È il 13
giugno 2001 quando Manuel Rui Costa alza al cielo la Coppa Italia. Esplode la
gioia di giocatori e tifosi sull’erba del Franchi, per un trionfo sofferto e
voluto. Nessuno può immaginare in quel momento che sarà l’ultimo e che, all’incirca
un anno dopo, a Firenze la gente viola starà a trepidare per ben altra
questione: la possibilità di non avere più una squadra di calcio.
Dodici anni.
Tanto tempo è passato da quando in Piazza Savonarola andò tutto in pezzi. Da
quando la Città di Firenze perse una delle sue istituzioni più importanti, più
caratterizzanti l’essere fiorentini, insieme al Calcio Storico, alla Festa del
Grillo, allo Scoppio del Carro, alla Rificolona. Da quando morì l’A.C.
Fiorentina. Sembrava, e sembra ancora oggi, decisamente impossibile.
La società
fondata nel 1926 dal marchese Luigi Ridolfi, la squadra dalle maglie viola,
ormai faceva e fa parte della città in modo indissolubile. Vederla sparire fu
come trovarsi al Piazzale Michelangelo e vedersi togliere all’improvviso la
vista di uno dei monumenti famosi in tutto il mondo e che costituiscono nel
loro complesso il colpo d’occhio che tutti associamo a Firenze. Levate il
Campanile di Giotto, o la Cupola del Brunelleschi, e cambia tutto. Levate la
Fiorentina, levate la bandiera viola sulla Torre di Maratona dello stadio di
Luigi Nervi, e niente sarà più come prima.
Eppure
accadde. Dodici anni fa. Era un luglio molto caldo, la squadra era reduce da
una delle stagioni più disastrose, finita con la retrocessione nella serie
cadetta, la discussa proprietà della famiglia Cecchi Gori volgeva al termine
tra debiti e lotte politico-economiche nazionali e locali. Ma i tifosi viola,
abituati da sempre a soffrire, ne avevano viste così tante da non poter credere
che anche questa crisi sarebbe stata superata.
E allora, si
diceva, alla Roma, alla Lazio, al Parma, al Napoli cosa dovrebbero fare? Alla
fine ci salveranno…. Non andò così. Il Palazzo, che non ci aveva mai amato
particolarmente, quella volta non si inventò niente per salvarci. Nei giorni
compresi tra la fine di luglio e la metà di agosto 2002 si consumò a Firenze
uno psicodramma incredibile. Una sera si andò a letto senza più avere una squadra
di calcio, la “nostra squadra del cuore”, due o tre giorni dopo ci si svegliò
leggendo sul giornale che il Comune, applicando una norma fino ad allora
sconosciuta del diritto sportivo e societario, aveva recuperato dalla defunta
A.C. Fiorentina il “titolo sportivo” e l’aveva consegnato nelle mani di un
industriale marchigiano fino ad allora quasi sconosciuto, Diego Della Valle,
patron della Tod’s.
I retroscena
di questa vicenda, dal fallimento Cecchi Gori all’avvento di Mister Tod’s, sono
tutt’ora oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori e i tifosi. Quello
che è certo è che da una morte certa a una resurrezione che definire miracolosa
è poco il passo fu brevissimo, e nell’agosto 2002 prese il via un’epopea che
almeno per i primi sette-otto anni portò la Fiorentina rinata (o Florentia Viola, come si chiamò
inizialmente) sulle prime pagine di tutti i giornali, non solo sportivi, e i
suoi proprietari a una notorietà indiscussa, non solo per i risultati ottenuti
ma anche per alcune iniziative decisamente dirompenti rispetto a un mondo del
calcio decisamente fin troppo tradizionalista.
I guai per la
Fiorentina non erano certo finiti, come la vicenda di Calciopoli si incaricò di
dimostrare ben presto, ma la più grave crisi della sua storia fu brillantemente
superata. Nessuno, fuori di Firenze, aveva dato una mano alla Fiorentina. E
tuttavia la Fiorentina era risorta.
Questa è la
storia di quei giorni che sconvolsero
Firenze. La storia di questi anni che hanno cambiato per sempre la Fiorentina.
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