venerdì 1 gennaio 2016

Una Coppa tinta di viola: gli anni ruggenti

Quante volte l’abbiamo detto, o sentito dire: “In una partita secca ci può stare di tutto, nel calcio non vincono sempre i più forti”. E’ lo spirito della Coppa Italia, o TIM Cup che dir si voglia da qualche anno a questa parte. Che del resto nacque per questo, quasi cento anni fa. Nel 1922 le società più forti (già allora le stesse di oggi e quasi altrettanto determinate a far prevalere il business sull’aspetto sportivo) fecero uno sgarbo alla Federazione minacciando uno scisma che rese problematica la disputa del campionato 1921-22. La Federazione le ripagò istituendo una competizione in cui le squadre si incontravano in un tabellone ad eliminazione diretta, dentro o fuori da subito. Le favorite potevano essere rimandate a casa in novanta minuti, a giocarsi la Coppa Italia potevano arrivare formazioni provenienti addirittura dalla serie C. Il primo anno in finale arrivarono il Vado Ligure e l’Udinese. I liguri ebbero ragione dei friulani, alla loro prima ed unica apparizione all’atto conclusivo.
Dopo un avvio balbettante, la Coppa fu disputata regolarmente e sistematicamente solo a partire dal 1936, con il regolamento della Coppa d’Inghilterra, incontri ad eliminazione con sorteggio della squadra ospitante e ripetizione in caso di parità a campo invertito. La finale si giocava in campo neutro deciso di volta in volta, la vincitrice si fregiava dello scudetto (per chi trionfava nel campionato c’era la croce sabauda sormontata dal fascio littorio) e partecipava all’unica Coppa Internazionale esistente all’epoca, la Mitropa Cup che vedeva affrontarsi formazioni italiane, austriache, ungheresi, cecoslovacche e svizzere.
In una partita secca ci stava di tutto, si diceva. E spesso è andata così. Prova ne sia che la Fiorentina, che solo di rado è riuscita a fare campionati di vertice e solo due volte è riuscita a vincerli, nell’Albo d’Oro della Coppa Italia figura aver disputato ben nove finali, vincendone sei e posizionandosi al quarto posto assoluto dietro Roma, Juventus ed Inter. Se sabato i viola faranno propria la settima finale raggiungeranno appunto i nerazzurri, se invece a prevalere sarà il Napoli accorcerà le distanze portandosi a cinque successi.
In attesa di sapere cosa riserva il futuro, un breve excursus in un glorioso passato. Che cominciò nel 1939-40, quando la Fiorentina fece la prima apparizione nelle zone alte della classifica ed iscrisse per la prima volta il proprio nome sull’albo d’oro di una competizione. In Coppa i viola fecero fuori il Cavagnaro Genova Sestri Ponente nei sedicesimi, il Milano negli ottavi (1-1 a Milano e 5-0 a Firenze nella ripetizione), la Lazio nei quarti per 4-1, la Juventus in semifinale per 3-0.
In finale i viola furono sorteggiati in casa e lo Stadio Giovanni Berta (come si chiamava allora il Comunale Artemio Franchi) poté assistere al loro trionfo, pochi giorni dopo che l’Italia era entrata nella Seconda Guerra Mondiale, per 1-0 sul Genova 1893 con rete di Celoria al 26’ del primo tempo. Da notare come il Fascismo avesse imposto il cambio di nome a società che erano nate sotto l’egida del calcio britannico. Si salvò la Juventus perché il nome era di origine latina. L’Ambrosiana ex-Inter quell’anno era uscita negli ottavi. I viola trionfatori erano Griffanti, Da Costa, Piccardi, Ellena, Bigogno, Poggi II, Menti II, Morselli, Celoria, Baldini.
Seguirono gli anni della guerra e l’avvio dell’epopea del Grande Torino. Nell’anno in cui cadde il Fascismo, il 1943, i fuoriclasse granata trionfarono sia in campionato che in Coppa. L’anno dopo con l’Italia spaccata in due tra tedeschi ed alleati il campionato fu disputato a pezzi, la Coppa saltò per essere ripresa solo nel 1958. Oltre al periodo d’oro del Torino, questa pausa sacrificò anche buona parte di quello della Fiorentina, che nel 1956 vinse il primo scudetto e nei quattro anni successivi arrivò seconda.
Quando per riempire il vuoto lasciato dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 1958 la Federazione rilanciò proprio la Coppa Italia, fu proprio la Fiorentina a disputare la prima finale, e a perderla contro la Lazio a Roma. I viola erano fortissimi, alcuni di loro erano ancora quelli del primo scudetto, ma venivano da un campionato estenuante lasciato nelle mani del Milan proprio all’ultimo tuffo, e a detta di molti Sarti, Robotti, Castelletti, Chiappella, Cervato, Segato, Hamrin, Lojacono, Montuori, Gratton, Morosi non sentirono abbastanza l’impegno.
Lo sentirono senz’altro di più due anni dopo, quando in finale affrontarono a San Siro la Juventus a cui avevano appena lasciato il titolo di campione d’Italia, finendo secondi per la quarta volta. I bianconeri erano già visti come avversari “particolari” dai tifosi viola, anche se la rivalità era solo agli albori. Sarti, Robotti, Castelletti, Micheli, Orzan, Marchesi, Hamrin, Montuori, Da Costa, Milan, Petris cedettero 3-2 dopo i tempi supplementari alla Juventus in cui tirava gli ultimi calci Boniperti e facevano faville campioni come Charles e Sivori. I viola si consolarono bene, tuttavia, finendo qualificati di diritto alla prima edizione della Coppa delle Coppe, che vinsero l’anno dopo con l’impresa di Ibrox Park. La Juventus in compenso aveva fatto l’accoppiata campionato e coppa che fino ad allora era riuscita solo al Grande Torino.
Fiorentina 1960-61 i "leoni di Ibrox"
L’anno dopo, 1960-61, fu la Fiorentina a fare l’accoppiata, aggiungendo la seconda Coppa Italia della sua storia alla Coppa delle Coppe, primo storico trofeo internazionale vinto nel dopoguerra da una squadra italiana insieme alla Coppa delle Fiere (in seguito Coppa UEFA e poi Europa League) vinta dalla Roma quello stesso anno. I viola Albertosi, Robotti, Castelletti, Gonfiantini, Orzan, Marchesi, Hamrin., Micheli, Da Costa, Milan, Petris si vendicarono della Juventus in semifinale sconfiggendola 3-1, e poi nella finale - sorteggiata a Firenze - della Lazio, battuta per 2-0.
Per ritrovare la Fiorentina in finale bisognò poi attendere il 1965-66 ed una nuova generazione, quella ye-ye che avrebbe portato tre anni dopo al secondo scudetto. Albertosi, Pirovano, Rogora, Bertini, Ferrante, Brizi, Hamrin, Merlo, Brugnera, De Sisti, Chiarugi fecero fuori Palermo, Catania, Milan ed Inter, per trovare in finale un sorprendente Catanzaro, autore di autentiche prodezze contro Napoli, Lazio e Torino e capace di eliminare in semifinale la Juventus addirittura in trasferta a Torino. A Roma, dove da allora si sarebbero giocate tutte le finali in quanto capitale, il Catanzaro dette del filo da torcere anche ai viola, che andarono in vantaggio con Hamrin e furono raggiunti da Pippo Marchioro. Segnò il gol della vittoria Bertini su rigore al 1’ minuto del secondo tempo supplementare.

Era la terza Coppa. Poi lo scudetto, poi ancora anni difficili e l’avvio di una nuova generazione ye-ye, che nei piani di Ugolino Ugolini avrebbe dovuto allungare la serie di vittorie. Ma non sarebbe andata così.

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