Sgombriamo subito il campo dalle illazioni. Chievo-Fiorentina non è
una partita da Ufficio Inchieste. Lo testimoniano i due legni colpiti, uno per
parte, da Mauro Zarate su punizione nel primo tempo per i viola e da Nicola
Rigoni nel secondo su gran tiro da fuori area per i gialli clivensi. Lo
testimonia il quarto d’ora finale dei padroni di casa che sentono odore di
Fiorentina in ulteriore calo fisico e provano a far loro l’intera posta. Lo
testimonia Mauro Zarate, al quale – se c’ è stata combine – nessuno eventualmente
ha detto nulla.
L’argentino si batte da solo contro la difesa del Chievo, traversa a
parte non combina granché, ma almeno si guadagna il gettone di presenza. I suoi
compagni per guadagnarsi il loro fanno appena il minimo sindacale. Con questo
Chievo per perdere d’altra parte bisogna mettersi d’impegno. Anche per vincere,
e stasera nessuno ne ha voglia, come già da tre mesi a questa parte.
Sembra quasi che quando l’inerzia del proprio gioco ruminato di
passaggi la porta sulla fatidica tre quarti avversaria oppure sulla fascia, la
Fiorentina di stasera si faccia un dovere di vanificare qualunque possibilità
offensiva scegliendo puntualmente la soluzione o la giocata peggiore, il
passaggio più sballato, il tiro più improbabile o telefonato. Sulla punizione
di Zarate sopra citata, il portiere veronese Bizzarri rimette la palla in
pratica sui piedi di Alonso a porta al 95% vuota. La conclusione dello spagnolo
è talmente sballata che se si vuole escludere la combine resta solo lo stato
confusionale. E stavolta non c’è una trattenuta di Rugani a cui aggrapparsi.
Paulo Sousa, che aspetta sempre il fatidico incontro a Teano con
Andrea Della Valle (nel frattempo impegnato ai mondiali di slittino, come
sempre in questa parte dell’anno), decide di non rischiare quella parte della
sua reputazione che ancora sopravvive al girone di ritorno sciagurato giocato
dai suoi mettendo in campo una formazione abbastanza quadrata. Ovvia, diremmo,
considerati i malanni fisici di Iosip Ilicic e Matias Vecino. In campo va l’altro
Matias, il Fernandez che almeno – ti dici – viene buono per i calci da fermo,
visto che un uomo in attacco non lo salta dai tempi del primo Montella.
Per il resto, business as usual, eccezion fatta per l’accoppiata d’attacco
Zarate – Kalinic. Atteso che il croato continua imperterrito la sua involuzione
tecnico – tattica e basta un Gamberini ai suoi livelli per vanificarne la
prestazione (chiamiamola così), l’argentino, come detto, prova sistematicamente
la soluzione personale. Stasera, anziché maledire la sua proverbiale
testardaggine, c’è da capirlo e scusarlo. La Fiorentina in avanti è il nulla, e
si capisce da subito che passare stasera rappresenterebbe un mezzo miracolo.
Bernardeschi siede in panchina, e viene da pensare a quale sarà la
panchina su cui siederà il prossimo anno, se si continua così, a schierare
ectoplasmi pur di non dargli la soddisfazione di poter crescere in mezzo ad una
squadra che il suo talento può prendere per mano. Sulle ali, Alonso da una
parte e Tello dall’altra ci provano, ma presto la futilità di ciò viene a noia
anche a loro, e sprofondano nel mortorio generale.
A proposito di frustrazione, chissà cosa passa per la testa di Davide
Astori, chissà se gli bolle dentro un’altra sfuriata come quella di Empoli.
Gonzalo invece farebbe volentieri a testate con qualche energumeno dei suoi
dirimpettai (ma la serie A a sedici squadre proprio ci faceva schifo? Questo Chievo
a tratti è veramente imbarazzante), ma si trattiene visibilmente per non
aggiungere ulteriori beffe ai danni di questo finale di stagione. Lo sguardo
apprensivo di Tatarusanu, invece, dice più di mille parole. Ogni volta che il
Chievo passa la metà campo (succede di rado, ma succede con una certa
pericolosità), il portiere rumeno sembra il sopravvissuto ad un disastro
ferroviario.
Ecco, Chievo-Fiorentina è tutta qui. Ci risparmiamo e vi risparmiamo
la cronaca puntuale del nulla. Le considerazioni su questi giocatori, sul loro
allenatore e soprattutto su chi paga loro lo stipendio le abbiamo fatte tante
di quelle volte che preferiamo non ripeterle per non rischiare di diventare
noiosi.
Mancano, grazie a Dio, soltanto due partite, una contro un Palermo
alla disperazione, una a Roma contro una Lazio che per noi è una disperazione
da sempre. Poi sarà finita, e la palla passerà a Radio mercato. O a Radio
Lavandaia, se preferite. A giudicare dalle dichiarazioni della società e dai
rumors della stampa specializzata, le due emittenti sembrano più che mai
coincidere.
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