mercoledì 30 marzo 2016

Il Corvo



«Un tempo la gente era convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la sua anima nella terra dei morti. A volte però accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose, che l'anima non poteva riposare. Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l'anima, perché rimettesse le cose a posto.»
E’ Sara Mohr che parla, all’inizio del film di cui è protagonista insieme a quell’Eric Draven che fu l’ultima, drammatica (per l’esito) interpretazione di Brandon Lee, il figlio del mitico Bruce. Il Corvo era tratto da una delle più celebri opere “gotiche” di Edgar Allan Poe, il padre fondatore dell’horror d’autore.
Di spunti, come si vede, ce ne sono quanti se ne vuole, venendo a parlare di Fiorentina. Anzitutto il genere. Non siamo ancora all’horror, ma al thriller sì, e da tempo. E di serie B, per giunta, perché la trama ormai è trita e ritrita. Un film già visto, un remake girato male, anzi malissimo, da mestieranti.
Poteva essere una commedia rosa, in perfetto stile hollywoodiano. “Quando finisce un progetto”. ve lo immaginate un Paul Newman o un Robert Redford d’annata, nei panni del bravo allenatore che se ne va sbattendo la porta in un finale da Oscar per salvare il proprio buon nome e quanto di buono ha fatto con i suoi ragazzi, contro le mire abbiette di biechi affaristi che vogliono impadronirsi della sua squadra (anzi, nel caso specifico ne sono già padroni)?
Poi l’annuncio clamoroso. Il Corvo sta tornando. Per portare a termine ciò che non era ancora stato risolto, compiuto. Bruscamente interrotto nella orribile notte in cui la Juventus fece a brandelli lo Stadio Franchi, ed una proprietà terrorizzata dette in pasto alla folla inferocita L’Uomo della Pioggia. Di soldi.
Adesso, dicono, il Corvo sta tornando per rimettere le cose a posto. Le sue, e quelle dei Della Valle, che con lui stavano tanto bene e che dopo di lui hanno vagato incerti per le lande sempre più inospitali del calcio italiano.
La storia è nota. I DV incontrarono l’Uomo di Vernole nell’inverno del 2005, allorché rifilò loro la sola terrificante di Valerj Bojinov. Un bidone da 23 milioni di euro circa che avrebbe abbattuto un elefante. I DV si salvarono (come, è ancora materia di studio degli storici) e provarono ad esorcizzare le bojate di quel 2004-05 assumendone l’involontario autore. Pantaleo Corvino cominciò così la sua cavalcata fiorentina, che lo portò ad essere il più prestigioso diesse italiano in competizione addirittura con Luciano Moggi, e poi infine l’uomo più odiato da una Firenze che aveva mal digerito la fine del progetto Prandelli e che tuttavia era restia a rifarsela con chi di dovere: i fratelli Della Valle.
Il Corvo fu scacciato dal nido nella primavera del 2012. Ancora in quella del 2016, la Fiorentina beneficia delle sue plusvalenze, se è vero che a torto o a ragione (ancora non si sa) accampa pretese dalle successive cessioni di Llajic e Salah, onde lunghe di affari impostati a suo tempo dal manager pugliese. E che affari. Con i giocatori venduti a peso d’oro dai Della Valle negli ultimi tre anni avremmo fatto la campagna acquisti e la felicità di un Paris Saint Germain, di un Real Madrid. Con i soldi entrati – dice – nelle casse viola si sarebbe rifatto uno squadrone, ma questo è un altro discorso.
Dopo la fuga del Corvo, nel frattempo riaccasatosi presso un Bologna che aveva illuso i suoi tifosi di aver trovato il proprio Zio d’America, era toccato a Daniele Prade’ fare mirabilie, ed in qualche caso miracoli. Negli ultimi tempi, piuttosto le “nozze con i fichi secchi”, come si dice a Firenze. Se Corvino aveva vissuto la fine di un progetto, Prade’ ne ha visti morire ben due: quello di Montella, arrivato ad un soffio dal trionfo europeo e colpevole di aver chiesto quel fatidico 31 una volta fatto il 30, e quello di Sousa, che ha ballato una sola estate prima di rendersi conto di avere una coperta da una piazza e mezzo da stendere su un letto matrimoniale.
L’uomo che assicurò un sereno crepuscolo ai Sensi a Roma non riesce più a fare miracoli a Firenze. Le plusvalenze sue e di Corvino sono agli sgoccioli, e i patron non escono più da quell’autofinanziamento che per una società come la Fiorentina significa cabotaggio medio se non piccolo, una via di mezzo tra l’Udinese ed il Parma di qualche tempo fa, prima del Diluvio che spazzò via i Tanzi. Il tempo di Daniele Prade’ in riva all’Arno ormai è contato, e sulle dita di una mano.
Ecco quindi la brillante idea. Di chi? Sicuramente di qualcuno che ai tempi in cui il Corvo volteggiava su Firenze male male non stava. Sia che si mettesse a caccia di IC o che sparisse per mesi in Sudamerica in safari di caccia da cui non sempre riportava animali di specie conosciute, il buon Pantaleo a mani proprio vuote ci restava, e ci faceva restare, di rado. Siamo sicuri che lui il Mammana lo portava a casa. Che poi ne uscisse un altro Gonzalo o un Van den Borre, questo è un altro paio di maniche. Di sicuro ne sarebbe uscita una bella posta di bilancio.
La leggenda del calcio vuole che i cavalli di ritorno finiscano per risultare bolsi. La Vox Populi d’altra parte vuole che i DV non sappiano più cosa inventarsi, stretti tra progetti di grandi opere che non vanno avanti e progetti di rilancio di una squadra che ormai ha gli effettivi ridotti all’osso. E per rimpolpare la quale forse l’autofinanziamento non basta più.
La tentazione di rievocare il Corvo, e quegli anni magici in cui a Firenze piovevano campioni e “promesse” a getto continuo, dev’essere forte. Come quella di poter delegare “qualcuno che ci capisce davvero di calcio” (anche se a modo suo) e tornare finalmente a disinteressarsi in santa pace di questa squadra che – non dimentichiamolo – per il maggiore dei due fratelli è un hobby non si sa più quanto divertente e per il minore quella che a Firenze si chiama una “fittonata”. Un colpo di testa che non vuole saperne di cedere il passo a più miti consigli. Come quello di cercare sul serio partner o compratori.
In attesa di sapere come va a finire questo thriller con venature horror (immaginatevi di perdere in casa con la Sampdoria dell’ex Vincenzino Montella e poi sulla panchina viola per le ultime sette partite va a sedersi direttamente Dario Argento), Firenze avverte quella sottile inquietudine già provata altre volte. Non è la prima circostanza infatti in cui l’autofinanziamento si dissolve trasformandosi in autoerotismo.
Non è destino che l’anima viola possa trovare requie. Mai.

venerdì 25 marzo 2016

Canzone triste

A disperdere la malinconia che come di consueto si distende su Firenze in occasione della sosta per la Nazionale, piombano le dichiarazioni shock del minore dei fratelli produttori di calzature che dal 2002 possiedono la Fiorentina. Andrea Della Valle rompe il silenzio stampa a margine di un allenamento minimalista della squadra (sembra impossibile, ma i viola convocati a giro per il mondo dalle varie nazionali sono ancora diversi) e lo fa distribuendo alla stampa, che da due mesi cerca di indovinarne i pensieri come gli aruspici divinavano l’esito di battaglie politiche e militari dal volo degli uccelli, la propria Weltanschauung. Per chi fosse a digiuno di studi filosofici, significa “visione del mondo”, e da Platone in poi non è detto che quella di ogni individuo coincida necessariamente con la realtà.
E’ il caso del giovine Andrea, che se ne esce in sostanza con un “siamo ancora lì, cinque punti sono tanti ma sono ancora pochi, chi ci contesta fa parte di una esigua minoranza e non si tratta di persone perbene”. Anche ad aver vissuto nella caverna di Platone, qualcosa dovrebbe esser trapelato sul tracollo rovinoso della Fiorentina a Roma, nonché sulla sua successiva incapacità di segnare un gol all’ultima ed alla penultima della serie A (se si eccettua l’autorete provocata da Zarate col Verona) che le sono valsi due punti in tre partite e la chiusura di qualsiasi discorso di terzo posto e Champion’s League.
Anche ad aver vissuto negli ultimi quindici anni a Casette d’Ete ed essersi fatti vedere a Firenze soltanto sporadicamente per quei novanta minuti che durano le partite e neanche sempre, dovrebbe essere trapelato qualcosa sulla pazienza infinita dei fiorentini, che nel periodo di riferimento sono stati talmente “per bene” da non aver più fatto volare non dicasi un sanpietrino ma neanche un mortaretto, per non urtare la sensibilità dei patron improntata al più algido e britannico fair play (ma di quello del tempo della Regina Vittoria).
Difficile quantificare maggioranze e minoranze, signor Della Valle, ma il numero di quelli che non ne possono più a Firenze non solo di non vincere mai nulla ma nemmeno di provarci ed andarci vicino sospettiamo che sia in crescita poderosa. Che li si voglia chiamare tifosi o clienti, in quanto paganti i fiorentini hanno preso ad intonare qualche coro non proprio beneaugurante. Qualcosa vorrà dire.
La sensazione è che ormai i proprietari di questa società e di questa squadra vivano in una torre isolata dal mondo, o in uno di quei castelli in cui i signori si raccontavano le favole di Giovanni Boccaccio al tempo della Peste Nera, con il ponte levatoio rigorosamente alzato. Tra le favole più apprezzate, quella dello stadio nuovo che tiene banco un giorno sì e un giorno no. Un signore del passato, insignito addirittura del titolo di conte, Ranieri Pontello, ha detto qualche giorno fa che di favola appunto si tratta. Che per vincer non abbisogna appunto costruir cittadelle, ma bensì frugarsi. Lui ne sa qualcosa, e sa anche quanto possono esser “poco per bene” i fiorentini quando si arrabbiano davvero. A Piazza Savonarola si sente ancora il fischio dei cubi di porfido e c’è traccia ancora dei fumogeni della polizia. Per lungo tempo il conte non poté sortir di casa senza scorta di armigeri. Altri tempi.
Altra favola da Decamerone, cioè abbastanza scollacciata, è quella che vuole i signori chiusi nel castello di Casette d’Ete intenti a rimuginare sul capro espiatorio. La Pasqua c’entra ben poco, piuttosto c’entra la necessità di trovar qualcuno su cui scaricare la colpa di tutto, malgrado si sostenga protervamente che in casa viola tutto ha funzionato all’80%. Dove sarebbero adesso Sousa ed i suoi ragazzi con il 100%? In fuga davanti alla Juventus? Benalouane sarebbe convocato come titolare inamovibile dalla Francia di Didier Deschamps? Mammana sarebbe al minimo dello stipendio in tribuna a Buenos Aires, in rotta con il River Plate, per protesta contro il mancato trasferimento alla Fiorentina?
Dicevamo del capro. L’ultimo da sacrificare sarebbe nientemeno che Daniele Prade’, accusato di non essere capace nemmeno di fare la spesa al supermercato con la lista già scritta dalla moglie. Al suo posto, i signori starebbero pensando a riprendere il capro precedente, quel Pantaleo Corvino che dovette fuggire nottetempo la sera che la Juve ne segnò cinque al Franchi, e che si prese le colpe anche per l’apertura della diga di Levane durante l’Alluvione e per i delitti del Mostro. La Fiorentina non ha ancora finito di far plusvalenze con i giocatori da lui ingaggiati, quattro anni dopo. Ma il suo nome finora non si poteva più nominare, mentre da qualche giorno non c’è pagina di giornale su cui non si legga.
Sciocchezze che vengono in testa quando si vive e si fa “imprenditoria” da quindici anni in un ambiente di cui non si è capito sostanzialmente ancora nulla? Oppure sciocchezze che vengono in testa a chi deve riempire pagine di giornale e non sa dove batterla, quella testa? Oppure a chi non sa come passare l’ennesimo fine settimana senza Fiorentina, mannaggia alla Nazionale, almeno Conte ci facesse vedere Bernardeschi in azzurro?
L’ultimo numero dieci viola in azzurro esordì a Rotterdam 42 anni fa. Si chiamava Giancarlo Antognoni, e giocò talmente bene da ricevere i complimenti del numero quattordici avversario, un tizio che si chiamava Johann Cruyff. Se n’è andato ieri a neanche settant’anni, Giovannino. Come se di tristezza in petto non ne avessimo già abbastanza, immersi come siamo in questo calcio che non regala più una gioia, e non solo per colpa dei Della Valle.
A proposito di tristezza, va fuori dal Torneo di Viareggio la Primavera viola, 2-0 dall’Inter senza ammissione di repliche. E così i titoli rimangono zero, ed il settore giovanile non riesce più – al pari della prima squadra – a ritornare agli antichi splendori. L’ultima vittoria viola al Viareggio risale al 1992. In squadra c’era il povero Riccardo Magherini.

E’ una canzone triste, cantava Ivan Graziani, cara la mia Firenze. Buona Pasqua a tutti.

domenica 20 marzo 2016

Sapessi che passione, pareggio a Frosinone

Si chiama onor di firma. E’ un impegno preso sul piano professionale. Ciò che sta mantenendo in campo la Fiorentina in queste ultime giornate, e costringendo dal canto suo il vostro cronista a commentare partite che non meriterebbero nemmeno di essere omologate.
Sgombriamo subito il campo dagli alibi. I cosiddetti propositi di vendetta dei frusinati, covati a partire dal match di andata al Franchi allorché il coach viola Paulo Sousa si permise sul 4-0 di far esordire in serie A il giovane terzo portiere gigliato Luca Lezzerini (gesto inteso dai laziali come gravissima mancanza di rispetto, fortemente antisportivo), alla prova del campo si rivelano per quello che sono: fuffa da giornalisti in crisi creativa, nonché un ennesimo spot per gli aforismi di Tavecchio ed il ritorno alla cara, vecchia serie A a 16 squadre.
Il Frosinone messo in campo oggi da quel Roberto Stellone che radio spogliatoio vuole addirittura in queste ore al centro dell’attenzione del mitico staff dirigenziale dei Della Valle (quello per capirci che parte per comprare un terzino e torna con Benalouane) è una compagine di onesti pedatori, come si diceva una volta. Nel senso che tirano pedate a tutto ciò che si muove, e pazienza se a volte è il pallone.
A fronte di ciò, la Fiorentina oggi scende in campo con diversa gente nei suoi ranghi che non si sa se è più stanca nella testa o nel fisico. E per di più raffazzonata nell’ennesima formazione sbagliata da mister Paulo Sousa (bisognerà contarle prima o poi, cominciano ad essere un numero interessante). A ciò si aggiunga che mandare ad arbitrare la Fiorentina a Frosinone un arbitro iscritto alla sezione di Roma forse non è proprio una genialata. Per la verità, fanno notare, Daniele Doveri sarebbe nato a Volterra. Da come arbitra soprattutto nel primo tempo, va riconsiderato quel detto a proposito dei morti in casa e dei pisani all’uscio.
Scherzi ed alibi a parte, se vi era sembrata mortificante ed inguardabile la prestazione dei beniamini in viola in casa contro il già retrocesso Verona, non avevate ancora visto quella contro il Frosinone a cui per retrocedere anch’egli mancano pochissimi punti. I ragazzi di Stellone fanno di tutto anche oggi per meritarsi la classifica che hanno, ma sapendo che non possono metterla sul piano tecnico né con la Fiorentina né con la maggior parte delle squadre della massima serie, cercano di metterla su quello fisico se non addirittura su quello della rissa.
Rispetto all’andata, la Fiorentina è ormai una squadra che aspetta la fine della stagione, il fischio finale dell’ultima partita, il rompete le righe che forse per qualcuno sarà addirittura un addio. A cominciare evidentemente dal tecnico, che avrà tutte le ragioni di questo mondo ad essere insoddisfatto della società che lo stipendia (ma raramente lo supporta, al di là dei discorsi padronali che lasciano sempre il tempo peggio di come lo trovano) ma che da un po’ non indovina più una formazione che una, e in compenso ultimamente sbaglia anche i cambi.
Kalinic punta unica ormai è un must, anche se è chiaro che il croato (che non è più quello di inizio stagione e che comunque forse era stato un po’ sopravvalutato) da solo non può fare reparto, al massimo può fare da catalizzatore di tutte le pedate avversarie. Quello che credevamo essere ormai un must positivo (avallato nientepopodimeno che da Antonio Conte in funzione dell’Europeo imminente) era Bernardeschi centrale e/o trequartista. Invece rieccoti Ilicic, con Il Berna di nuovo confinato a destra e Tello di nuovo confinato in panchina.
Centrocampo BorjaBadelj e Vecino, con dietro una difesa a tre può significare in questo momento non una ma ben due linee da prendere di infilata per avversari magari un po’ scarsi ma tuttavia volenterosi, quasi assatanati come questi padroni di casa all’ultima spiaggia. Succede poche volte, ma quando succede i pali della porta di Ciprian Tatarusanu (più attento del solito, va ringraziato non poco nella circostanza) tremano, e probabilmente a quest’ora non hanno ancora smesso.
Alonso non sfonda a sinistra, Bernardeschi è raddoppiato a destra. Con le buone o con le cattive i vari Ciofani, Ajeti, Blanchard costringono i viola al flipper del giropalla sterile che va a sbattere o sugli arcigni terzini o sugli ostici centrali frusinati, che poi ripartono in velocità o almeno ci provano. Fino al 44’ del primo tempo le poche occasioni toccano semmai ai padroni di casa, tutte o quasi sprecate dal tedesco Kragl. A un minuto dal fischio del riposo, Kalinic finalmente buca la difesa canarina e tira a botta sicura, ma Blanchard inizia la sua serie di interventi kamikaze che salvano il collega Leali dal dover compiere tra i pali interventi complicati.
Un minuto dopo, la sagra delle castronerie viola. Comicia Kalinic centrando il palo, sul rimpallo un Borja Valero tra i peggiori mai visti prima ciabatta sul portiere, poi da mezzo metro dalla riga di porta stampa il pallone sulla traversa, in perfetto stile Crepaldi anni settanta. Sull’ultima occasione che la dea bendata offrirebbe alla Fiorentina ancora in ribattuta, libera l’area del Frosinone Kalinic che sparacchia fuori.
Non è giornata? Forse non è più stagione. La Fiorentina torna in campo intonsa per la ripresa. Forse Sousa crede che il passare dei minuti gli darà ragione, trasformando una formazione cervellotica in una che farà un sol boccone degli avversari, al venir meno della loro foga. Accade invece che siano i canarini laziali a metterla fisicamente alle corde. Per dieci minuti la squadra gigliata quasi non la becca. Poi quando si sveglia dallo stato confusionale, ricomincia a sbagliare occasioni facendo del portierino Nicola Leali il Mattia Perin della situazione.
La parata su Bernardeschi non è facile, quella sulla testata di Vecino agevolata dal fatto che il buon Matìas ha tante doti, ma la porta non la vede proprio, né di piede né di testa. Ancora Blanchard si immola su Bernardeschi. Poco dopo è Badelj a ribadire la sua idiosincrasia al tiro in porta ed al gol.
La palla non vuole entrare, bisogna inventarsi qualcosa per approfittare del pareggio di Roma e dare ancora speranze ed illusioni a chi predica a proposito di zona Champion’s. E che ti inventa il buon Paulo Sousa? Ha un talento appena entrato nel giro della Nazionale che cerca da solo di tenere viva ed attuale la qualifica di attacco per un reparto viola che ultimamente ha la stessa prolificità dei muli? E lui lo toglie. E’ vero che mette Tello, ma non per sommare talento e gioventù a talento e gioventù. Bensì per affiancarlo ad un Ilicic che peggio non si può. Capace soltanto per tutta la partita di tentare una francamente stucchevole mezza veronica a vantaggio di un compagno che non c’é. Che anche i muri avrebbero capito da un pezzo che non c’é.
Va a finire che nel marasma ascrivibile al gioco viola anche lo spagnolino del Barcellona fa naufragio, cercando quelle penetrazioni in solitario su cui si è già dannato l’anima Bernardeschi e rarissimamente trovando spazio, mai collaborazione dei compagni. Entra anche Zarate per Badelj, e va bene che l’argentino è un funambolo ma a quel punto il Frosinone ha ripreso le misure ad una Fiorentina stanca, scorata, arruffona, inguardabile e ingiocabile. Maurito ha a disposizione un'unica occasione, su calcio di punizione, e la spreca malamente come già Alonso al primo minuto. Nel mezzo, una tra le più brutte e inutili partite della storia viola.
Infine, in zona Cesarini, anzi zona Babacar, ecco appunto il senegalese rilevare vivaddio ilicic. A quel punto della squadra che era stata per quasi due mesi in testa alla classifica non rimane più niente. Nemmeno di quella che almeno aveva fatto a pallonate con la quasi retrocessa formazione di casa. Babacar neanche si accende, quasi a non disturbare gli spenti compagni. Nel frattempo, due occasioni per gli avversari abbastanza clamorose, una girata di Tonev e una traversa di Kragl, tolgono a Sousa & C. anche la voglia di recriminare.
Il pareggio a reti inviolate della prima squadra a Frosinone serve più o meno quanto quello della Primavera a Viareggio contro l’Ajuba. La sensazione è che rimandi di un altro po’ l’agonia. E’ vero, c’è la sosta pasquale. Ma questa Fiorentina non ha più fiato, voglia, idee, gioco, testa, guida. Sta aspettando qualcosa, probabilmente di chiudere questa stagione senza altri danni e andare in vacanze a ritemprarsi. In vista di un’altra stagione, con gli stessi obbiettivi. O perlomeno, ognuno giudichi se questi sono obbiettivi.
In città si fa di nuovo un gran parlare di stadi nuovi e grandi progetti. Era una parola cara a questa proprietà una volta: progetti. Sarà bene tornare a farne, e di seri. Così non si uccidono soltanto i cavalli, ma anche la passione di una intera città. Che era famosa per averne da vendere.

venerdì 18 marzo 2016

VIOLA NELLA TESTA E NEL CUORE: Lo dice pure Pep Guardiola



Dai, picchia e mena, venne il giorno della prima azione legale vinta dalla Fiorentina. E’ soltanto un ricorso, non una vera e propria causa, ma fa epoca. Finora i principi del Foro assoldati dai Della Valle non ne avevano azzeccata una. Da oggi, i titoli restano sempre zero, ma le sentenze passano a una.
Succede che la Virtus Entella stracci sul campo la Fiorentina Primavera al Torneo di Viareggio, praticamente eliminandola al primo turno (complimenti tra l’altro allo staff tecnico che ha allineato un settore giovanile fin troppo promettente alla prima squadra, se non nello spessore tecnico almeno nei risultati). Peccato che si dimentichi che i fuoriquota possono essere non più di quattro (che sono già tanti) e ne schiera uno di troppo, Luca Oneto.
Successe anche alla Fiorentina, nell’ormai lontano 1977. In Coppa UEFA contro lo Schalke 04 nessuno nella società allora di proprietà del compianto Ugolino Ugolini si ricordò che Gianfranco Casarsa era squalificato e non poteva scendere in campo. Risultato, 3-0 a tavolino per i tedeschi e Fiorentina sempre più a fondo nell’annata che si concluse con la salvezza all’ultimo tuffo di Sella & C.
Stavolta è la società ligure con sede a Chiavari a fare la figura della sprovveduta, e la società viola a beneficiare di una sentenza ineccepibile a termini di regolamento, che le regala tuttavia un’ancora di salvataggio al prestigioso torneo giovanile e le evita un’ulteriore figuraccia di cui a questo punto di una stagione che si sta complicando a vista d’occhio nessuno sentiva il bisogno.
La Fiorentina squadra va avanti (forse) a Viareggio, mentre la Fiorentina società festeggia un successo. Certo, è di carta bollata. Certo, la Virtus Entella non è la Roma né il Chelsea, che hanno sicuramente dirigenti e avvocati migliori. Attorno ad Oneto, con tutto il rispetto, ballano indubbiamente tanti meno soldi che attorno a Salah o Llajic. E una società fin troppo propensa a litigare con l’universo mondo (del calcio e non) e a trasferire in tribunale i propri litigi prima o poi per la legge dei grandi numeri una ragione se la doveva pur veder riconoscere.
Resta tuttavia anche in questa circostanza un qualche retrogusto di amaro in bocca. Diciamo la verità, questa Fiorentina dei Della Valle diventata improvvisamente crepuscolare fa poca simpatia. Ne faceva poca, dal 2005 in poi, fuori di Firenze. Comincia a farne meno anche tra i propri stessi tifosi. Abbiamo appena finito di dire ai tifosi juventini intristiti dalla eliminazione in Champion’s che ha ragione Guardiola, tecnico del Bayern: “"Quando si perde si stringe la mano alla squadra che ha vinto e si va a casa". Ecco, sciocchezza regolamentare a parte, fa più simpatia l’Entella che la sua vittoria sul campo se l’era meritata (2-0 senza discussioni) della Fiorentina che per una volta è stata consigliata bene dai suoi addetti alla carta bollata.
Nel frattempo, la sentenza sul caso Salah si allontana a distanza di binocolo, com’era prevedibile. In compenso pare che si avvicini la causa a proposito del caso Benalouane. Figurarsi se a Viale Manfredo fanti non avrebbero condito un ennesimo figurone di calciomercato con una consulenza -sicuramente interessata - di qualcuno dei soliti principi del solito Foro che spinge per nuova carta, sempre rigorosamente bollata. E via, verso nuove avventure.
Il popolo viola si interroga sul perché la proprietà Della Valle si ostini a tenere alle proprie dipendenze uno staff dirigenziale capace di “cannare” in maniera così plateale le scelte di mercato (per di più quando sei in testa al campionato e senti che la coperta si accorcia e non ti protegge più dal freddo che fa lassù, secondo la celebre definizione del Trap). Ma il popolo viola, che una volta le risposte se le dava da solo, magari celebrandole in Viale dei Mille o in Piazza Savonarola con kermesse di popolo assai partecipate e rumorose, adesso attende lumi da una stampa che ne sa meno di lui ma che in compenso ha interesse che il sistema “si tenga”.
Le risposte sarebbero semplici. Non è Prade’ il colpevole come non era Corvino. Se tu compri un giocatore rotto a poche ore dalla fine del calciomercato e poi ti difendi dicendo che non avevi tempo di fare le visite mediche, o sei un pressappochista (ma allora non sei quel Daniele Prade’ che ha salvato per anni la Roma di Sensi dal tracollo fiscale e finanziario consentendole di restare ai massimi vertici del calcio italiano) o stai cercando di coprire i tuoi datori di lavoro, per ovvi e reciproci motivi. Parafrasando Enrico IV, Firenze val bene una figura a bischero.
I responsabili della pessima gestione viola hanno nomi e cognomi ben precisi: Diego e Andrea della Valle. Tutto il resto è aria fritta in pasto al popolo. Viola.

domenica 13 marzo 2016

C'era una volta la Fiorentina

Per la Fiorentina contro il Verona al Franchi comincia un nuovo campionato. Tramontate le ambizioni, o forse è meglio dire le illusioni, di squadra, tecnico e tifosi di disputare un campionato tanto per cambiare di vertice, si ritorna alla consueta rincorsa ad un quarto posto che è come uno scudetto o una Champion’s di corviniana memoria e dellavalliana intenzione. Non è un caso che in tribuna ci sia Andrea Della Valle, tornato ad assistere alle prestazioni della propria squadra con una certa assiduità non appena svanito l’ultimo obbiettivo di una stagione che sembrava averne diversi.
Gli scaligeri di Luigi Del Neri sembrano l’avversario ideale per consentire alla banda viola di riprendersi dalla batosta di Roma e di riavviare un discorso vincente dopo la lunga sosta, quasi come quelle imposte dalla Federazione allorché gioca la Nazionale. Qualcuno lo definisce un testa-coda. In realtà la Fiorentina della testa ormai si è scordata, ed il Verona per quanto praticamente retrocesso non ha nessuna voglia di restare in coda.
La sosta in ogni caso è servita, almeno Borja Valero è recuperato alla causa e scende in campo. Per il resto la formazione consegnata da Paulo Sousa al direttore di gara è uno tsunami. I bene informati di calcio lo definiscono un 3-4-2-1. Alla prova dei fatti, sarà un gran casino, con rispetto parlando. Gonzalo si siede in panchina, finora le ha giocate tutte e merita di tirare il fiato. Quale occasione migliore? Il guaio è che Astori da solo non può reggere la baracca, coadiuvato da un Tomovic che alla prima pedata gialloblu deve lasciare il campo con una brutta distorsione al ginocchio (al suo posto un impeccabile Roncaglia, ma era il minimo sindacale oggi) e Pasqual. Sulle fasce Alonso e Tello, al centro Tino Costa e Borja Valero. Dietro Babacar, per la prima volta titolare dal primo minuto, Mati Fernandez e Mauro Zarate, che ha scontato la squalifica.
Dall’altra parte c’è un Verona che non ha intenzione di far regali alla “gemella”. Con due ex vogliosi di mettersi in mostra al Franchi (Toni e Rebic, nella ripresa con Pazzini saliranno a tre) e un catenaccio a orologeria di quelli che Del neri è maestro ad organizzare, il fanalino di coda pressa alto una Fiorentina che non ha portato sul campo tutta la testa e la voglia che servirebbe.
Per quaranta minuti circa, i viola più che azioni imbastiscono velleità. Difficile dire chi è il peggiore, mentre il pensiero corre inevitabilmente all’ultimo anno di Prandelli, naufragato sotto diciassette sconfitte di cui molte maturate dopo l’uscita dalla Coppa europea. O a certe partite degli anni settanta trascorse a registrare strafalcioni e castronerie, Antognoni a parte (che oggi non c’è). O a un paio di Fiorentina – Verona che – fatte le debite proporzioni in un senso o nell’altro – aprirono ufficialmente altre crisi. Nel 1978 il terribile campionato concluso con una salvezza disperata dai ragazzi di Beppe Chiappella cominciò proprio da una partita così, in casa con l’Hellas. Nel 1983, quello che doveva essere il campionato della rivincita dopo la beffa di Cagliari e lo scudetto alla Juve al fotofinish naufragò ufficialmente con il pareggio casalingo all’ultimo minuto di Passarella & C. proprio contro gli scaligeri e la prima contestazione aperta alla presidenza Pontello.
Non sembra il caso di oggi, onestamente, ma la Fiorentina gioca talmente male e senza costrutto che in qualche modo bisogna pur occupare la mente, durante un primo tempo inguardabile. Fino al quarantesimo, quando gli unici due che hanno unito ad un considerevole impegno qualche sprazzo di buona tecnica la portano immeritatamente in vantaggio. Parte Tello sulla destra e superato il marcatore va sul fondo e mette in mezzo. A centro area arriva Zarate che la piazza, e con la deviazione decisiva del difensore Bianchetti spiazza il portiere Gollini.
Nella ripresa, di nuovo il nulla. Interrotto dal pressing sempre più alto di Toni & C., con tentativi di break veronese che si fanno sempre più pericolosi. Babacar infama l’unica azione fiorentina degna del nome di “pericolosa” con un aborto di pallonetto che probabilmente ottiene solo di spingere Sousa ad affrettare il cambio con Kalinic. Dall’altra parte Astori salva alla disperata su Rebic che batte quasi a colpo sicuro.
Bernardeschi rileva un Tino Costa che ha sollevato enormi perplessità, e si mette a giocare da Bernardeschi. Ma la squadra nel suo complesso c’è sempre meno, sia di testa che di fisico. La sensazione è che i viola stiano mollando. A cinque minuti dalla fine, aggrappati ad un 1-0 che pare sempre più striminzito nonostante la pochezza dell’avversario, i gigliati provano a fotocopiare il gol del vantaggio rispedendo sul fondo il solito Tello. Stavolta Helander devia in calcio d’angolo, anziché nella propria porta.
Sull’azione conseguente a calcio d’angolo malamente battuto come di consueto, è il Verona a guadagnarsi un corner.  Ed è la Fiorentina a ripetere la distrazione difensiva apprezzata – si fa per dire – tante volte a prescindere dai titolari in campo. Sembra uno schema, invertendo l’ordine dei difensori il prodotto non cambia. Il portiere (il pur bravo Tatarusanu che ha parato poco prima un insidioso calcio di punizione di Marrone) rimane tra i pali, il difensore non salta, l’attaccante invece ha tutto il tempo di saltare e freddare le speranze fiorentine. Stavolta tocca ad Eros Pisano, probabilmente il gol più facile della sua carriera.
Nel recupero, Siligardi sfiora il palo viola e Kalinic costringe Gollini ad una gran parata. E’ tardi per sognare ancora. La Roma vittoriosa ad Udine si allontana sempre di più. L’Inter si riaffianca e anche il Milan ormai è a -6. Ma soprattutto, i ragazzi in viola che escono dal campo accompagnati dal coro irridente dei tifosi che cantano “vinceremo il tricolor” e sotto lo sguardo fisso nel vuoto del loro proprietario sembrano un gruppo di atleti che sta andando “in rottura”, come si dice in gergo.
E’ tardi per chiedere un intervento della società, se non di tipo scaramantico. Andrea della Valle, se Lei volesse prendere in considerazione l’eventualità di riassentarsi dal Franchi tornando in sciopero, forse male non farebbe. Con Lei allo stadio, la Fiorentina ha raccattato poco o nulla. E in generale in questo 2016 la sua presenza è servita a ben poco, ce lo lasci dire.

Per il resto, la sensazione è che ci sia poco da fare. Paulo Sousa le ha tentate tutte, e tra un po’ mancherà anche il numero legale per scendere in campo. Ma il mister portoghese appare egli stesso scoraggiato, incapace perfino di arrabbiarsi. O forse sa già che questa Europa League come uno scudetto o una Champion’s, se alla fine arriverà, non sarà lui a giocarsela l’anno prossimo.

lunedì 7 marzo 2016

Quarto posto? No, grazie

Adesso che è stato raggiunto l’obbiettivo stagionale, quarto posto e fuori dalle insidiosissime coppe, è il momento di stilare un primo bilancio. Per i brindisi rimandiamo alla matematica certezza, il Milan il suo lo sta facendo, l’Inter recalcitra, sullo sfondo si staglia inquietante l’ombra del Sassuolo.
Bilanci, si diceva. Scongiurate le eventualità di scudetto e zona Champion’s – a causa delle quali tra Casette d’Ete e Viale Manfredo Fanti sono stati trascorsi mesi angoscianti tra la vittoria inattesa di San Siro sponda Inter (con quattro gol poi, e che siamo la Roma?) e l’altrettanto improvvida incocciata di Babacar (che infatti è stato ritolto subito di squadra) al ritorno al Franchi – siamo approdati alle acque sicure di una zona Europa League che per la ACF Fiorentina è un po’ come la pelle di certe parti del nostro corpo che qui non si può nominare, perché siamo in fascia protetta.
Come dice il ragionier Cognigni, le Coppe costano. Una cifra. Non parliamo della Champion’s, intanto ci sono da comprare i giocatori, altrimenti fai come la Sampdoria, il Chievo, l’Udinese. O le stesse Roma e Lazio. Ne prendi sette all’andata e sette al ritorno, e magari sei solo ai preliminari. Lasciamo fare che è meglio, poi ci sono le trasferte, bisogna portarsi dietro più gente del Circo Medrano in tournée. Una nottata a Londra o Parigi ti butta fuori dai parametri Co.Vi.Soc. Poi stai a vedere che non ti bastano i soldi per comprare un altro 10% dei magazzini Lafayette o del New York Times, ma che si scherza per davvero?
Anche questa Europa League, che stress! Tocca pagare stipendi a più di undici giocatori, saltano tutte le plusvalenze perché magari qualcuno si fa male. Duri fatica a liberarti di uno Yakovenko e a gennaio ti tocca prendere un Benalouane, e si ricomincia. Non c’è mica più Corvino che faceva il gioco delle Tre Carte: quarto posto, primo posto, dov’è lo scudetto, dov’è la Europa League? Fate la vostra puntata, signore e signori!!!
Date retta al Cognigni: noi li rimpiangeremo, belli senz’anima. O al Giani: di meglio a Firenze non c’é. Nel frattempo pensiamo a consolidare questo quarto posto conquistato a fatica (a novembre eravamo primi, ore drammatiche, meglio non ripensarci). Mancano dieci partite. Tolte le due rimaste con squadre nominalmente in lotta per le zone alte (la Juventus, che nel frattempo ci ha preso la sua sbarrocciata di punti di vantaggio anche quest’anno, ed il terrificante Sassuolo che ha avuto ragione perfino del grande Milan risorto nel trentennale di Berlusconi), ci sono una fila di incontri con le provinciali che non promettono niente di buono, se non a chi gioca troppo alla playstation.
Ad Empoli ci aspetta una città che gioca la consueta partita della vita, dopo aver concesso splendidi fine settimana con gadgets e comodo pernotto a tutte le nostre concorrenti dirette. A Frosinone vendetta tremenda vendetta, non si sa di che, ma vogliono vendicarsi. La Sampdoria dell’ex Montella, e che non gli vogliamo negare il giorno della rivincita anche a lui ed anche qui a prezzi di favore? L’Udinese è l’Udinese, ce l’ha nello statuto societario di romperci le scatole. Più in là, fare pronostici è come stare dietro alle previsioni meteo del LaMMa Regione Toscana. Se va bene, lascia il tempo che trova.
Tutto ciò, con un centrocampo ricoverato al CTO e una difesa i cui rincalzi presi a gennaio non si sa nemmeno se hanno fatto ancora le visite mediche. La società convoca Paulo Sousa in sede per fare il punto della situazione. Crediamo che non gli verrà detto in nessun caso di cercarsi un’altra squadra, come successe a Prandelli. Ci sarebbe il rischio che gli risponda: “non ho aspettato che me lo diceste voi per farlo”.
Nel frattempo Paulo Sousa non sa chi convocare contro il Verona. E poi ci viene detto che gufiamo. Tutt’altro, abbiamo recentemente parlato con un gufo, abbonato in Maratona fin dall’anno di grazia 2002. Ha detto che se le cose seguitano ad andare avanti così, l’anno prossimo l’abbonamento non lo rinnova.

S’è scocciato anche lui. Per tutto il resto basta Cognigni.