Nell'estate del 2005, Pantaleo
Corvino mise a segno una delle più spettacolari campagne acquisti dell'intera
storia viola. Tra i colpi di mercato più eclatanti, ci fu appunto quello
dell'estremo difensore, finalmente una figura all'altezza di quei numeri uno
del passato che avevano fatto la leggenda viola. Il Parma dei Tanzi era stato
come la Fiorentina dei Cecchi Gori una delle Sette Sorelle del calcio italiano.
Il crack della Parmalat e le vicende giudiziarie che ne erano seguite aveva
ridimensionato la posizione della società emiliana, che però era stata graziata
rispetto a quella fiorentina nella misura in cui le autorità civili e sportive
avevano acconsentito a che fosse affidata ad una amministrazione controllata
molto sui generis, evitandole in questo modo il fallimento.
Tra i pezzi pregiati che il
Parma fu costretto a vendere (così come era successo alla Fiorentina pochi anni
prima) ci fu appunto il portiere, la giovane promessa francese Sebastien
Jacques Andrè Frey, che era giunto in Emilia in sostituzione di Gigi Buffon
destinato alla Juventus e con il quale si sarebbe giocato in futuro il titolo
di miglior portiere del mondo. A Firenze, lo volle espressamente il suo vecchio
allenatore di Parma, Cesare Prandelli. Pur di approdare alla sua corte, Seba
– come presero a chiamarlo ben presto affettuosamente i tifosi viola – accettò
addirittura di ridursi l'ingaggio (caso più unico che raro nel mondo del
pallone).
La prima stagione in viola
con Prandelli fu la migliore sicuramente per il tecnico, che conquistò la
qualificazione alla Champion's League poi revocata da Calciopoli e
personalmente la Panchina d'Oro quale miglior tecnico della Serie A. Ma fu
altrettanto certamente la più sfortunata per il portiere transalpino, che in
una partita di Coppa Italia contro la Juventus subì un grave infortunio alla
tibia ad opera di Zalayeta, che lo mise fuori fino alla fine del campionato. La
Fiorentina fu costretta a tornare sul mercato prendendo il rumeno Bogdan
Lobont, detto il gatto, che lo sostituì tutto sommato abbastanza
degnamente.
Frey fu costretto per parte
sua ad una lunga e difficile convalescenza e riabilitazione, che gli insegnò
tra l'altro le vie della pazienza e della temperanza. Fu in questo periodo
infatti che si avvicinò al Buddhismo, grazie all'esempio e sulle orme di un
altro grande ex-viola, Roberto Baggio.
La stagione successiva fu
quella della grande impresa della risalita dai quindici punti di penalizzazione
per Calciopoli. Malgrado le difficoltà di riacquistare la forma migliore dopo
l'infortunio (anche a causa di un fisico che tendeva ad appesantirsi se non
perfettamente allenato), Seba fu tra quelli che risposero più prontamente ed
efficacemente all'appello lanciato da Prandelli fin dal ritiro di Folgaria.
Alla fine di quel campionato, la Fiorentina chiuse quinta (sarebbe stata terza,
ed in Champion's per il secondo anno consecutivo, senza la penalità) e con la
difesa meno battuta del torneo. E' opinione comune che nonostante le buone
individualità schierate in difesa da quella squadra viola, gran parte del
merito di quell'exploit sia da ascrivere a Sebastien Frey.
Sembrava giunto finalmente
il momento della consacrazione per il ragazzo dell'Alta Savoia. Le due
finaliste al Mondiale di Germania 2006 erano quelle che potevano schierare i
due portieri migliori al mondo. Ma se i selezionatori della nazionale italiana
succedutisi dopo quel Mondiale non ebbero mai dubbi sul tenersi stretto
Gianluigi Buffon, per Frey non ci fu altrettanta fortuna nel suo paese.
Caratterialmente agli antipodi con l'ombroso commissario tecnico dei bleus
Raymond Domenech, Frey subì diverse volte l'onta della panchina o addirittura
della mancata convocazione, finché all'indomani di Euro2008 indisse una bella
conferenza stampa allo Stadio Franchi e annunciò urbi et orbi che per quanto lo
riguardava la nazionale francese era un discorso chiuso.
Negli stessi giorni, la
Fiorentina decise di rinnovare il contratto al suo portierone fino al 2013, con
clausola rescissoria di ben 18 milioni di euro, un record per un giocatore del
suo ruolo. Erano ancora giorni in cui in casa Della Valle si nutrivano
ambizioni di gloria sportiva, e ci si accingeva finalmente a giocare l'agognata
Champion's League, dopo un tentativo sfortunato in Europa League conclusosi in
semifinale ai calci di rigore contro i Glasgow Rangers. Il primo anno non andò
bene, anche se il campionato finì con un quarto posto che consentiva di
riprovarci l'anno seguente. Nella stagione 2009-10 successero tante cose,
alcune in campo con il furto di Ovrebo che eliminò i viola a vantaggio del
Bayern Monaco, altre fuori con i contrasti crescenti tra la nuova
amministrazione comunale fiorentina e la proprietà viola, che probabilmente
spinsero quest'ultima a ridimensionare programmi e ambizioni.
Nell'estate del 2010 il
giocattolo si era rotto, Prandelli se n'era andato a tentare l'avventura della
Nazionale, sulla panchina viola si era accomodato l'improbabile Sinisa
Mihajlovic, i campioni che avevano fatto la differenza erano visti adesso come
"ingaggi troppo onerosi" per le casse viola. Tra questi, Seba aveva
uno dei contratti più cospicui. A poco valse il fatto che nei suoi cinque anni
di difesa della porta viola, la squadra avesse viaggiato ad una media di meno
di un gol subito a partita. Quando si fece male a dicembre di quell'anno (grave
sollecitazione al legamento crociato anteriore del ginocchio), fu chiaro che il
suo tempo a Firenze era terminato. Il suo vice, il polacco Artur Boruc,
singolare estemporaneo esemplare di testa calda proveniente dal campionato
scozzese (una delle cosiddette "corvinate"), resse la baracca tutto
sommato in modo non peggiore di quanto facessero quell'anno i suoi compagni, e
invogliò una società apparentemente in disarmo a puntare su di lui.
Dopo sei anni, Seba lasciò
Firenze portandosi dietro la gratitudine dei tifosi (non della società) ed
anche il loro rimpianto. Vederlo con indosso la maglia di un Genoa alla cui
salvezza contribuì alla fine in modo determinante non servì a risollevare il
morale di tifosi che si chiedevano se anche il ciclo dei della Valle fosse
prematuramente terminato, tra le sberle prese in casa dalla Juve e quelle date
da Delio Rossi al giovane Adem Llajic. A fine di quell'annus horribilis
2011-12, Boruc riprese la via d'Oltremanica, e la Fiorentina che a Moena
ritrovò l'entusiasmo dei suoi proprietari e un parco giocatori di tutto
rispetto decise di puntare sul portiere-tifoso Emiliano Viviano, un enfant
du pays cresciuto tra la Milano nerazzurra e la Palermo di Zamparini che
per vestire finalmente la maglia viola rinunciò a offerte di ogni specie.
Mentre si consumava la
parabola di Viviano, altro profeta mancato in patria, e della sua alternativa
Norberto Neto, la nostalgia faceva comunque il suo mestiere diventando
canaglia, spingendo tanti tifosi viola a buttare furtivamente un occhio
ad est, verso il Bosforo dove giocava un robusto ragazzone biondo
dell'Alta Savoia, uno che quando era qui parava tutto e che i tifosi chiamavano
semplicemente ed affettuosamente Seba.
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