venerdì 1 gennaio 2016

Stadio Artemio Franchi, dove batte il cuore viola di Firenze

La domenica andavano in Via Bellini. I tifosi della Palestra Ginnastica Fiorentina Libertas per seguire gli incontri di calcio della loro squadra si trovavano in un appezzamento di terreno di quella che all’epoca era l’estrema periferia di Firenze. Prima ancora, agli albori del XX secolo, le squadre di calcio cittadine avevano giocato sul Prato del Quercione alle Cascine, finché un’ordinanza comunale aveva vietato, nel 1917, il gioco del pallone nella più grande area verde della città.
La Libertas andò quindi verso Novoli, dato che di verde all’epoca ce n’era tanto anche lì. L’altra squadra cittadina, il Club Sportivo Firenze, si spostò di poco, andando a giocare nel vicino Velodromo.
Erano impianti pionieristici, che divennero rapidamente insufficienti a contenere quello che stava diventando il gioco del secolo. La crescente passione portava sempre più spettatori alle partite di pallone. Quando nel 1926 il Marchese Ridolfi riuscì a far fondere le due principali società cittadine in un’unica sola, l’Associazione Calcio Fiorentina, assumendone la presidenza, la passione divampò, e Via Bellini divenne una scatoletta che rischiava di esplodere ogni volta che la neonata squadra dapprima biancorossa e poi viola giocava in casa.
Marchese Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano
Luigi Ridolfi Vay da Verrazzano era un personaggio leggendario nella Firenze dell’epoca. Rampollo di una delle più antiche e prestigiose famiglie nobiliari fiorentine, avanguardista del Fascio fiorentino dalla prim’ora, esponente futurista di spicco e da sempre legato al mondo dello sport (fu tra i fondatori degli Assi Giglio Rosso, la prestigiosa società di atletica), era inevitabile che diventasse lui il padre dell’opera d’arte più amata in assoluto dai fiorentini: la squadra di calcio dalla maglia viola e dal giglio rosso sul petto. Non appena ebbe messo al mondo la sua creatura, si rese conto che doveva trovarle una sistemazione adeguata. Il regime fascista incoraggiava tra l’altro le grandi opere d’arte celebrative del rinnovamento morale e civile degli italiani (in quegli anni a Firenze si stava costruendo la nuova stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, destinata a diventare monumento nazionale al pari dello stadio).
Ing. Pier Luigi Nervi Gattinara
Il marchese Ridolfi ebbe l’idea del nuovo stadio. L’ingegner Pier Luigi Nervi la realizzò. Nervi era già famoso per aver realizzato il Teatro Augusteo a Napoli. Il 16 marzo 1930 presentò il suo progetto innovativo, destinato a diventare una inconfondibile icona di Firenze al pari del David di Michelangelo, della Cupola del Brunelleschi e del Campanile di Giotto. La Torre di Maratona, le scale elicoidali e la tribuna coperta senza sostegni avrebbero fatto dello stadio di Firenze un gioiello architettonico all’epoca all’avanguardia e ancora oggi fonte di ammirazione. Hugo Meisl, allenatore del mitico Wunderteam austriaco degli anni 30, lo avrebbe definito «il migliore stadio del mondo sia dal punto di vista strettamente estetico che da quello della funzionalità delle sue attrezzature sportive e della comodità per il pubblico: un’opera all'altezza di Firenze».
Mancava soltanto un’area adeguata per realizzare una simile opera d’arte. A questo pensò Ridolfi stesso, con il proprio prestigio all’epoca indiscusso. Eroe pluridecorato della Prima Guerra Mondiale, non ebbe difficoltà ad ottenere dall’esercito una porzione dell’area di Campo di Marte, la cosiddetta Piazza d’Armi, che si prestava perfettamente alla bisogna per l’ampiezza degli spazi necessari e la vicinanza all’omonima stazione ferroviaria. I lavori, in buona parte finanziati dallo stesso marchese Ridolfi, cominciarono nel dicembre 1930 e furono ultimati, come da capitolato, circa 180 giorni dopo, nel giugno 1931. la Torre di Maratona fu ultimata nel settembre dello stesso anno. Il collaudo definitivo dello stadio, intitolato al martire fascista Giovanni Berta, fu ultimato nel luglio 1932, anche se le ultime sistemazioni di dettaglio si conclusero nel 1934, a ridosso del campionato Mondiale di calcio assegnato all’Italia e da essa poi vinto. L’opera era costata complessivamente 6.500.000 di lire, una delle cifre più basse dell’epoca, che Ridolfi finanziò attraverso la vendita di proprietà di famiglia, tra cui il castello da Verrazzano. L’inaugurazione avvenne il 3 settembre 1931, allorché la Fiorentina affrontò e sconfisse l’Admira Vienna per 1-0, con un gol del bomber uruguaiano Petrone, di cui si può ammirare una statua ancor oggi all’interno dello stadio.
Stadio Giovanni Berta, poi Comunale, poi Artemio Franchi
Durante i mondiali del ’34, lo stadio ospitò l’epica sfida tra l’Italia di Pozzo e la Spagna del leggendario Ricardo Zamora, il portiere paratutto. La sfida, terminata 0-0, fu ripetuta il giorno dopo. Zamora infortunato non scese in campo, l’Italia vinse 1-0 e si qualificò per le semifinali. Dieci anni dopo, tristemente, fu teatro invece dell’eccidio da parte dei fascisti repubblichini di cinque giovani renitenti alla leva della repubblica di Salò. I ragazzi furono fucilati sotto la Torre di Maratona, e a loro fu dedicato nel 1949 un sacrario a perenne memoria.
Dopo la guerra, venne il momento di gloria nel 1956 quando sull’erba dello stadio ribattezzato semplicemente Stadio Comunale si festeggiò il primo scudetto della Fiorentina. Anni prima, il marchese Ridolfi aveva ipotizzato di commissionare la costruzione di un secondo anello che avrebbe portato la capienza dello stadio dai 45.000 circa per cui è sempre stato omologato a 80.000: Sogni che rimasero tali, perché le disponibilità del marchese non erano più quelle di prima, non parliamo di quelle di un’Italia che doveva affrontare una difficile ricostruzione. Nel 1952 comunque al Comunale fu disputata tra le Nazionali di Italia ed Inghilterra la partita che a tutt’oggi mantiene il record di spettatori. All’1-1 tra le tradizionali rivali assistettero 95.000 secondo i calcoli dei biglietti
venduti. In epoca recente, il record appartiene alla partita di Coppa UEFA Fiorentina-Anderlecht del 1985, 65.000 spettatori circa.
Negli anni successivi, il Comunale fu sede di incontri della XVII Olimpiade nel 1960 e poi del Campionato Europeo del 1968, quello vinto dagli azzurri. L’anno dopo vi fu festeggiato il secondo scudetto viola, mentre con l’arrivo degli anni 70 l’impianto cominciò ad essere utilizzato anche per i concerti musicali di grande richiamo di pubblico. E fu anche teatro di prestigiosi record di Atletica. Nel 1981 Sebastian Coe stabilì sulla pista del Comunale, poi sacrificata a Italia 90, uno dei suoi nove record del mondo negli 800 metri. Stessa cosa fece un giovanissimo Carl Lewis nei 100 metri, ma per il malfunzionamento dell’impianto elettronico cronometrico, il record non poté essere omologato.
Artemio Franchi
Nel 1990, l’assegnazione all’Italia della XIVesima edizione della Coppa del Mondo obbligò tutti gli stadi italiani a pesanti restyling. Al Comunale di Firenze, l’essere nominato sede ospitante di incontri del Mondiale costò l’abbassamento del manto erboso e la scomparsa della pista d’atletica. Se Giovanni Michelucci stesso nel 1932 dalle pagine della rivista Architettura aveva potuto esaltare lo “schietto carattere moderno” dello stadio fiorentino, furono veramente pochi quelli che parlarono positivamente del suo rifacimento in occasione di Italia 90. Tutti furono d’accordo invece a dedicare l’impianto allo scomparso leggendario presidente della Federcalcio Artemio Franchi, fiorentino di famiglia senese. Da allora, avendo la città di Siena conferito la stessa onorificenza postuma al grande dirigente sportivo, è opportuno precisare: Stadio Artemio Franchi di Firenze.
Con gli anni 2000 è emersa l’esigenza di adeguare la funzionalità di un impianto che se mantiene tutta la sua validità dal punto di vista estetico risulta sempre meno funzionale alle nuove esigenze introdotte dalle normative UEFA, nonché da quelle statali in materia di sicurezza. Nel 2007 la tragedia dell’ispettore Raciti a Catania portò Ministero dell’Interno e Federcalcio a varare un piano di messa in sicurezza dei maggiori impianti sportivi italiani. Il Franchi di Firenze non si sottrasse a tale obbligo. Fu l’avvento del tornello, oggetto entrato negativamente nell’immaginario collettivo di una tifoseria che come tante altre era abituata ad andare allo stadio come si va a celebrare una festa, e che si ritrovò in un batter d’occhio ad essere trattata come se chiedesse di entrare in un consolato americano o in un carcere di massima sicurezza.
Comparvero anche le barriere protettive tra i settori. Il vecchio stadio che aveva incantato il mondo con le sue linee essenziali divenne un luogo di coercizione. A monitorare il pubblico, oltre 50 telecamere che si dividono l’intero stadio a spicchi. Era chiaro che ridotto così nemmeno a Firenze, la città del tutto esaurito anche in serie C2, il calcio aveva un futuro. Nel 2012, constatato il calo di spettatori dovuto non soltanto alla crisi economica, anche il Franchi come altri stadi d’Italia ha visto invertire la tendenza. Le barriere hanno cominciato ad andarsene, la nuova parola d’ordine è:stadio all’inglese (anche se del sistema inglese manca tutto il resto, dalla normativa alla severità nell’applicarla).
Quindi, nell’estate 2013 un nuovo restyling, che ha trasformato la Tribuna Autorità in qualcosa di più simile ai moderni impianti europei e ha abbattuto buona parte delle barriere protettive tra i settori. In attesa che decolli il progetto Mercafir ed il vecchio,glorioso Artemio Franchi possa finalmente andare in pensione. E diventare soltanto uno dei tanti immortali monumenti di Firenze.

Nessun commento:

Posta un commento