E’ il 15 ottobre 1972, si gioca la terza giornata di campionato. La
Fiorentina è a Verona, senza Giancarlo De Sisti, squalificato.
Un’assenza pesantissima, quella di Picchio, fuoriclasse del secondo
scudetto. Ma Liedholm ha una carta di riserva, e la gioca. Sposta
Claudio Merlo al 10, e dà la maglia numero 8 a un giovane appena
comprato da una società di serie D, l’Astimacobi. E’ stata una
trattativa lampo, anche se difficile. Quel ragazzo è una grande
promessa, gioca in una società satellite della Juventus, in quel momento
evidentemente disattenta. Chi l’ha visto giocare, e tra questi c’è
Liedholm (che di talenti se ne intende), dice che «quel ragazzo gioca guardando le stelle».
Non si sa con certezza chi è stato il primo a coniare quella frase, che
passerà subito alla storia. Se Liedholm, che lo fa esordire nella
Fiorentina, o Bernardini, che lo fa esordire in Nazionale (dandogli la
maglia di Rivera, ed il ragazzo non trema, a Rotterdam si merita i
complimenti nientemeno che di Johann Cruyff), o giornalisti del calibro
di un Giovanni Arpino, Gianni Brera o Vladimiro Caminiti. O
semplicemente quel Sandro Ciotti che fa la telecronaca della sua partita
d’esordio, al Bentegodi, vinta dai viola 2-1. La Voce, a fine partita, chiosa breve e conciso: «oggi ho visto esordire un campione».
Giancarlo Antognoni non uscirà più di squadra, per 15 anni. I fiorentini lo chiamerano dapprima Enel,
perché da quando è arrivato lui si è accesa la luce. Poi, quando gli
altri campioni se ne andranno e resterà solo lui a fare luce, per tutti
sarà semplicemente e solamente “Antonio”. Il più grande. L’unico.
E se in quel primo campionato, per rispetto ai seniores De Sisti e
Merlo, Liedholm lo schiera con il numero 7, dopo il numero 10 sarà solo
suo, per sempre. E pochi dopo di lui saranno ritenuti meritevoli di
portarlo (e sempre un passo indietro, comunque) dai tifosi viola.
Giancarlo Antognoni esordisce a ottobre nella Fiorentina, ad ottobre
1974 gioca la sua prima partita in Nazionale e ad ottobre 1983 l’ultima.
Ad aprile 1954 (il primo, ma per una volta non è un pesce d’aprile) è
nato, ad aprile 1989 gioca la sua ultima partita, Fiorentina-Losanna, le
uniche squadre di cui ha indossato la maglia. Altri hanno provato a
mettergli addosso la loro, principalmente a strisce: la Juve assedia la
Fiorentina per anni, fino al 1978, ma Ugolini – unico nella storia –
dice di no a chi non se l’è mai sentito dire, e Antonio resta a Firenze.
Ugolini entra nella leggenda viola, Antonio c’è già. Non vincerà mai lo
scudetto, ma come dirà un giorno, «l’amore di una città come Firenze vale più di ogni altra cosa».
Nel 1982 vince il titolo mondiale in Spagna, dopo il primo grave
infortunio nello scontro con il portiere Martina del Genoa. Per una
notte sembra addirittura che la sua vita sia in pericolo. Rientra in
squadra a poche giornate alla fine contro il Cesena, quando lo speaker
dello stadio annuncia il suo nome l’urlo dei tifosi è impressionante. Il
sogno viola finisce a un quarto d’ora dalla fine, a Cagliari, al
Santiago Bernabeu per la finale mondiale Antonio è infortunato. Sembra
che la vita voglia rivalersi dei doni, enormi, che gli ha dato.
Due anni dopo, quando la Fiorentina sembra avere di nuovo le carte in regola per vincere, si rompe la gambanello scontro con Luca Pellegrini della Sampdoria, mentre cerca
generosamente di raddoppiare il suo primo gol. E stavolta, le stelle gli
voltano le spalle definitivamente.
Quando torna, nel campionato 1984-85 (una pessima annata), è chiaro che
la società non crede più in lui, e l’anno dopo dà addirittura mandato
all’ineffabile Aldo Agroppi di metterlo in panchina. Agroppi alla fine
viene addirittura malmenato dai tifosi, ma il suo successore,
Bersellini, mantiene la stessa politica, finché Antonio capisce che la
luce si è spenta. Due anni a Losanna, e poi la fine. La sua maglia
intanto è sulle spalle di un altro grandissimo fuoriclasse, Roberto
Baggio, ma vuoi per il fatto che nella vita c’è posto per un solo grande
amore, vuoi per le vicende successive che vedranno la società cedere
alle lusinghe juventine (chi nasce Pontello non può morire Ugolini),
Antonio è e resterà l’Unico 10.
Anni dopo diventerà anche un grande dirigente di una nuova Fiorentina. Ma questa è un’altra storia.
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