venerdì 1 gennaio 2016

Giancarlo Antognoni, il ragazzo che giocava guardando le stelle

E’ il 15 ottobre 1972, si gioca la terza giornata di campionato. La Fiorentina è a Verona, senza Giancarlo De Sisti, squalificato. Un’assenza pesantissima, quella di Picchio, fuoriclasse del secondo scudetto. Ma Liedholm ha una carta di riserva, e la gioca. Sposta Claudio Merlo al 10, e dà la maglia numero 8 a un giovane appena comprato da una società di serie D, l’Astimacobi. E’ stata una trattativa lampo, anche se difficile. Quel ragazzo è una grande promessa, gioca in una società satellite della Juventus, in quel momento evidentemente disattenta. Chi l’ha visto giocare, e tra questi c’è Liedholm (che di talenti se ne intende), dice che «quel ragazzo gioca guardando le stelle».
Non si sa con certezza chi è stato il primo a coniare quella frase, che passerà subito alla storia. Se Liedholm, che lo fa esordire nella Fiorentina, o Bernardini, che lo fa esordire in Nazionale (dandogli la maglia di Rivera, ed il ragazzo non trema, a Rotterdam si merita i complimenti nientemeno che di Johann Cruyff), o giornalisti del calibro di un Giovanni Arpino, Gianni Brera o Vladimiro Caminiti. O semplicemente quel Sandro Ciotti che fa la telecronaca della sua partita d’esordio, al Bentegodi, vinta dai viola 2-1. La Voce, a fine partita, chiosa breve e conciso: «oggi ho visto esordire un campione».
Giancarlo Antognoni non uscirà più di squadra, per 15 anni. I fiorentini lo chiamerano dapprima Enel, perché da quando è arrivato lui si è accesa la luce. Poi, quando gli altri campioni se ne andranno e resterà solo lui a fare luce, per tutti sarà semplicemente e solamente “Antonio”. Il più grande. L’unico.
E se in quel primo campionato, per rispetto ai seniores De Sisti e Merlo, Liedholm lo schiera con il numero 7, dopo il numero 10 sarà solo suo, per sempre. E pochi dopo di lui saranno ritenuti meritevoli di portarlo (e sempre un passo indietro, comunque) dai tifosi viola.
Giancarlo Antognoni esordisce a ottobre nella Fiorentina, ad ottobre 1974 gioca la sua prima partita in Nazionale e ad ottobre 1983 l’ultima. Ad aprile 1954 (il primo, ma per una volta non è un pesce d’aprile) è nato, ad aprile 1989 gioca la sua ultima partita, Fiorentina-Losanna, le uniche squadre di cui ha indossato la maglia. Altri hanno provato a mettergli addosso la loro, principalmente a strisce: la Juve assedia la Fiorentina per anni, fino al 1978, ma Ugolini – unico nella storia – dice di no a chi non se l’è mai sentito dire, e Antonio resta a Firenze. Ugolini entra nella leggenda viola, Antonio c’è già. Non vincerà mai lo scudetto, ma come dirà un giorno, «l’amore di una città come Firenze vale più di ogni altra cosa».
Nel 1982 vince il titolo mondiale in Spagna, dopo il primo grave infortunio nello scontro con il portiere Martina del Genoa. Per una notte sembra addirittura che la sua vita sia in pericolo. Rientra in squadra a poche giornate alla fine contro il Cesena, quando lo speaker dello stadio annuncia il suo nome l’urlo dei tifosi è impressionante. Il sogno viola finisce a un quarto d’ora dalla fine, a Cagliari, al Santiago Bernabeu per la finale mondiale Antonio è infortunato. Sembra che la vita voglia rivalersi dei doni, enormi, che gli ha dato.
Due anni dopo, quando la Fiorentina sembra avere di nuovo le carte in regola per vincere, si rompe la gambanello scontro con Luca Pellegrini della Sampdoria, mentre cerca generosamente di raddoppiare il suo primo gol. E stavolta, le stelle gli voltano le spalle definitivamente.
Quando torna, nel campionato 1984-85 (una pessima annata), è chiaro che la società non crede più in lui, e l’anno dopo dà addirittura mandato all’ineffabile Aldo Agroppi di metterlo in panchina. Agroppi alla fine viene addirittura malmenato dai tifosi, ma il suo successore, Bersellini, mantiene la stessa politica, finché Antonio capisce che la luce si è spenta. Due anni a Losanna, e poi la fine. La sua maglia intanto è sulle spalle di un altro grandissimo fuoriclasse, Roberto Baggio, ma vuoi per il fatto che nella vita c’è posto per un solo grande amore, vuoi per le vicende successive che vedranno la società cedere alle lusinghe juventine (chi nasce Pontello non può morire Ugolini), Antonio è e resterà l’Unico 10.
Anni dopo diventerà anche un grande dirigente di una nuova Fiorentina. Ma questa è un’altra storia.

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