Nel 1955, l’ispirato presidente Befani aveva acquistato anche un altro
ragazzo sudamericano, su segnalazione di un religioso italiano che in
Cile si dilettava di scoprire talenti calcistici, essendo stato lui
stesso calciatore prima di prendere i voti. Padre Volpi ci capiva di
futebol. Miguel Angel Montuori, argentino naturalizzato cileno, arrivò
in Italia in sordina, nei giorni in cui la stampa celebrava l’acquisto
di Julinho.
Se possibile, la sua lunga militanza viola (uno scudetto e quattro
secondi posti consecutivi, 162 presenze e 72 reti) fece amare dai tifosi
questo ragazzo dallo sguardo triste e dai lineamenti da indio,
implacabile in area di rigore, ancora più del funambolico Julinho. Le
sue prestazioni spinsero la federazione italiana a naturalizzarlo (un
nonno italiano si trovava a tutti, allora), e Miguel giocò in maglia
azzurra 12 incontri di cui uno addirittura da capitano, segnando due
reti.
La sua carriera si chiuse anzitempo per una pallonata che lo colpì al
volto, compromettendogli la vista, in una partita amichevole del 1961,
quando aveva soltanto 28 anni. Tentò senza troppa fortuna di fare
l’allenatore, prima in Cile e poi in Italia, dove tornò a stabilirsi
definitivamente alla fine degli anni 80. A Firenze trovò impiego alla
biblioteca Comunale, mentre nel tempo libero si dedicò ad insegnare
calcio all’Isolotto, dove scoprì il giovanissimo talento di Francesco
Flachi.
Affetto da un male incurabile e ridotto quasi in miseria, furono gli ex
compagni dello scudetto a intervenire per comprargli una casa ed
assicurargli condizioni di vita serene, permettendogli di spegnersi nel
1998 circondato dall’affetto di una città i cui colori aveva onorato.
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