Serie A! La gente a Firenze
riassapora per tutta l’estate del 2004 il gusto di queste due parole sul
palato. Una volta era semplicemente “quanto ci competeva”, adesso è un qualcosa
di prezioso, da conservare con cura nella cassaforte dei gioielli preziosi.
Si era visto solo due anni prima
quanto ci vuole a perderla, e anche in maniera apparentemente irreparabile.
Rimane in tutti, insieme al gusto del miracolo appena compiutosi, la sensazione
della precarietà del nostro “essere viola” ai vertici del calcio italiano, dopo
il fallimento.
E questo è qualcosa che segnerà
il rapporto della tifoseria con i Della Valle per gli anni a venire. “Se vanno via, si fallisce di novo” è un
mantra che ben presto risuonerà in tutte le sedi dove si parla di Fiorentina,
quando i tempi difficili ritorneranno, e in maniera imprevedibile. Ma per il momento,
ci si gode solo il presente.
Per la massima serie, si
allestisce una squadra apparentemente forte, in joint-venture con la Juventus
di Luciano Moggi. Arrivano Chiellini, Maresca e Miccoli, tre giocatori che a
Torino non trovano spazio, ma che sembrano più che adeguati per l’organico
della neo-promossa squadra viola.
Qualcuno storce il naso per il
fatto che si fanno affari con gli odiati bianconeri, qualcun altro sottolinea
che ultimamente da quella sponda ci sono arrivati solo fior di campioni, da
Cuccureddu e Gentile fino a Torricelli e al mai troppo ringraziato Angelo Di
Livio. Per cui non è il caso di fare troppo gli schizzinosi. Dal Perugia
sconfitto arriva Obodo, e pare un altro bell’acquisto. Completano il quadro due
campioni, quali Tomas Ujifalusi dall’Amburgo e Martin Jorgensen dall’Udinese.
Sul fronte societario, la
Fiorentina arriva nella massima serie con la sensazione di poter dire la sua anche
i termini “politici”. Diego della Valle è nello stesso tempo profondamente
estraneo al mondo del calcio e alla sua gestione “bizantina” da parte di una
Federcalcio e di una Lega più vecchie della Prima Repubblica, e animato dalla
voglia di fare grandi cose anche in questo nuovo settore in cui si è impegnato.
Di lasciare insomma un segno suo, brevettando un marchio altrettanto brillante
di quello della Tod’s.
Così, la prima volta che si
presenta ad una riunione di Lega, al cospetto dei signori del calcio italiano,
lungi da patire alcun timore reverenziale per i suoi colleghi più navigati, e
in qualche caso più famosi e potenti di lui, parte in quarta dichiarando senza
mezzi termini che quel mondo lì è da moralizzare profondamente con nuove regole
e nuovo fair play, e che le risorse finanziarie devono essere redistribuite
negoziando nuovi contratti con Federazione e televisioni.
E’ un gesto coraggioso ed
ammirevole, che gli vale il plauso di tutti i tifosi viola, in quel momento, e
l’unanime rigetto da parte dei colleghi, che da quel momento lo vedranno come
un corpo estraneo da isolare ed espellere prima possibile. O quantomeno da
ridimensionare.
A novembre, il Milan di
Berlusconi ne da sei a zero alla Fiorentina sembrando voler infierire e ricordare
agli ultimi arrivati “chi è che comanda”. Poi ci pensa il Palazzo a fare il
resto, mandando alle partite della Fiorentina arbitri che non si trovano al
meglio della propria condizione.
Il 18 dicembre ci sono anche
importanti cambiamenti nella struttura societaria: Andrea Della Valle viene
diventa Presidente della Fiorentina al posto di Gino Salica che resta consigliere,
Sandro Mencucci e Mario Cognigni sono nominati Amministratori Delegati.
A Natale, la Fiorentina è di
nuovo nei guai. Salta prima Mondonico, poi Sergio Buso, alla fine viene
chiamato Dino Zoff. In più, a gennaio arriva dal Lecce il gioiellino del
momento, Valery Bojinov, pagato a peso d’oro ad un abile DS di cui i tifosi
viola sentiranno riparlare, Pantaleo Corvino. Dall’Atalanta n ragazzo toscano
di belle speranze, Giampaolo Pazzini.
I risultati non cambiano, gli
arbitraggi nemmeno, e dopo poco perfino il flemmatico Dino Zoff dice
apertamente di avere “cattivi pensieri”. A poche giornate dalla fine, sembra di
nuovo che per salvare la Fiorentina ci sia bisogno dell’intervento esterno di
un miracolo. E qualcosa succede.
Come è sempre stata prassi nel
calcio italiano, qualcuno in Viale Manfredo Fanti alza il telefono per chiamare
la Federazione e chiedere spiegazioni. Atto dovuto, dirà qualcuno, magari si
fossero decisi prima. Prassi deleteria, vizio antico del nostro calcio, anche
se lo fanno tutti, diranno altri. Fatto sta che alle telefonate seguono
incontri, faccia a faccia, chiarimenti.
Difficile dire la ricaduta di
tutto ciò, perché dopo una vittoria a Chievo con uno dei pochi gol del deludente
Bojinov, segue un pari a Roma con la Lazio frutto di un mani in area
biancoceleste di Zauri secondo solo alla “mano de diòs” di Maradona per
platealità. Ma l’arbitro, una volta di più, è una statua di sale.
All’ultima giornata, a un
disperato Zoff e a dei disperati tifosi viola accorsi al Franchi a soffrire una
volta di più, una mano la dà il calendario, che ci offre il non trascendentale
Brescia dell’ex Cavasin, mentre le dirette concorrenti vanno a giocarsi impegni
più difficili, e Lecce e Parma danno vita ad uno “spettacolare” 3-3 che viene
da subito chiacchierato anche per l’atteggiamento apertamente ironico del
tecnico Zeman. Retrocede alla fine il Bologna del presidente Gazzoni Frascara,
che da subito lamenterà il malcostume delle telefonate ed anche alcuni
favoritismi fatti ad altre squadre, tra cui la Fiorentina.
Siamo salvi, ma ci si risveglia
in un “mondo difficile”. Le iniziative di fair play di Della Valle gli valgono
buona stampa e applausi tra la gente, ma molto astio nella “stanza dei
bottoni”. Pare incrinarsi anche il “feeling” con la Juve di Moggi, in estate,
per la questione del prestito di Miccoli, Maresca e Chiellini, che tornano alla
casa madre. C’è da rifare dunque la squadra, una volta di più.