venerdì 1 gennaio 2016

Miguel Angel Montuori, l'angelo delle Ande

Nel 1955, l’ispirato presidente Befani aveva acquistato anche un altro ragazzo sudamericano, su segnalazione di un religioso italiano che in Cile si dilettava di scoprire talenti calcistici, essendo stato lui stesso calciatore prima di prendere i voti. Padre Volpi ci capiva di futebol. Miguel Angel Montuori, argentino naturalizzato cileno, arrivò in Italia in sordina, nei giorni in cui la stampa celebrava l’acquisto di Julinho.
Se possibile, la sua lunga militanza viola (uno scudetto e quattro secondi posti consecutivi, 162 presenze e 72 reti) fece amare dai tifosi questo ragazzo dallo sguardo triste e dai lineamenti da indio, implacabile in area di rigore, ancora più del funambolico Julinho. Le sue prestazioni spinsero la federazione italiana a naturalizzarlo (un nonno italiano si trovava a tutti, allora), e Miguel giocò in maglia azzurra 12 incontri di cui uno addirittura da capitano, segnando due reti.
La sua carriera si chiuse anzitempo per una pallonata che lo colpì al volto, compromettendogli la vista, in una partita amichevole del 1961, quando aveva soltanto 28 anni. Tentò senza troppa fortuna di fare l’allenatore, prima in Cile e poi in Italia, dove tornò a stabilirsi definitivamente alla fine degli anni 80. A Firenze trovò impiego alla biblioteca Comunale, mentre nel tempo libero si dedicò ad insegnare calcio all’Isolotto, dove scoprì il giovanissimo talento di Francesco Flachi.
Affetto da un male incurabile e ridotto quasi in miseria, furono gli ex compagni dello scudetto a intervenire per comprargli una casa ed assicurargli condizioni di vita serene, permettendogli di spegnersi nel 1998 circondato dall’affetto di una città i cui colori aveva onorato.

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