Quante volte l’abbiamo
detto, o sentito dire: “In una partita secca ci può stare di tutto, nel calcio
non vincono sempre i più forti”. E’ lo spirito della Coppa Italia, o TIM Cup
che dir si voglia da qualche anno a questa parte. Che del resto nacque per
questo, quasi cento anni fa. Nel 1922 le società più forti (già allora le
stesse di oggi e quasi altrettanto determinate a far prevalere il business sull’aspetto sportivo) fecero
uno sgarbo alla Federazione minacciando uno scisma che rese problematica la
disputa del campionato 1921-22. La Federazione le ripagò istituendo una
competizione in cui le squadre si incontravano in un tabellone ad eliminazione
diretta, dentro o fuori da subito. Le favorite potevano essere rimandate a casa
in novanta minuti, a giocarsi la Coppa Italia potevano arrivare formazioni provenienti
addirittura dalla serie C. Il primo anno in finale arrivarono il Vado Ligure e
l’Udinese. I liguri ebbero ragione dei friulani, alla loro prima ed unica apparizione
all’atto conclusivo.
Dopo un avvio balbettante, la
Coppa fu disputata regolarmente e sistematicamente solo a partire dal 1936, con
il regolamento della Coppa d’Inghilterra, incontri ad eliminazione con
sorteggio della squadra ospitante e ripetizione in caso di parità a campo
invertito. La finale si giocava in campo neutro deciso di volta in volta, la
vincitrice si fregiava dello scudetto (per chi trionfava nel campionato c’era
la croce sabauda sormontata dal fascio littorio) e partecipava all’unica Coppa
Internazionale esistente all’epoca, la Mitropa
Cup che vedeva affrontarsi formazioni italiane, austriache, ungheresi,
cecoslovacche e svizzere.
In una partita secca ci stava di
tutto, si diceva. E spesso è andata così. Prova ne sia che la Fiorentina, che
solo di rado è riuscita a fare campionati di vertice e solo due volte è riuscita
a vincerli, nell’Albo d’Oro della Coppa Italia figura aver disputato ben nove
finali, vincendone sei e posizionandosi al quarto posto assoluto dietro Roma,
Juventus ed Inter. Se sabato i viola faranno propria la settima finale
raggiungeranno appunto i nerazzurri, se invece a prevalere sarà il Napoli
accorcerà le distanze portandosi a cinque successi.
In attesa di sapere cosa riserva
il futuro, un breve excursus in un
glorioso passato. Che cominciò nel 1939-40, quando la Fiorentina fece la prima
apparizione nelle zone alte della classifica ed iscrisse per la prima volta il
proprio nome sull’albo d’oro di una competizione. In Coppa i viola fecero fuori
il Cavagnaro Genova Sestri Ponente
nei sedicesimi, il Milano negli
ottavi (1-1 a Milano e 5-0 a Firenze nella ripetizione), la Lazio nei quarti
per 4-1, la Juventus in semifinale per 3-0.
In finale i viola furono
sorteggiati in casa e lo Stadio Giovanni Berta (come si chiamava allora il
Comunale Artemio Franchi) poté assistere al loro trionfo, pochi giorni dopo che
l’Italia era entrata nella Seconda Guerra Mondiale, per 1-0 sul Genova 1893 con rete di Celoria al 26’
del primo tempo. Da notare come il Fascismo avesse imposto il cambio di nome a
società che erano nate sotto l’egida del calcio britannico. Si salvò la
Juventus perché il nome era di origine latina. L’Ambrosiana ex-Inter quell’anno era uscita negli ottavi. I viola
trionfatori erano Griffanti, Da Costa,
Piccardi, Ellena, Bigogno, Poggi II, Menti II, Morselli, Celoria, Baldini.
Seguirono gli anni della guerra e
l’avvio dell’epopea del Grande Torino. Nell’anno in cui cadde il Fascismo, il
1943, i fuoriclasse granata trionfarono sia in campionato che in Coppa. L’anno
dopo con l’Italia spaccata in due tra tedeschi ed alleati il campionato fu
disputato a pezzi, la Coppa saltò per essere ripresa solo nel 1958. Oltre al
periodo d’oro del Torino, questa pausa sacrificò anche buona parte di quello
della Fiorentina, che nel 1956 vinse il primo scudetto e nei quattro anni
successivi arrivò seconda.
Quando per riempire il vuoto
lasciato dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 1958 la Federazione
rilanciò proprio la Coppa Italia, fu proprio la Fiorentina a disputare la prima
finale, e a perderla contro la Lazio a Roma. I viola erano fortissimi, alcuni
di loro erano ancora quelli del primo scudetto, ma venivano da un campionato
estenuante lasciato nelle mani del Milan proprio all’ultimo tuffo, e a detta di
molti Sarti, Robotti, Castelletti, Chiappella,
Cervato, Segato, Hamrin, Lojacono, Montuori, Gratton, Morosi non sentirono
abbastanza l’impegno.
Lo sentirono senz’altro di più
due anni dopo, quando in finale affrontarono a San Siro la Juventus a cui
avevano appena lasciato il titolo di campione d’Italia, finendo secondi per la
quarta volta. I bianconeri erano già visti come avversari “particolari” dai
tifosi viola, anche se la rivalità era solo agli albori. Sarti, Robotti, Castelletti, Micheli, Orzan, Marchesi, Hamrin,
Montuori, Da Costa, Milan, Petris cedettero 3-2 dopo i tempi supplementari
alla Juventus in cui tirava gli ultimi calci Boniperti e facevano faville
campioni come Charles e Sivori. I viola si consolarono bene, tuttavia, finendo
qualificati di diritto alla prima edizione della Coppa delle Coppe, che vinsero
l’anno dopo con l’impresa di Ibrox Park. La Juventus in compenso aveva fatto l’accoppiata
campionato e coppa che fino ad allora era riuscita solo al Grande Torino.
Fiorentina 1960-61 i "leoni di Ibrox" |
L’anno dopo, 1960-61, fu la
Fiorentina a fare l’accoppiata, aggiungendo la seconda Coppa Italia della sua
storia alla Coppa delle Coppe, primo storico trofeo internazionale vinto nel
dopoguerra da una squadra italiana insieme alla Coppa delle Fiere (in seguito
Coppa UEFA e poi Europa League) vinta dalla Roma quello stesso anno. I viola Albertosi, Robotti, Castelletti,
Gonfiantini, Orzan, Marchesi, Hamrin., Micheli, Da Costa, Milan, Petris si
vendicarono della Juventus in semifinale sconfiggendola 3-1, e poi nella finale
- sorteggiata a Firenze - della Lazio, battuta per 2-0.
Per ritrovare la Fiorentina in
finale bisognò poi attendere il 1965-66 ed una nuova generazione, quella ye-ye che avrebbe portato tre anni dopo
al secondo scudetto. Albertosi, Pirovano,
Rogora, Bertini, Ferrante, Brizi, Hamrin, Merlo, Brugnera, De Sisti, Chiarugi
fecero fuori Palermo, Catania, Milan ed Inter, per trovare in finale un
sorprendente Catanzaro, autore di autentiche prodezze contro Napoli, Lazio e
Torino e capace di eliminare in semifinale la Juventus addirittura in trasferta
a Torino. A Roma, dove da allora si sarebbero giocate tutte le finali in quanto
capitale, il Catanzaro dette del filo da torcere anche ai viola, che andarono
in vantaggio con Hamrin e furono raggiunti da Pippo Marchioro. Segnò il gol
della vittoria Bertini su rigore al 1’ minuto del secondo tempo supplementare.
Era la terza Coppa. Poi lo scudetto, poi ancora anni difficili e l’avvio di una nuova generazione ye-ye, che nei piani di Ugolino Ugolini avrebbe dovuto allungare la serie di vittorie. Ma non sarebbe andata così.
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