lunedì 1 febbraio 2016

I dieci giorni che sconvolsero la Fiorentina: 7) Una stagione "faticosissima"

Serie A! La gente a Firenze riassapora per tutta l’estate del 2004 il gusto di queste due parole sul palato. Una volta era semplicemente “quanto ci competeva”, adesso è un qualcosa di prezioso, da conservare con cura nella cassaforte dei gioielli preziosi.
Si era visto solo due anni prima quanto ci vuole a perderla, e anche in maniera apparentemente irreparabile. Rimane in tutti, insieme al gusto del miracolo appena compiutosi, la sensazione della precarietà del nostro “essere viola” ai vertici del calcio italiano, dopo il fallimento.
E questo è qualcosa che segnerà il rapporto della tifoseria con i Della Valle per gli anni a venire. “Se vanno via, si fallisce di novo” è un mantra che ben presto risuonerà in tutte le sedi dove si parla di Fiorentina, quando i tempi difficili ritorneranno, e in maniera imprevedibile. Ma per il momento, ci si gode solo il presente.
Per la massima serie, si allestisce una squadra apparentemente forte, in joint-venture con la Juventus di Luciano Moggi. Arrivano Chiellini, Maresca e Miccoli, tre giocatori che a Torino non trovano spazio, ma che sembrano più che adeguati per l’organico della neo-promossa squadra viola.
Qualcuno storce il naso per il fatto che si fanno affari con gli odiati bianconeri, qualcun altro sottolinea che ultimamente da quella sponda ci sono arrivati solo fior di campioni, da Cuccureddu e Gentile fino a Torricelli e al mai troppo ringraziato Angelo Di Livio. Per cui non è il caso di fare troppo gli schizzinosi. Dal Perugia sconfitto arriva Obodo, e pare un altro bell’acquisto. Completano il quadro due campioni, quali Tomas Ujifalusi dall’Amburgo e Martin Jorgensen dall’Udinese.
Sul fronte societario, la Fiorentina arriva nella massima serie con la sensazione di poter dire la sua anche i termini “politici”. Diego della Valle è nello stesso tempo profondamente estraneo al mondo del calcio e alla sua gestione “bizantina” da parte di una Federcalcio e di una Lega più vecchie della Prima Repubblica, e animato dalla voglia di fare grandi cose anche in questo nuovo settore in cui si è impegnato. Di lasciare insomma un segno suo, brevettando un marchio altrettanto brillante di quello della Tod’s.
Così, la prima volta che si presenta ad una riunione di Lega, al cospetto dei signori del calcio italiano, lungi da patire alcun timore reverenziale per i suoi colleghi più navigati, e in qualche caso più famosi e potenti di lui, parte in quarta dichiarando senza mezzi termini che quel mondo lì è da moralizzare profondamente con nuove regole e nuovo fair play, e che le risorse finanziarie devono essere redistribuite negoziando nuovi contratti con Federazione e televisioni.
E’ un gesto coraggioso ed ammirevole, che gli vale il plauso di tutti i tifosi viola, in quel momento, e l’unanime rigetto da parte dei colleghi, che da quel momento lo vedranno come un corpo estraneo da isolare ed espellere prima possibile. O quantomeno da ridimensionare.
A novembre, il Milan di Berlusconi ne da sei a zero alla Fiorentina sembrando voler infierire e ricordare agli ultimi arrivati “chi è che comanda”. Poi ci pensa il Palazzo a fare il resto, mandando alle partite della Fiorentina arbitri che non si trovano al meglio della propria condizione.
Il 18 dicembre ci sono anche importanti cambiamenti nella struttura societaria: Andrea Della Valle viene diventa Presidente della Fiorentina al posto di Gino Salica che resta consigliere, Sandro Mencucci e Mario Cognigni sono nominati Amministratori Delegati.
A Natale, la Fiorentina è di nuovo nei guai. Salta prima Mondonico, poi Sergio Buso, alla fine viene chiamato Dino Zoff. In più, a gennaio arriva dal Lecce il gioiellino del momento, Valery Bojinov, pagato a peso d’oro ad un abile DS di cui i tifosi viola sentiranno riparlare, Pantaleo Corvino. Dall’Atalanta n ragazzo toscano di belle speranze, Giampaolo Pazzini.
I risultati non cambiano, gli arbitraggi nemmeno, e dopo poco perfino il flemmatico Dino Zoff dice apertamente di avere “cattivi pensieri”. A poche giornate dalla fine, sembra di nuovo che per salvare la Fiorentina ci sia bisogno dell’intervento esterno di un miracolo. E qualcosa succede.
Come è sempre stata prassi nel calcio italiano, qualcuno in Viale Manfredo Fanti alza il telefono per chiamare la Federazione e chiedere spiegazioni. Atto dovuto, dirà qualcuno, magari si fossero decisi prima. Prassi deleteria, vizio antico del nostro calcio, anche se lo fanno tutti, diranno altri. Fatto sta che alle telefonate seguono incontri, faccia a faccia, chiarimenti.
Difficile dire la ricaduta di tutto ciò, perché dopo una vittoria a Chievo con uno dei pochi gol del deludente Bojinov, segue un pari a Roma con la Lazio frutto di un mani in area biancoceleste di Zauri secondo solo alla “mano de diòs” di Maradona per platealità. Ma l’arbitro, una volta di più, è una statua di sale.
All’ultima giornata, a un disperato Zoff e a dei disperati tifosi viola accorsi al Franchi a soffrire una volta di più, una mano la dà il calendario, che ci offre il non trascendentale Brescia dell’ex Cavasin, mentre le dirette concorrenti vanno a giocarsi impegni più difficili, e Lecce e Parma danno vita ad uno “spettacolare” 3-3 che viene da subito chiacchierato anche per l’atteggiamento apertamente ironico del tecnico Zeman. Retrocede alla fine il Bologna del presidente Gazzoni Frascara, che da subito lamenterà il malcostume delle telefonate ed anche alcuni favoritismi fatti ad altre squadre, tra cui la Fiorentina.
Siamo salvi, ma ci si risveglia in un “mondo difficile”. Le iniziative di fair play di Della Valle gli valgono buona stampa e applausi tra la gente, ma molto astio nella “stanza dei bottoni”. Pare incrinarsi anche il “feeling” con la Juve di Moggi, in estate, per la questione del prestito di Miccoli, Maresca e Chiellini, che tornano alla casa madre. C’è da rifare dunque la squadra, una volta di più.

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