mercoledì 31 agosto 2016

La tribù del calcio



Nel suo celebre saggio del 1981 The Soccer Tribe, la Tribù del Calcio, il sociologo inglese Desmond Morris stabilisce l’altrettanto celebre paragone tra i comportamenti, i rituali e i miti degli appartenenti alle tifoserie del football moderno e quelli delle comunità tribali preistoriche o sopravvissute fino ai giorni nostri.
Gli individui umani, egli sostiene, “nel lungo cammino dell'evoluzione, si sono trasformati da cacciatori a calciatori, passando attraverso attività sempre meno sanguinarie. Oggi i calciatori sono i nuovi gladiatori e, in quanto tali, in ogni caso, eccitano il livello emozionale primordiale e ancestrale della folla. Non cambia però, per Morris, il significato di caccia rituale, in cui l'arma è la palla e la preda è la porta.
La folla della Curva non è un branco disorganizzato, ma un gruppo ben strutturato, i cui membri si riconoscono fra loro attraverso la comunicazione simbolica espressa dai loro abiti, dalle bandiere, dai cori, dalle liturgie, che, in una sorta di rito collettivo, sanciscono e rafforzano l'identità del branco dei tifosi. Ovviamente, Morris si riferisce, in genere, a quella parte della tifoseria che vive senza orizzonti di senso, nell'emarginazione sociale, per cui essi necessitano di una riaggregazione sociale, data proprio dall'appartenenza ad un gruppo sportivo, a dei colori specifici” (cfr. Wikipedia).
Non dovrebbe meravigliarmi dunque la reazione della tribù che si ritiene attaccata dal mio ultimo articolo, La brutta figura di Firenze. E infatti non lo fa. Insulti, minacce personali pubbliche e private dovevano essere messe in conto, e sono puntualmente arrivate ed arrivano ancora. Il branco, in genere, reagisce così.
Non mi sorprende più neanche, purtroppo, il fatto che i membri della tribù invochino a giustificazione la difesa del primato morale e culturale di Firenze. Che nel rivolgermi epiteti e accuse infamanti nonché, appunto, oscure e sanguinose minacce, si richiamino a quei Dante, Lorenzo il Magnifico, Machiavelli e compagnia bella di cui si sentirebbero gli epigoni. Salvo non riuscire a scrivere una frase intera di senso compiuto senza almeno un errore di ortografia o di grammatica, povero il mio Dante Alighieri. O commentare a proposito una sola riga di quelle che ho scritto, dando prova di averla almeno compresa.
Potrebbe farmi specie che a commentare il mio articolo siano solo energumeni ed energumene che si sentono in diritto tra l’altro oltre che di offendere e minacciare anche di scorrazzare in lungo e in largo nella mia privacy, nei miei profili in cerca di informazioni destinate a chissà quale rappresaglia? No, certo. Ma questo è l’aspetto più ovvio, e conseguente. Commentano quasi esclusivamente solo quelli della Tribù. Quelli che sono d’accordo con me (si trattava di rinviare le feste e le partite di qualche giorno, almeno una settimana, per rispetto a dei morti in modo atroce, non di tirare giù la statua del David da Piazza Signoria), che mi risultano non essere pochi, sono  tutte persone perbene, come tali naturalmente restie a impelagarsi in una rissa da cortile dai connotati aberranti. Come quelle scorribande da hooligans a cui Desmond Morris cercava di dare una spiegazione già nel 1981.
Per me è diverso, me la sono cercata. Criticare la Fiorentina a Firenze è come criticare la Santa Romana Chiesa ai tempi del Concilio di Trento. C’è il rogo, nulla più, nulla meno. O, per adeguarsi ai tempi, gente che mi vuole denunciare alla polizia postale, far chiudere il blog, denunciarmi ad un ordine dei giornalisti che non ha la minima competenza su di me (grazie a Dio), farmi licenziare (come se il mio datore di lavoro potesse aver da ridire di cosa faccio – a titolo assolutamente gratuito – nel mio tempo libero e a proposito di una materia assolutamente non di sua competenza, il campionato italiano di calcio). Oltre alle manate, naturalmente, che sono da sempre il rifugium peccatorum del volgo fiorentino. Tra i primati storici di questa città, non va dimenticato, c’è anche quello di essere stata una delle prime a dar vita alle squadracce fasciste. Certi vizi non si perdono neanche in tempi di repubblica.
Last but not least, non mi deve sorprendere nemmeno che personaggi che aspirano al ruolo di opinion leaders cittadini mi definiscano in trasmissioni radio compiacenti “bloggerista o pseudo-tale che attacca la città di Firenze”. Né che, in totale spregio della legge sulla stampa, nessuno di quella radio faccia una telefonata al sottoscritto almeno per sentire se ho qualcosa da ridire. La domanda semmai è, a questo punto, chi è lo pseudo?
Come dice Oliviero Beha, uno che pseudo non è mai stato, per commentare un articolo servono due cose: leggerlo, e capirlo.
Penso che non ci sia altro da aggiungere. Grazie a chi mi ha sostenuto o espresso solidarietà. A presto,
Simone Borri

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