, come l’ultimo di Prandelli. Fiorentina che terminò quinta con fatica. La gente si aspettava che il tecnico deluso rassegnasse le dimissioni, ma egli preferì lo stipendio e rimase a mugugnare e mischiare le carte già sparigliate dal ritorno di Corvino e dalla ripresa dell’Età d’Oro delle Plusvalenze.
Il resto è storia attuale. Che ci riporta al tema iniziale. Compare lo striscione che inneggia al boia, ma la testa è quella sbagliata. Il maggiordomo ha colpa fino ad un certo punto se il servizio è scadente, non parliamo del governo. I tempi si fanno di nuovo cupi. Dopo 14 anni, l’11° allenatore sta per l’undicesima volta per concludere malamente il suo rapporto con il suo datore di lavoro e nostro patron.

Avrà mai la gente di Firenze il coraggio di consegnare al boia (metaforicamente parlando) la testa giusta? Quella del Re?

sabato 19 novembre 2016

Ricominciamo?

Superchi, Rogora, Mancin, Brizi, Ferrante, Esposito, Amarildo, Merlo, Maraschi, De Sisti, Chiarugi. I ragazzi fiorentini della fine degli anni Sessanta la imparavano a memoria questa filastrocca, più facilmente di eifusiccomeimmobile o di lanebbiaagliirticolli. Era la filastrocca che ripeteva tutte le domeniche lo speaker dello Stadio Comunale (allora Artemio Franchi era vivo e vegeto, e stava in Tribuna d’Onore, si chiamava così, ad applaudire insieme ai suoi concittadini gli eroi del secondo scudetto).
Eraldo Mancin era una di quelle invenzioni dei talent scouts di Nello Baglini. L’uomo che aveva rinverdito i fasti di Enrico Befani, ma con una variante sostanziale: puntava sui giovani anziché sui campioni affermati. La Fiorentina yeye era stata assemblata cedendo nomi che stavano facendo la storia del calcio, Hamrin, Albertosi, Brugnera, ed acquistandone altri che promettevano di farla in futuro.
E la fecero, nell’annata 1968-69 una squadra di una città al di sotto del corso del Po interruppe nuovamente il predomino nordista, cinque anni dopo il Bologna di Fulvio Bernardini. Tra questi ragazzi che diventarono uomini e campioni sotto la Torre di Maratona, nell’anno in cui secondo certi pronostici non proprio fausti avrebbero dovuto lottare per non retrocedere, c’era anche lui, Eraldo Mancin da Porto Tolle (RO).
Preso dal Venezia poco più che ventenne, vinse lo scudetto e poi fu sacrificato alle necessità di bilancio di Baglini, che lo spedì a Cagliari prendendo il più affermato Giuseppe Longoni. Viola e sardi si scambiavano spesso giocatori in quegli anni. A Mancin andò bene, perché in Sardegna vinse il secondo scudetto consecutivo l’anno dopo, impresa riuscita nella storia del calcio italiano soltanto a sei giocatori, tra cui un certo Roberto Baggio. A Longoni andò peggio, due secondi posti. Scherzi della vita.
Se n’è andato a 71 anni Eraldo. Un altro eroe viola che se ne va, la nostra Hall of Fame perde pezzi, mentre il presente stenta a consegnarle nuovi eroi. Domani si gioca con il lutto al braccio.
Non sarà la sola novità in casa viola. Ce ne sono altre, alla ripresa del campionato dopo l’amichevole di lusso, lo scontro di civiltà tra chi mette i calzini bianchi sotto i sandali e chi – per quanto decaduto (ma tutt’ora imbattuto, contro i tedeschi) - fa dell’estetica a volte più della sostanza una questione di vita.
La Fiorentina a cui la Nazionale riconsegna un Astori galvanizzato ed un Bernardeschi forse ancora più frastornato di quanto non lo abbia reso Paulo Sousa, scende in campo contro l’Empoli degli ex Pasqual e Gilardino (circostanza particolarmente dolorosa, per lui e per i tifosi, nel caso di Manuel, capitano e gentiluomo). E lo fa sapendo già quasi ufficialmente di annoverare tra i quadri dirigenziali il nome che tutta Firenze aspettava.
Giancarlo Antognoni sta per firmare da vicepresidente, tutto è pronto. L’Unico 10 parla già da quadro viola, e lo fa con la consueta via di mezzo fra la passione di una vita (la Fiorentina, a suo stesso dire) e l’aplomb quasi britannico con cui da sempre commenta e gestisce le cose del calcio.
Firenze vorrebbe gioirne, e invece è preoccupata, almeno a livello delle correnti sotterranee del tifo che attraversano la città come i percorsi avventurosi dell’Inferno di Dan Brown. Antognoni non si discute, né lui del resto farebbe mai nulla per farsi discutere, c’è da giurare. Come manager, dette già ottima prova di sé ai tempi di Vittorio Cecchi Gori. Ma il fatto è che adesso gli viene chiesto di mettere la faccia per coprire quella abbastanza dimessa – diciamo così – di una società che definire prossima ad un nuovo anno zero è usare un eufemismo.
La Fiorentina sarà anche sembrata in ripresa grazie al lavoro del suo allenatore, come l’ha vista il nostro neo vicepresidente. In realtà, per i suoi tifosi è stata più che altro motivo di noia quando non di ansia e di agonia. Nessuno si sogna di dire ad una persona del carisma e dell’intelligenza umana e calcistica di Antonio cosa è opportuno dire e fare, ma insomma non vorremmo che la nostra migliore bandiera fosse usata, sventolata per distrarci, mentre gli eroi sbiaditi dell’ultima generazione senza più bandiere continuano a far danni in campo, e mentre altri manager sicuramente meno bene intenzionati di Giancarlo continuano a farne di peggio nella stanza dei bottoni.
Insomma, tra una bandiera che salutiamo per l’ultima volta ed un’altra che abbiamo quasi paura ad impugnare di nuovo per non rovinarla, la Fiorentina ritrova il campionato, cercando di dimenticarsi e di far dimenticare quanto problematico e scialbo, per non dire peggio, fosse prima della sosta del calzino bianco.
Empoli è un campo amico soltanto in apparenza. D’accordo, ci si va perfino in motorino, è quasi più trasferta San Piero a Sieve durante la preparazione estiva. Ma gli empolesi aspettano questa come la partita della vita. L’anno scorso, con un organico più forte loro ma anche e soprattutto più forte noi, ci tolsero quattro punti su sei, e nominalmente si lottava per il vertice. Non è il caso di aspettarsi gite fuori porta e scampagnate, il presidente Corsi ci manderà di traverso il pranzo più che volentieri, se appena può. Per poi tornare magari ad ammorbidire il tackle in occasione della visita di compagini provenienti da metropoli fuori regione. Ma questo è un problema suo.
C’è un 2016 da concludere mandandolo in archivio con un connotato meno pessimo di quello registrato fino ad oggi, tra la fine del campionato scorso e l’inizio di quello attuale. Preparandoci poi al solito mese di gennaio da Pantoprazolo. Quest’anno non ci sono tesoretti, il che vuol dire che a inizio anno nuovo si vende per far cassa. Le profezie millenaristiche circa lo stadio nuovo dovrebbero avere un rigurgito sempre nello stesso periodo, anche se il ping pong Cognigni Nardella francamente comincia a stancare anche più del gioco di Sousa. Per rivedere la Fiorentina come ai tempi del compianto Eraldo Mancin, i tempi sono storici, e non è detto che sia una storia si compirà nell’arco delle nostre vite.
Radiomercato vuole il Chelsea di Antonio Conte interessato fortemente a Milan Badelj, come terzo incomodo del duo cino-milanese, e anche a Nenad Tomovic. Mentre le sirene di mercato risuonano nuovamente a proposito di Federico Bernardeschi. Sensazione è che anche stavolta se Ulisse non si lega al timone della nave…..

Giancarlo Antognoni si è assunto un compito assai difficile.

venerdì 21 ottobre 2016

L'Uccellino vola ancora, Firenze sospira di sollievo



La notizia di Kurt Hamrin colto da un malore scuote Firenze, in questo annus horribilis che miete vittime illustri in quantità e che ha toccato già il suo Pantheon viola portandosi via Beppe Pecos Bill Virgili. Uccellino per fortuna sta meglio, già in procinto di essere dimesso dall’ospedale e sulla via della convalescenza.
Per capire l’importanza di questo giocatore, di quest’uomo e del sentimento che lo lega – ricambiato – a questa città, basti dire quello che sanno, o dovrebbero sapere, tutti. Per la generazione dei nostri padri, Kurt Hamrin è stato quello che per la nostra è stato Omar Gabriel Batistuta.
L’Uccellino e il Re Leone, la grande storia della Fiorentina è ricompresa sostanzialmente tra queste due figure monumentali, 303 gol in due, 3 Coppe Italia in due, uno scudetto a testa ma vinto altrove, una Coppa delle Coppe Kurt, mentre Omar Gabriel si fermò alla semifinale in cui zittì il Nou Camp, con il Barcellona che al ritorno zittì il Franchi.
Pare proprio che Uccellino ce la farà a festeggiare il prossimo compleanno, l’ottantaduesimo, il prossimo 19 novembre. La partita per lui non si è ancora conclusa. La sua leggenda ha ancora un lieto fine. Ed allora ripercorriamola.
In mezzo al futebol sudamericano di pregevole fattura che l’aveva resa grande, la Fiorentina di Enrico Befani andò a trovare il più grande di tutti vicino al circolo polare artico. Kurt Roland Hamrin era il quinto figlio di un imbianchino svedese, che giocava da dilettante nella squadra della capitale, l’AIK Stoccolma. Nel 1955, a ventun anni, vinse per la prima volta la classifica dei cannonieri del suo paese con 22 gol in altrettante partite giocate. Il suo contratto prevedeva 50 corone a partita vinta e zero in caso di sconfitta. Hamrin, per vivere, doveva per forza diventare un fuoriclasse e nel frattempo continuare a lavorare come zincografo in un giornale svedese.
Nel 1958, fu selezionato come centravanti della Svezia, che organizzava i mondiali in casa propria. Era la squadra favolosa di Gren, Nordhal e Liedholm, che si arrese in finale soltanto davanti all’altrettanto favoloso Brasile di Garrincha e dell’esordiente Pelè. Hamrin finì il torneo risultando capocannoniere con 4 reti. Era già stato notato due anni prima dalla Juventus, che poi però lo ritenne troppo fragile, cedendolo al Padova di Nereo Rocco.
Narra la leggenda che lo svedese facesse ombra a Marisa Boniperti, in fase calante, che pertanto fu ben felice di accogliere John Charles e Omar Sivori e veder andar via quel concorrente scomodo. Il paron Rocco invece lo accolse a braccia aperte, lo mise accanto a Brighenti e si godé i suoi 20 gol in trenta partite, dandogli il soprannome provvisorio di faina.
Quello definitivo l’ebbe a Firenze, dove approdò l’anno dopo, allorché Befani si trovò a dover cercare il successore di Julinho. Uccellino che vola, affibbiatogli per la sua leggerenza e agilità da Beppe Pegolotti, leggendario giornalista della Nazione. Nei nove anni successivi, Kurt ebbe la sua consacrazione, segnando 151 gol (record viola fino al 14 maggio 2000, allorché fu superato da Batistuta) con una media partita pari a 0,48, lui che di partite in serie A ne giocò alla fine 400.
Non vinse mai la classifica cannonieri in Italia, ma è stata l’ala destra viola più prolifica di tutti i tempi. Suo è il record di gol segnati in trasferta, cinque, in quel 7-1 in casa dell’Atalanta che è a tutt’oggi la vittoria più rotonda di sempre della Fiorentina fuori casa.
Nella sua epoca, la Fiorentina dei campioni di Befani e Bernardini prima, e di Longinotti e Baglini e della linea verde poi non scese mai al di sotto del settimo posto in campionato, e vinse la prima edizione della Coppa delle Coppe.
Quando nel 1967, la Fiorentina lo cedette al Milan promuovendo in prima squadra il giovane Primavera Luciano Chiarugi, sembrò un buon affare. Uccellino aveva 33 anni, Luciano ne aveva 20. Il destino in realtà si divertì alla grande. Prima toccò ad Hamrin, vecchia gloria nella squadra rossonera delle vecchie glorie Trapattoni e Maldini (più il giovane Rivera) a vincere lo scudetto. Poi, l’anno dopo, 1969, toccò alla Fiorentina di Chiarugi a trionfare, mentre lo svedese risultava decisivo per la vittoria milanista in Coppa dei Campioni.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo ed aver tentato brevemente la carriera di allenatore a Vercelli, Hamrin tornò in patria e avviò un’attività imprenditoriale, lui che da ragazzo era stato operaio. Fino al 2005 la sua ditta di import-export di ceramica tra l’Italia e la Svezia ha retto, poi, come tanti, ha dovuto cedere alla concorrenza cinese.
Negli ultimi anni si è stabilito a Coverciano, dove ha svolto attività di talent scout (per il Milan, la Fiorentina dei Della Valle non ha trovato posto per lui, come per altre bandiere) e ha insegnato calcio nella Settignanese. L’Uccellino, come tanti altri, alla fine ha fatto l’ultimo nido a Firenze.

lunedì 17 ottobre 2016

Il progetto va avanti



Parlo stamattina con un mio amico, storico tifoso viola senza mai un se o un ma. Abbonato da sempre, quest’anno quando la Fiorentina gioca in casa la sua reazione più controllata è un: Madonna che palle, mi tocca andare allo stadio…! Stavolta deve aver passato un qualche Rubicone. Parole sorprendenti: «Ce l’avrei avuto caro a perdere ieri con l’Atalanta, per far scoppiare la crisi!»


Parlo con un’altra amica. Anche lei storica, come amica e come tifosa. Parole agghiaccianti. «Te la ricordi l’Atalanta in casa, nel 1993? Ecco, ieri forse abbiamo evitato che si ripetesse la storia….» Come non me la ricordo, soprattutto mi ricordo la storia successiva e come andò a finire, dall’esonero di Radice al gol udinese di Desideri a Roma.


Un altro: «Corvino è qui solo per far cassa, poi chiudono bottega e se ne vanno, Non pagano due allenatori in contemporanea, Sousa ce lo teniamo, a meno che a Natale non siamo in zona retrocessione».


Questi sono gli umori di Firenze stamattina al risveglio, mentre sorseggia un caffè più amaro di quanto era abituata a sorbire negli ultimi anni e sfoglia le prime pagine dei quotidiani sportivi. Uno, notoriamente vicino alle cose viola, titola a caratteri cubitali: CORVINO: SOUSA RESTA QUI. Sottotitolo: Sousa confermato.
Vuol dire che qualcuno l’aveva messo in discussione? A parte lo stadio Franchi con i suoi fischi assordanti, intendo. Qualcuno nelle riservate stanze dei bottoni? Radio Spogliatoio parla di un faccia a faccia interaziendale, tra Corvino e Sousa. Dev’essere andata a finire come le celebri riunioni del Soviet Supremo dell’URSS ai tempi del comunismo, uno parla e gli altri stanno a sentire (cercando di non addormentarsi e/o di non rompersi troppo le scatole).
Del resto, risposta non c’è, avrebbe detto il neo-Premio Nobel Bob Dylan se per sua disgrazia avesse partecipato ai CdA della Fiorentina. Mi sa che ha ragione quel mio amico, due insieme non ne pagano. Sousa resta qui, a meno che non prenda a schiaffi qualche giocatore, come il buon Delio Rossi ebbe la creanza di fare liberandoci della sua scomoda e altrettanto inutile presenza. Oppure a meno che a Natale siamo in una posizione di classifica a cui è meglio non pensare.
Anche perché, in quella posizione, saremmo tanto per cambiare la squadra meno attrezzata – soprattutto mentalmente – per lottare per la salvezza. Tra giocatori spompati, giocatori che vogliono andarsene e sanno di potersene andare, giocatori che l’inettitudine di questo tecnico sta mettendo in crisi tecnico-psicologica.
Immaginarsi a lottare punto a punto con un Crotone, un Empoli, un Pescara, ma anche un’Udinese o un Palermo Il vecchio Beppe Chiappella e il mago Oronzo Pugliese sono ormai ad allenare gli angeli, un Luciano Chiarugi o un Vincenzo Guerini sono fuori del libro paga dei Della Valle, da cui non hanno neanche ricevuto peraltro un trattamento particolarmente garbato, difficile si prestino dunque a guidare eventuali salvezze miracolo. Non ci verrebbe nemmeno un supertifoso come Mondonico, salute a parte, a finire di rovinarsela per rimettere in carreggiata questa banda sbandata.
Meglio non pensarci, finché si può. Anche se all’orizzonte si staglia lo skyline di Cagliari, una location che non è mai stata fausta per la Fiorentina neanche negli anni delle vacche più grasse. A perdere, cosa ampiamente alla portata di Sousa & C., domenica sera la crisi sarebbe ufficialmente aperta. Nuovi faccia a faccia non si sa come potrebbero finire. Per non parlare del resto della stagione.
L’allenatore non ha più in mano una squadra che peraltro gli ha funzionato bene finché ha proceduto sulla forza d’inerzia di Vincenzo Montella. Esaurita la quale, ed in assenza di cambi sostanziali (anzi con il depauperamento regolarmente arrivato ad una giornata dalla conclusione, secondo gli stilemi del calciomercato viola), i nodi sono venuti al pettine anche per chi, come Borja Valero, a Firenze aveva giurato amore eterno e fedeltà assoluta. L’amore è una cosa, le gambe ed il fiato sono un’altra.
Chissà dove sarebbe stato a quest’ora il buon Borja se la Roma non si fosse suicidata in casa con il Porto. Chissà dove sarebbero stati Kalinic, Vecino e/o Badelj se il Chelsea non avesse avuto da risarcire de facto la Fiorentina per l’affaire Salah supervalutando Alonso all’inverosimile. Chissà dove sarebbero, e visto come giocano c’è da rammaricarsi che non ci siano.
Chissà dove sarebbero Sanchez, Milic e compagnia bella se invece di un commissario liquidatore la Fiorentina avesse assunto un direttore sportivo vero, uno che se serve un terzino compra un terzino, e magari di quelli che sanno anche crossare.
Chissà dove saranno tra un anno – di questo passo – Bernardeschi, Babacar e Tello, i primi due gli unici prodotti del vivaio viola ad avere la ventura di finire in prima squadra da quattordici anni a questa parte (e anche questo la dice lunga sulla capacità di investire dei Della Valle), l’ultimo un prodotto del vivaio blaugrana che l’A.C.F. ha fatto fuoco e fiamme per tenere e che, al pari degli altri due, sta cercando con tutte le sue forze di rovinare. Così neppure più i giocatori in prestito le daranno.
Rovinare i giovani, demotivare i vecchi, dare via i migliori, tenere gli scarponi o prenderne di nuovi e magari autoconvincersi che si tratta di colpacci di mercato, è la nuova frontiera viola. Personalmente Carlos Alberto Sanchez Moreno più che ad un astro del centrocampo mi fa pensare ad un Barry White giovane. Lo ballavamo tutti, ma perché in quel momento la disco music non offriva di meglio.
Gli altri, vecchi e nuovi, sono da cupio dissolvi. Oppure, visti gioco e risultati, da cupio la vecchia Fiorentina anni Settanta, Galdiolo, Tendi, Della Martira, Lelj, Orlandini, Guerini, Roggi. Ma che erano peggio di questi qui?
Facciamo questi benedetti 40 punti prima possibile.

mercoledì 14 settembre 2016

Arrivano i nostri?


Khalifa Bin Zayed al Nahayan

Radio Stadio la dà per certa. Un’offerta che è difficile, se non alla fine impossibile rifiutare. Come quella per Alonso. Sul piatto dei della Valle sarebbero stati posti 180 milioni di euro, cash. A metterceli, Khalifa Bin Zayed al Nahayan, presidente degli Emirati Arabi Uniti con capitale Abu Dabhi, nonché proprietario della compagnia aerea di bandiera locale. Il cui nome a Firenze sta diventando leggenda.
Etihad. Come la Quinta armata del generale Clark. Arrivano, non arrivano, i nostri liberatori? E quando arrivano? Pare che l’ultima Linea Gotica da sfondare, l’ultimo fattore da valutare per rendere operativa l’operazione (ci si scusi il gioco di parole) sia la questione della fattibilità del nuovo stadio.
Tanta carne al fuoco da cuocere a puntino. A fronte di una stagione cominciata che più alla meno non si può. Diciamo la verità, qualcosa di fondato ci dev’essere. Al di là dei discorsi e delle giustificazioni degli attuali proprietari della Fiorentina e di tutta la stampa cittadina che adesso – come da diverso tempo – cerca di far combaciare la realtà con il mito secondo i dettami della filosofia platonica (ci perdoni il grande filosofo l’accostamento oggettivamente stridente), non ha senso cominciare appunto una stagione in un modo che pare tanto un 8 settembre addomesticato se l’obbiettivo finale non è quello di ritirarsi a Brindisi: vendere, andarsene, mollare, fare festa.
Non hanno voluto provarci, i Della Valle quando la Fiorentina era bene o male in testa alla classifica o a ridosso, la stagione scorsa. Che senso ha provarci adesso – a restare a tutti i costi, intendiamo – che la squadra è stata ridotta in condizioni tali che anche un Torino, una Sampdoria, un Sassuolo appaiono concorrenti temibili per una corsa dal sesto al decimo posto?
E’ una stagione impostata per concludersi in modo probabilmente complicato. Ciò ha senso soltanto in funzione di una exit strategy. L’offerta, dice appunto Radio Stadio, c’é. I Della Valle la stanno valutando. Ethiad, o chi per lei, sta valutando  nel frattempo l’opportunità di un investimento complessivo su stadio e infrastrutture (non dimentichiamo che l’area Mercafir, finora proposta all’uopo dal Comune, è a due passi dall’aeroporto di Peretola, su cui tra l’altro pendono pianificazioni e intenzioni di investimento pubbliche e private, per quanto tutte da verificare).
In attesa di verifiche, l’interrogativo si impone. Perché lo stadio a Della Valle no e ad Ethiad sì? Le considerazioni, se non le risposte, sono tante. Forse quattordici anni non sono passati senza lasciare il segno, come le rughe sui nostri volti di tifosi invecchiati, sulle posizioni di partenza dei Della Valle medesimi, in termini di amicizie perse e strategie andate a male. Quando fallì Cecchi Gori era ancora la Seconda Repubblica. Bastava un Mastella a catapultare degli imprenditori ancor giovani e tutto sommato ambiziosi nel gran mondo dell’alta finanza, della macroeconomia, della politica che conta.
Da lì in poi, lo scaltro Diego Della Valle fece lo stesso errore dello sprovveduto Cecchi Gori che aveva sostituito nel cuore dei fiorentini: si scelse i nemici come peggio non poteva. Berlusconi e Agnelli li puoi affrontare con qualche chance se dietro hai una Merkel, non un Mastella. Nel frattempo la Repubblica è diventata la Terza, e ti sei giocato anche quel Renzi che all’inizio era tutto pappa e ciccia e veniva a vedere le partite accanto a te con la stessa maglietta viola da ragazzini cresciuti.
Magari, ci può essere anche il fatto che lo sceicco, o per meglio dire il presidente di Ethiad, lo stadio se lo paga e con bigliettoni sonanti. Te invece, secondo lo stile del vecchio ex amico Moratti, volevi applicare la celebre formula “paga il pubblico, riscuote il privato”. L’imprenditoria italiana è questa, d’altronde. O sei proprietario anche del Comune, come la Juventus a Torino che comunque lo stadio l’ha costruito in tre anni o poco più, oppure devi mediare o trovare mediatori. E un bel giorno scopri che gli accordi presi con Domenici non valgono più con Renzi, e Nardella gioca a campana. Il partito è sempre lo stesso, ma il mondo è cambiato ed il vento pure.
I Della Valle non hanno più amici, questo è chiaro. Se basta un Cairo – non Murdoch - a portar loro via RCS, è segno che non è più il loro tempo. E’ il momento di fare i conti e venirne fuori. La politica li ha rigettati, la finanza pure, l’economia va avanti in Italia per logiche tutte sue e le scarpe – per quanto di lusso – non sono un bene primario, strategico.
E’ un nuovo anno zero, se non questo il prossimo. E’ un anno che è cominciato in salita, e che alla fine è auspicabile che veda la Fiorentina comunque con le ossa ancora intere. Altrimenti, come nel 2002, si finirà per vendere un cadavere, o un moribondo in agonia.
Il clima è di smobilitazione, lo può vedere e respirare chiunque. Ed una smobilitazione furbetta come quella di re Sciaboletta che scappa a Brindisi. La vendita di Alonso non si decide a un giorno dalla fine del calciomercato quando ormai è insostituibile, ma un mese prima. A meno che al buon Conte non sia stato prospettato proprio questo: te lo diamo, ma chiedicelo alla fine, se no dobbiamo sostituirlo, e già che ci siamo nel prezzo supervalutato mettiamoci pure la chiusura della vicenda Salah, che risparmiamo tempo, fegato e avvocati. A proposito, ci serve anche far pace con la Roma, che se non si faceva uccellare dal Porto domenica scorsa il buon Borja Valero era a  ripararsi dal nubifragio dell’Olimpico, anziché da quello di Marassi.
Intanto l’Europa League, quel torneo che Mario Cognigni ha definito inappetibile per la Fiorentina "perché costa”, è alle porte. Una prima notazione: la finale di questo torneo si giocherà il 24 maggio 2017 alla Friends Arena di Solna, Stoccolma, Svezia. Stadio i cui lavori – finanziati dalla Swedbank, la banca nazionale svedese – cominciarono il 7 dicembre 2009 e finirono il 27 ottobre 2012.
Viene da piangere. E speriamo che lo sceicco Bin Zayed non se ne accorga, delle nostre lacrime. E’ ancora in tempo semmai a ripensarci.

venerdì 9 settembre 2016

Solo per la maglia

Archiviata la festa dei novant’anni viola e tutto ciò che si è portata dietro, nonché la sosta per la Nazionale con i suoi quindici giorni forse provvidenziali per recuperare infortuni di gioco ed infortuni societari, si riparte con il campionato.
L’unica certezza in più è la terza maglia, e la promessa di ACF Fiorentina che verrà usata soltanto nelle trasferte UEFA, possibilmente a diverse centinaia di chilometri di distanza. Non è tanto quel colorino, che peraltro abbiamo già intravisto in passato su maglie accessorie. E’ la presa di coscienza che non vale nemmeno avere una proprietà che si picca di provenire dal mondo della moda. Voglio dire, non sai cos’è un terzino, né una prima punta, ma almeno il colore della maglia indovinamelo, visto che fai lo stilista di primo mestiere. Bastava prendere il rosso del Comune, non c’era bisogno di un concorso di idee. O di plagiare il Piacenza.
Dice che la Fiorentina negli ultimi tempi è diventata un incubo per il suo patron Diego Della valle. Di sicuro lo è diventato lui per tanti suoi tifosi. Nessuno è stato capace ancora di spiegare come ha fatto con tutte le plusvalenze degli ultimi tre anni ad andare sotto di 48 milioni. Che poi diventano 28 se si sommano le plusvalenze degli anni precedenti. Che poi vanno a zero se si vende Alonso, uno dei pochi difensori, o presunti tali, in forza a questa squadra. Il 30 agosto, casomai venisse voglia a qualcuno di sostituirlo. E così l’ultimo terzino di nome e di fatto che ha vestito il colore viola resta Christian Maggio, correva l’anno 2004, molti degli attuali abbonati al Franchi non avevano nemmeno l’età minima per fare la tessera del tifoso.
Dice che la cessione di Alonso è stata determinata da una offerta che non si può rifiutare. Dice che tre centrali fanno una difesa, e che pertanto non ci sono problemi. Dice tante cose. Speriamo, perché domani tanto per ricominciare si gioca a Genova, sponda rossoblu, quella per noi tradizionalmente più ostica. A partire da quel maggio 1978 in cui ci guardammo negli occhi con terrore fino a sei minuti dalla fine dell’ultima partita di campionato. Fino al gol di Scanziani andavamo in B tutte e due, viola e rossoblu, Antognoni e Pruzzo, Firenze e Genova. Alla fine, ci andarono solo loro. Amore tra loro e noi non c’è stato più, se mai prima c’era.
L’astio fu rinfocolato dai tre gol di Mutu nel 2009 che ci valsero l’accesso alla Champion’s al posto loro. Poi dai cinque gol di cui due di Rossi e due di Gomez che illusero noi e mortificarono loro, tre anni fa. Quando ancora era normale pagare un giocatore di calcio quanto vale, e non svenderlo al primo che passa “perché costa”. Certo che costa, è il centravanti della squadra campione del mondo.
Insomma, a Marassi nessuno ci ama. Poi c’è Perin, quello che quando vede viola è come il toro quando vede rosso (meno male che la terza maglia in campionato non vale): para tutto, anche le correnti d’aria. Le squadre, uomo più uomo meno, si equivalgono. La differenza può farla un gol preso o uno segnato, magari in entrambi i casi su prodezza individuale o su sciocchezza madornale. Siamo capaci di tutte e due.
La differenza è tra un avvio tranquillo, che ci porti a veleggiare senza troppi patemi nei prossimi sette – otto mesi verso quel sesto, alla peggio settimo posto che è l’obbiettivo dichiarato della società e del gruppo industriale che una volta vedevano il vivacchiare come il fumo negli occhi, e che poi a forza di male non fare paura non avere non ha fatto più niente, tanto per non sbagliare. Oppure un avvio drammatico, con pochi punti e tante polemiche. Con tante maglie e poca gente in grado di indossarle degnamente, a prescindere dal colore. Con i bilanci a posto, però, mica come il Real Madrid che ieri s’è preso una bella multa dall’UEFA e non potrà comprare giocatori l’anno prossimo! Restando con i soliti Bale, Morata, Ronaldo, Ramos, Kroos, Rodriguez! Poveracci, come faranno?
Le Coppe, malgrado questa suggestiva terza maglia, pare non siano tra i nostri obbiettivi. Hai visto mai, ci fosse da giocare una Supercoppa, e chissà dove. E allora, testa al campionato. Se passiamo lo scoglio Perin, e poi dopo quello Salah con la nemesi Roma, poi la nemesi Udinese, poi lo scoglio Milan, e poi la vendetta dell’ex con il Toro di Mihajlovic, siamo a posto.
Come cantava Carosone? Mo’ vene Natale, nun tengo denare, me leggo o’ ggiurnale, e me vado a cucca’.

Già, poi sarà di nuovo calciomercato. Per gli amanti del genere.

mercoledì 31 agosto 2016

La tribù del calcio



Nel suo celebre saggio del 1981 The Soccer Tribe, la Tribù del Calcio, il sociologo inglese Desmond Morris stabilisce l’altrettanto celebre paragone tra i comportamenti, i rituali e i miti degli appartenenti alle tifoserie del football moderno e quelli delle comunità tribali preistoriche o sopravvissute fino ai giorni nostri.
Gli individui umani, egli sostiene, “nel lungo cammino dell'evoluzione, si sono trasformati da cacciatori a calciatori, passando attraverso attività sempre meno sanguinarie. Oggi i calciatori sono i nuovi gladiatori e, in quanto tali, in ogni caso, eccitano il livello emozionale primordiale e ancestrale della folla. Non cambia però, per Morris, il significato di caccia rituale, in cui l'arma è la palla e la preda è la porta.
La folla della Curva non è un branco disorganizzato, ma un gruppo ben strutturato, i cui membri si riconoscono fra loro attraverso la comunicazione simbolica espressa dai loro abiti, dalle bandiere, dai cori, dalle liturgie, che, in una sorta di rito collettivo, sanciscono e rafforzano l'identità del branco dei tifosi. Ovviamente, Morris si riferisce, in genere, a quella parte della tifoseria che vive senza orizzonti di senso, nell'emarginazione sociale, per cui essi necessitano di una riaggregazione sociale, data proprio dall'appartenenza ad un gruppo sportivo, a dei colori specifici” (cfr. Wikipedia).
Non dovrebbe meravigliarmi dunque la reazione della tribù che si ritiene attaccata dal mio ultimo articolo, La brutta figura di Firenze. E infatti non lo fa. Insulti, minacce personali pubbliche e private dovevano essere messe in conto, e sono puntualmente arrivate ed arrivano ancora. Il branco, in genere, reagisce così.
Non mi sorprende più neanche, purtroppo, il fatto che i membri della tribù invochino a giustificazione la difesa del primato morale e culturale di Firenze. Che nel rivolgermi epiteti e accuse infamanti nonché, appunto, oscure e sanguinose minacce, si richiamino a quei Dante, Lorenzo il Magnifico, Machiavelli e compagnia bella di cui si sentirebbero gli epigoni. Salvo non riuscire a scrivere una frase intera di senso compiuto senza almeno un errore di ortografia o di grammatica, povero il mio Dante Alighieri. O commentare a proposito una sola riga di quelle che ho scritto, dando prova di averla almeno compresa.
Potrebbe farmi specie che a commentare il mio articolo siano solo energumeni ed energumene che si sentono in diritto tra l’altro oltre che di offendere e minacciare anche di scorrazzare in lungo e in largo nella mia privacy, nei miei profili in cerca di informazioni destinate a chissà quale rappresaglia? No, certo. Ma questo è l’aspetto più ovvio, e conseguente. Commentano quasi esclusivamente solo quelli della Tribù. Quelli che sono d’accordo con me (si trattava di rinviare le feste e le partite di qualche giorno, almeno una settimana, per rispetto a dei morti in modo atroce, non di tirare giù la statua del David da Piazza Signoria), che mi risultano non essere pochi, sono  tutte persone perbene, come tali naturalmente restie a impelagarsi in una rissa da cortile dai connotati aberranti. Come quelle scorribande da hooligans a cui Desmond Morris cercava di dare una spiegazione già nel 1981.
Per me è diverso, me la sono cercata. Criticare la Fiorentina a Firenze è come criticare la Santa Romana Chiesa ai tempi del Concilio di Trento. C’è il rogo, nulla più, nulla meno. O, per adeguarsi ai tempi, gente che mi vuole denunciare alla polizia postale, far chiudere il blog, denunciarmi ad un ordine dei giornalisti che non ha la minima competenza su di me (grazie a Dio), farmi licenziare (come se il mio datore di lavoro potesse aver da ridire di cosa faccio – a titolo assolutamente gratuito – nel mio tempo libero e a proposito di una materia assolutamente non di sua competenza, il campionato italiano di calcio). Oltre alle manate, naturalmente, che sono da sempre il rifugium peccatorum del volgo fiorentino. Tra i primati storici di questa città, non va dimenticato, c’è anche quello di essere stata una delle prime a dar vita alle squadracce fasciste. Certi vizi non si perdono neanche in tempi di repubblica.
Last but not least, non mi deve sorprendere nemmeno che personaggi che aspirano al ruolo di opinion leaders cittadini mi definiscano in trasmissioni radio compiacenti “bloggerista o pseudo-tale che attacca la città di Firenze”. Né che, in totale spregio della legge sulla stampa, nessuno di quella radio faccia una telefonata al sottoscritto almeno per sentire se ho qualcosa da ridire. La domanda semmai è, a questo punto, chi è lo pseudo?
Come dice Oliviero Beha, uno che pseudo non è mai stato, per commentare un articolo servono due cose: leggerlo, e capirlo.
Penso che non ci sia altro da aggiungere. Grazie a chi mi ha sostenuto o espresso solidarietà. A presto,
Simone Borri

giovedì 25 agosto 2016

Fermate il calcio, voglio scendere

Marisol aveva 18 mesi. Dormiva nel suo lettino nella casa di campagna dei suoi genitori, ad Arquata del Tronto (AP). La casa non c’è più, è un cumulo di macerie, è lei non ne è uscita viva, c’è rimasta sotto. La mamma Martina nell’aprile 2009 era una studentessa che frequentava l’Università dell’Aquila, quando il capoluogo abruzzese fu cancellato dalla faccia della terra, almeno per come ce lo ricordiamo tutti.
Una vita spesa a fuggire dal terremoto. Nel 2009 Martina fu fortunata, perché sopravvisse. Poté sposarsi e generare una figlia. Nel 2016, trasferitasi nelle Marche, ad Ascoli Piceno, la sua fortuna si è esaurita, il bonus è scaduto. Perché, ancora una volta, è sopravvissuta. A sua figlia di 18 mesi. Quando lei uscirà dall’ospedale, l’avranno già seppellita. 
C’è qualcosa di peggio per un genitore che morire. A Martina gli dei beffardi che sovrintendono fin dai tempi antichi svogliatamente alle umane cose hanno offerto appunto quel bonus, nel 2009. Sette anni dopo hanno presentato il conto.
E’ una delle tante storie raccolte sotto le macerie del Lazio e delle Marche. A un certo punto bisogna smettere di leggerle. Si chiude tutto, gola, stomaco, cervello. Si stringe il cuore. Si cerca dappertutto uno spiraglio di luce in questa tenebra. Ma la nostra esistenza di adesso non ne offre. La mente ritorna di continuo a Marisol, ed agli altri bimbi del terremoto.
Dice: la vita continua, che si deve fare?
No. La vita non continua, la vita può e deve fermarsi di fronte a tragedie come questa. Mentre i cani scavano e fiutano sotto le macerie, e ancora abbaiano d’improvviso per avvertire vigili del fuoco e volontari di Protezione Civile che hanno sentito un odore, un rumore, hanno visto spuntare una mano, un lembo di vestito, hanno sentito un respiro….. mentre succede tutto questo a pochi chilometri da noi, la vita deve fermarsi. Lo spettacolo non può continuare.
Il campionato di calcio non si fermò per il terremoto dell’Aquila. Né per quello dell’Emilia. Non si fermò per San Giuliano di Puglia, in Molise, dove le vittime erano tutti bambini della scuola elementare, e gli unici adulti a morire con loro furono le loro maestre. Non si è mai fermato il campionato di calcio. Ma stavolta deve farlo. Stavolta, the show must not go on.
Non si può andare avanti come nulla fosse. E’ una tragedia come altre che son successe a cadenza ormai regolare e ravvicinata. Le case di pietra crollano per effetto di terremoti 6.4 di scala Richter come tutte le altre. Solo che prima questo succedeva una volta al secolo (e non c’erano TV o giornali a raccontarlo), non una volta ogni quattro anni. Dicono gli opinion leaders che questo non è il momento di fare polemiche, e dunque non ne facciamo. Ma, aggiungiamo noi, non è neanche il momento di riempire gli stadi. Tanto più per festeggiare, come vorrebbero fare i tifosi della Fiorentina domenica prossima.
E’ una tragedia come altre, si diceva, ma a questo punto è più di una tragedia. E’ la certificazione, il simbolo del fatto che la nostra vita è diventata una tragedia continua. E allora bisogna, fermarsi, riflettere, e dedicare tempo ed energie a vedere se c’è ancora una via d’uscita, uno spiraglio per una salvezza del genere umano. La Fiorentina può aspettare, come qualunque altra squadra. Altrimenti siamo morti che camminano. E non ci meritiamo di essere sopravvissuti alla piccola Marisol. O di assistere al dolore della sua mamma, anche lei come noi, più di noi, sopravvissuta una volta di troppo.
Chi scrive ha provato a rivolgere un appello perché domenica il calcio si fermi. Con annesse feste e cotillons vari. Né la ACF Fiorentina né alcun altro ha risposto, non ne eravamo evidentemente degni. Tranne un paio di sostenitori del mantra che lo show che deve andare avanti, sempre e comunque. Poche idee, ma disarmanti.
Non abbiamo la pretesa di dire a nessuno cosa è giusto e cosa non è giusto. O forse sì, stavolta, di fronte a questo orrore, ce l’abbiamo. Ma lasciamo la scelta alla coscienza ed alla sensibilità di ognuno. Chi ha lo stomaco ed il cuore domenica di andare allo stadio, faccia pure. Si accomodi.

Noialtri restiamo con Marisol.

giovedì 18 agosto 2016

Auf Wiedersehen Stierkampfer *



Siamo una tifoseria unica al mondo. Trovatene un’altra che gioisce per le cessioni, piuttosto che per gli acquisti.
Mario Gomez Garcia non è più un giocatore della Fiorentina. Il Wolfsburg alla fine se l’è portato via, per 5 milioni di euro, di cui la metà spettano al Besiktas secondo gli accordi presi l’anno scorso con il club turco nella prima fase dal tentativo di sbolognamento del Torero, diventato improvvisamente ingombrante, inutile, insopportabile.
Siamo fatti così. A rileggere le cronache di tre anni fa, quando Supermario arrivò dal Bayern di Monaco pagato a peso d’oro, dovrebbe risaltare adesso evidente la sensazione di fallimento complessivo insita in questa vicenda. Siamo l’unica squadra al mondo che è riuscita a non far segnare Mario Gomez, mentre la Germania campione del mondo continua ad affidargli la maglia di centravanti titolare della Mannschaft.
Siamo riusciti a darlo via alla fine rimettendoci, e per di più dovendo fare a mezzo di questa rimessa con un terzo incomodo, che non solo con lui ha vinto un campionato nazionale (chissà cosa si prova, sensazione a noi ignota…..) facendogli segnare altre 26 reti in 33 partite (se le sogna Kalinic, anche nella prossima vita……ah, già, ma dice che il campionato turco a confronto al nostro è una cazzata…..), ma che l’ha fatto senza rimetterci una lira (turca) ed anzi mettendosi in cassa molti euro. Il 50 % dell’affarone made in Corvino & C.
Sostituti? Per ora, zero. C’è di che battersi la testa al muro, è dai tempi di Chiarugi sostituito con Sormani che non si fa una boiata del genere. Macché. Firenze in festa. Tra due giorni comincia un campionato per il quale siamo attrezzati in attacco con una punta e mezzo. E noi si fa festa.
Forse, e lo diciamo consapevoli di poter scatenare quella parte di Firenze che ogni giorno ringrazia Dio di non dover tornare a Gubbio, il problema della Fiorentina degli ultimi quattordici anni non è stato Mario Gomez, o chi per lui e prima di lui. Non sono stati nemmeno Vincenzo Montella e Paulo Sousa, gli unici due allenatori al mondo che non hanno saputo cosa farsene del bomber tedesco.
Il problema della Fiorentina si chiama Diego Della Valle. Per fare l’imprenditore in un determinato settore bisogna capirci qualcosa, in partenza. Il discorso è tutto lì.

(*Addio Torero)

Mario Gomez a Firenze. E' febbre viola!

 Ancora dall'album dei ricordi. Dei fallimenti viola.

15 luglio 2013



Mario Gomez è atterrato a Peretola alle ore 12,00 circa. E adesso la festa può finalmente cominciare. Allo stadio Franchi si prevede che per il bagno di folla atteso con gli ormai febbricitanti e fibrillanti tifosi fiorentini possa non bastare l’apertura della Maratona. Potrebbe rendersi necessaria anche la Curva Ferrovia. Preparate per l’occasione in prima battuta 200 magliette ufficiali con il nome del neoacquisto viola, molto probabile una ristampa a breve per rapido esaurimento delle scorte.
Il campione tedesco è stato nel frattempo prelevato a Peretola da una autovettura ufficiale messa a disposizione dalla società, con a bordo la nuova responsabile della Comunicazione di Viale Manfredo Fanti, Elena Turra. Per quello che è probabilmente nient’altro che un caso fortuito, atterrava negli stessi istanti all’aeroporto fiorentino il presidente del Palermo Maurizio Zamparini, che ha ribadito di essere giunto nel capoluogo toscano non per motivi legati al calcio, ma per una iniziativa che lo vedrà a fianco del sindaco Matteo Renzi. Rischiestogli di Ilicic, ha liquidato la questione con un lapidario “lo sanno tutti che l’anno prossimo giocherà qui”.
E’ febbre viola, ormai. E’ una pandemia, almeno per la città di Firenze, e di quelle per cui non esiste vaccino. In questo tourbillon scatenato dalla chiusura felice della trattativa per il centravanti del Bayern e della Germania, sta passando tutto in secondo piano, dal momento non felice che la città sta vivendo insieme al paese a cose per fortuna meno serie (ma neanche poi tanto, se chiedete a un qualsiasi fiorentino che si rispetti), come l’avvio del ritiro viola a Montecatini, la prima uscita ufficiale della nuova Fiorentina 2013-14 con otto gol rifilati alla squadra locale alcuni dei quali messi a segno da neoacquisti come Ambrosini, Yakovenko, Bakic e Wolski, le convocazioni per la seconda fase del ritiro a Moena tra cui spiccano almeno due assenze eccellenti: una – quella di Jovetic – è scontata, da un momento all’altro si attende la conferma che il montenegrino salirà sul primo aereo per Manchester, "medaglina e arrivederci" avrebbe detto un altro Mario che ci porteremo sempre nel cuore; l’altra – quella di David Pizarro – è abbastanza clamorosa, tutto sommato, e dolorosa, perché si tratta di perdere uno degli artefici della passata splendida stagione, molto difficile da sostituire, ma che evidentemente ormai ha una posizione non conciliabile (in termini di ingaggio, pare) con quella della Fiorentina.
Passano in secondo piano perfino le voci di mercato che si rincorrono, tutte clamorose e quindi nessuna ormai più clamorosa. Per sostituire Pizarro, la Fiorentina sarebbe sulle orme nientemeno che di Marco Verratti, gioiellino già del Pescara di Zeman e adesso del Paris Saint Germain dei petrodollari e della Nazionale di Prandelli. Il talento abruzzese avrebbe un contenzioso con la sua società attuale, roba di un paio di milioni di euro per il rinnovo del contratto, cose da niente per chi estrae il petrolio da terra. Oppure invece no, e se l’accordo non ci fosse dicono che la Fiorentina è pronta a farsi sotto, con il gradimento del giocatore già interpellato da Prade’.
In questa pazza (o forse finalmente normale, secondo i sogni dei fiorentini) estate viola, c’è posto per tutto, per Daniele De Rossi che alcuni vorrebbero finalmente in partenza da Roma, magari verso nord per fermarsi a soli 250 km di autostrada.
Jordy Clasie del Feyenoord sarebbe nel frattempo già stato bloccato dai viola in caso di rottura definitiva con Pizarro. Macia starebbe intanto rastrellando il suo paese d’origine, la Spagna, in cerca di altri affari. Non ci facciamo mancare nulla, non ci meravigliamo più di nulla. Prima o poi i piedi torneranno per terra, per ora sognare a ruota libera è troppo bello. E adesso tutti da Fanfani, e poi allo Stadio! Speriamo che il grande Nervi l’abbia progettato per durare a lungo, perché quest’anno dovrà tornare a reggere un bel peso.

Gomez!

Questo è quello che scrissi tre anni fa. Parlare di tristezza è il minimo. Di fallimento, è doveroso.

14 giugno 2013



Fiorentina scatenata. In un calciomercato che più che decollare stenta proprio ad iniziare, la società viola si è già messa in mostra con due colpi di tutto rispetto. Marcos Alonso Mendoza, promettente giovane difensore iberico preso dal Bolton Wanderers, Joaquin Sanchez Rodriguez, altro esterno offensivo ex promessa del calcio spagnolo arrivato dal Malaga, sono due colpi più che di rispetto per una squadra che intende confermare (e se possibile migliorare) gioco e risultati della passata stagione, con in più l’avventura dell’Europa League da vivere all’altezza del nome della società, sia rispetto al blasone passato che soprattutto a quello che si vorrebbe conseguire in futuro.
Ma negli ultimi giorni si è aggiunto qualcosa di nuovo, e potrebbe succedere qualcosa capace di ampliare improvvisamente orizzonti e programmi viola verso una dimensione tutta nuova, che finora a Firenze almeno nell’era Della valle si era potuta soltanto sognare. Nel pieno del tourbillon inevitabile prodotto dalla vicenda Jovetic e dal nuovo braccio di ferro con la pretendente rivale di sempre Juventus, la Fiorentina ha deciso di ribaltare il tavolo da gioco tirando fuori un asso di quelli che se calato con successo potrebbe in un colpo solo risolvere la vicenda del montenegrino, degli intricati rapporti con i Campioni d’Italia in carica e della ricerca di un attaccante che faccia fare il salto di qualità definitivo ad una squadra già dotata di un impianto di gioco notevole.
Sono giorni che a Firenze si rincorrono le voci circa un acquisto che nelle stagioni passate sarebbe stato considerato da Fantacalcio. Quello del centravanti del Bayern Monaco e della nazionale tedesca Mario Gomez. Un top player, uno di quelli che credevamo di dover vedere ormai soltanto alla televisione in occasione delle competizioni internazionali. Il ventottenne campione nato a Reidlingen, Baden Wurttenberg, da padre spagnolo e madre tedesca è alla fine della sua esperienza con i neocampioni d’Europa bavaresi. Teoricamente nel mirino di diverse prestigiose società europee, di fatto la valutazione del suo cartellino che si aggira tra i 16 ed i 18 milioni di euro (più ingaggio di altri 5 al giocatore) taglia le gambe alla maggior parte di esse. L’ultima cosa che era lecito aspettarsi era che si facesse sotto, con determinazione, proprio la Fiorentina.
A quanto pare, ci sarebbe già l’accordo con il giocatore, come la stessa Bild Zeitung (uno di quei quotidiani ai quali è d’obbligo premettere l’aggettivo "autorevole") ha ammesso nei giorni scorsi. Ci sarebbe anche l’accordo sulla valutazione tra Il Bayern (che aspetta l’arrivo del gioiellino Lewandowski da Dortmund) e i viola. Ci sarebbe poi la ridda di voci che sta sconquassando Firenze dalle fondamenta da circa una settimana, e che fanno sì che anche i commentatori più scettici si stiano lentamente convertendo ad un possibilismo tra l’incredulo e lo speranzoso. Da quelle che riportano di alcune stanze riservate per il prossimo fine settimana in un albergo prestigioso della zona sud di Firenze per ospiti altrettanto prestigiosi. A quelle che riportano invece dello staff di Clinica Medica a Careggi (quello che solitamente compie le visite mediche sui neoacquisti della Fiorentina) che è stato allertato d’urgenza sempre per il fine settimana. A quelle infine che riportano un Della Valle che ha dato l’ok ai propri uomini mercato di stringere per il campione tedesco, pur in mancanza di una definizione della pratica Jovetic. Anzi, forse proprio per quello.
A quanto pare gli imprenditori marchigiani che detengono la proprietà della Fiorentina hanno deciso di passare dalla fase dell’autofinanziamento stretto a quella dell’investimento scegliendo di puntare molto in alto. Investimenti così, del resto, si fanno soltanto per vincere. E’ lecito pensare che ormai a Casette d’Ete siano giunte tutte le rassicurazioni del caso circa la realizzazione dello stadio nuovo alla Mercafir, e che nello stesso tempo la recrudescenza della polemica a distanza con la proprietà della Juventus abbia spinto i fratelli Della Valle a giocare più duro. Non c’è solo la vicenda Berbatov da vendicare e far dimenticare, ormai lo scontro è a tutto campo e a una Juventus che cerca di portarsi via Jovetic sottocosto e che trova anche difficoltà a comprare sul mercato europeo, da parte loro non si perdona e non si sconta più nulla. Jovetic costa 30 milioni, può essere offerto al Bayern in contropartita per Gomez o ad una delle pretendenti inglesi che hanno manifestato interesse a proposito.
In ogni caso, in Viale Manfredo Fanti non si sta più ad aspettare la sorte. Sono attese novità importanti in questo fine settimana. La scaramanzia è d’obbligo, ma sognare al momento presente è più lecito che mai.