Portiere
bono è mezza squadra, dice un vecchio detto fiorentino. Firenze è una
città che anche dal punto di vista calcistico ha un palato assai fine. Soprattutto
in riferimento ad alcuni ruoli specifici, uno dei quali è appunto il portiere. La
Fiorentina infatti ha spesso costruito le sue fortune sulla possibilità di
schierare in porta un top player,
come si dice oggi. Il migliore sul mercato, o uno dei migliori, che spesso
oltre alla maglia viola finiva per indossare quella azzurra.
Leonardo Costagliola |
Dopo i tempi
eroici di Bruno Ballante e Luigi Griffanti, che difesero i pali di una
Fiorentina in lotta per conquistarsi un posto fisso nell'Olimpo del calcio
italiano, la serie A, il primo ad inaugurare la splendida dinastia dei portieri
viola fu Leonardo Costagliola da Taranto, detto il gatto magico.
Venne comprato
dalla Fiorentina nel 1948 dal Bari, e rimase in viola per sette anni, fino alla
vigilia del primo scudetto. Nel frattempo fu convocato anche in Nazionale.
Difese la porta azzurra in tre occasioni senza subire un gol, ed ebbe l'onore
di essere schierato nella prima partita trasmessa dalla RAI nel dicembre 1953,
Italia-Cecoslovacchia 3-0 a
Genova, commento di Nicolò Carosio. Ai mondiali di Svizzera l'anno dopo gli fu preferito
l'interista Giorgio Ghezzi, e non ebbe colpa quindi della débacle azzurra
rimanendo imbattuto tra i pali della Nazionale.
Nel 1955 dette
l'addio al calcio passando il testimone a Giuliano
Sarti, di cui abbiamo già raccontato in questa
Galleria viola e a cui toccò la gloria del primo scudetto della Fiorentina.
Nel 1963 Sarti
passò all'Inter, la Fiorentina inaugurò quella linea verde che avrebbe avuto
talmente tanto successo da fruttarle il secondo scudetto, ed in porta finì il
secondo di Sarti, Enrico Albertosi da Pontremoli, destinato a rimanere nel
cuore degli sportivi fiorentini come uno dei campioni più amati e dei
personaggi più estroversi ed ammirati di tutta l'epopea viola.
Dopo la Coppa
Italia e la Coppa delle Coppe del 1961 vinte dalla panchina, Ricky vinse da titolare
la Mitropa Cup ed ancora la Coppa Italia nel 1966, e si conquistò la maglia di
titolare in Nazionale dopo il disastro dei mondiali inglesi del 1966, con
l'Italia battuta dalla Corea del Nord del dentista Pak Doo Ik.
Enrico Albertosi |
Albertosi
difese la porta azzurra ai vittoriosi (gli unici, a tutt'oggi) Europei
casalinghi del 1968. Era destinato a grandi cose anche a Mexico 70, il mondiale
di Italia - Germania 4-3 e della finale persa contro il Brasile di Pelé solo
all'ultima mezz'ora. Ma a quel punto non era più un giocatore della Fiorentina.
Come Costagliola, salutò la maglia viola alla vigilia di un campionato vittorioso,
anche se nel suo caso fu il presidente Baglini – che continuava a privilegiare
la linea ye ye – a voler monetizzare,
cedendolo al Cagliari insieme a Mario Brugnera, mentre il grande Kurt Hamrin pigliava
la via di Milano rossonera.
Erano in molti
nell'estate del 1968 a
temere che la Fiorentina fosse costretta a lottare per la salvezza, priva
com'era dei suoi campioni più forti, mentre in porta andava a prendere posto il
giovane Franco Superchi, prelevato come già gli altrettanto giovani Merlo e De
Sisti da squadre minori dell'hinterland romano. Sappiamo tutti come andò a
finire quell'anno. Superchi fu la saracinesca di una squadra che sbaragliò la
concorrenza (che si chiamava Milan di Gianni Rivera e Cagliari di Gigi Riva) e
portò a Firenze il secondo scudetto. L'apoteosi fu nella partita decisiva,
Juventus-Fiorentina 0-2, dove il numero uno viola parò tutto e consentì alla
sua squadra di acquisire la matematica certezza del titolo.
Franco Superchi |
Superchi rimase
in viola fino al 1976, sopravvivendo alla fine del ciclo vincente di Baglini e
facendo da chioccia al giovane Massimo Mattolini, che purtroppo non riuscì a
raccoglierne l'eredità, al pari dei suoi colleghi di una generazione che per
varie ragioni non seppe ripetere i fasti di quella precedente, malgrado la presenza
in squadra del gioiello Antognoni. Il povero Mattolini, tra l'altro, è
recentemente scomparso per i postumi di una malattia per la quale si sospetta
come causa la "farmacia facile" degli anni 70, che molti ritengono
essere costata la vita a diversi giocatori di quel periodo.
Dopo un breve
intermezzo in cui il crepuscolo della carriera di Gedeone Carmignani rischiò di
coincidere con quello della Fiorentina stessa, in porta arrivò Giovanni Galli da Pisa, di cui abbiamo già raccontato la vita dapprima
felice e poi tragicamente tribolata sempre in questa Galleria. Galli fu numero
uno viola dal 1977 al 1986, dopodiché si aprì di nuovo un interregno costellato
dalla reggenza da parte di
figure che non riuscirono a incidere il proprio nome nella targa sotto il labaro viola. Dal vecchio Paolo Conti alla giovane
promessa mai mantenuta Marco Landucci fino a quel Gianmatteo Mareggini di cui
si ricorda una sola impresa (anche se non da poco, da queste parti): il rigore
parato al bianconero De Agostini dopo il gran rifiuto di Roberto Baggio nella
storica Fiorentina-Juventus del 90-91, in cui la Curva Fiesole diventò una
splendida riproduzione stilizzata della città di Firenze. In questi anni si
affermava tra l'altro alla corte di Arrigo Sacchi al Milan il fiorentino Andrea
Pazzagli (anche lui scomparso prematuramente), cresciuto nella primavera viola
ma mai approdato in prima squadra. Come dire, sfortunatamente nemo propheta in patria.
Bisognò
arrivare al 1993-94, l'anno
della prima serie B conquistata da Vittorio Cecchi Gori, per vedere affacciarsi
nella lista dei giocatori della Fiorentina il nome di un nuovo campione: Francesco
Toldo da Padova. Cresciuto nelle giovanili del Milan (che però in quegli anni aveva
Galli, Pazzagli e Sebastiano Rossi, e poteva permettersi di non credere in lui)
Francesco diventò in breve tempo uno dei pilastri della Fiorentina di Claudio
Ranieri.
Quella che andò
a vincere la Supercoppa nel 1996 (dopo la quinta Coppa Italia della storia
viola) proprio in casa del Milan con la dichiarazione d'amore di Batigol alla
moglie in mondovisione.
Quella che andò
a vincere a Wembley in casa dell'Arsenal in Champion's League, ed in quella
occasione Francesco parò di tutto. Quella che per un periodo troppo breve sembrò
insediarsi stabilmente tra le Sette Sorelle, le pretendenti fisse allo
scudetto.
Francesco Toldo |
Nel 1996 la
Fiorentina riscattò la comproprietà di Toldo dal Milan. Nel 1998-99 la
Fiorentina arrivò terza in campionato, dopo essere stata lungamente al comando.
Nel 1998 Francesco fu secondo di Gigi Buffon in Nazionale, ai mondiali di
Francia. Nel 2000 venne il suo momento: Buffon si infortunò prima degli Europei
di Belgio-Olanda, la maglia di titolare toccò a lui, Francesco Toldo, che non
sprecò l'occasione. Nella semifinale con gli Orange padroni di casa, Francesco parò ancora una volta tutto, ma
proprio tutto, durante novanta minuti d'assedio più i supplementari. Parò anche
un rigore nei tempi regolamentari e ne parò altri due nella serie (quella del
"cucchiaio" di Francesco Totti) che dette all'Italia l'accesso alla finale
di Bruxelles con la Francia. Dove soltanto un gol di Wiltord a tempo scaduto ed
il golden gol di Trezeguet gli negarono la gioia di eguagliare Albertosi e di
dare il secondo titolo continentale all'Italia, da portiere viola trapiantato
in azzurro.
L'anno dopo,
con Terim prima e Mancini poi, fu accanto a Manuel Rui Costa quando questi alzò
la sesta Coppa Italia, l'ultimo trionfo della Fiorentina fino ad oggi. Subito
dopo, gli toccò però essere accanto a Rui Costa anche nell'elenco dei pezzi
pregiati da cedere per sanare il buco di bilancio di Cecchi Gori e poter iscrivere
la Fiorentina al campionato. Piangeva Rui Costa mentre partiva per andare al
Milan, piangeva Toldo mentre anche lui lasciava Firenze per Milano, per la
sponda nerazzurra. Piangevano i tifosi fiorentini, che dopo aver visto andare
Batistuta alla Roma, adesso salutavano gli ultimi campioni di un'epoca che
aveva promesso molto e mantenuto solo in parte. Era già successo nel 1967-68,
allora però era arrivato lo scudetto, stavolta invece sarebbe arrivata un'altra
retrocessione, ed il fallimento.
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