Vaglielo a dire
adesso al popolo viola che è finita qui. Che il campionato è arrivato alla
fatidica trentottesima. Ci si rivede a fine agosto, chi c’è c’é. Vaglielo a
spiegare, a chi si è sorbito un girone di ritorno che nemmeno le bestie, che la
Fiorentina s’è ricordata come si gioca all’ultimo tuffo,
quando già Lulic aveva apparecchiato per l’ennesima goleada
laziale e qualcuno rispolverava ricordi lontani e meno lontani di un 8-2, di un
4-0 e di altre gite fuori porta nell’amena campagna laziale.
A chi scrive
sovviene anche un ricordo di tutt’altro genere. Erano i tempi dell’università,
ultimo giorno dell’anno accademico. Allora usava che certi professori più
attenti alle frequenze degli studenti pretendessero di firmarne i libretti,
come condicio sine qua non alla possibilità di sostenere poi il
rispettivo esame. Uno studente porge il libretto al professore, il quale lo
squadra e lo apostrofa: lei, mi sembra che sia la prima volta oggi che la
vedo in tutto l’anno! Risposta dello studente, imperturbabile: No,
professore, c’ero anche ieri. Chiusura beffarda del prof., Ah, peccato
finisca oggi, altrimenti potevo vederla anche domani!
Ecco, l’ultimo
atto di questa Fiorentina 2015-16 è un po’ così. Dopo un
girone di ritorno da retrocessione, una vittoria in undici partite, l’Armata
Viola risorge proprio nella circostanza meno probabile. Con la Lazio
si piange sempre, o quasi. Nei giorni scorsi un leit motiv della rassegna
stampa fiorentina era Firenze attende la nuova figura. Sottinteso, la
nuova figura di direttore sportivo. Chissà quanti come chi scrive avranno
pensato alla figura che avrebbe fatto la Fiorentina dalle gambe molli e dalla
testa svagata all’Olimpico.
Finisce con un
mezzo trionfo, invece, come l’anno che in viola c’erano Batistuta,
Rui Costa, Oliveira. Il paragone può essere
assimilato alla bestemmia, ce ne rendiamo conto. Questa Fiorentina sta a quella
di Claudio Ranieri come sta al Leicester
sempre di Claudio Ranieri. Tentativo di imitazione da cui guardarsi, come
consigliava un noto settimanale di enigmistica.
La Lazio, che di
solito la Fiorentina se la magna, stavolta è un fondale di cartapesta,
di quelli che allestivano a Cinecittà per le produzioni cinematografiche.
Dietro non c’è niente, o quasi. Il popolo biancoceleste spende tutta la propria
carica emotiva nel saluto a Miroslav Klose, giunto al passo
d’addio dopo cinque anni da queste parti, durante i quali ha finito di
consacrarsi come uno degli attaccanti più prolifici di sempre, il Gerd
Muller dei nostri tempi. Danke Miro, recita uno striscione
in tribuna. Ci si commuove anche a non essere laziali.
La Lazio stasera
è tutta lì, nel gol a bruciapelo di Lulic, nel quarto d’ora iniziale in cui si
balocca con il pallone credendo di poter prendere a rasoiate come al solito la cicala
Fiorentina che prima o poi alzerà bandiera bianca, e nel quarto d’ora finale in
cui prova a risvegliarsi, mettendo dentro un Felipe Anderson
che Simone Inzaghi lascia incredibilmente a sedere in panca
fin quasi alla fine ed un Mauri che subito dopo Klose ha
festeggiato anche lui un bel record: 300 presenze in biancoceleste.
Quando segna
Lulic, verrebbe voglia di spegnere subito il televisore. E di segnarsi, perché
quella povera anima di Lezzerini meritava un esordio migliore
(prima vera partita in A della sua carriera, se non si conta la passerella a
risultato acquisito che tanto fece inalberare il Frosinone).
Poi sovviene la memoria, anche a un campione come Giovanni Galli
toccò un esordio drammatico, in pieno 5-1 subito a Torino dalla Juventus
nell’anno della retrocessione sfiorata nel 1978.
Lezzerini alla
fine sarà tra quelli che smentiscono a testa alta le previsioni più fosche. Una
delle note positive di questa nottata romana della Fiorentina. La Lazio smette
di giocare non appena la Fiorentina prova a metterci la gamba e un po’ di
testa, ma quando prova a ricominciare Lezzerini c’é. Assieme a lui ci sono i
soliti Gonzalo (rigore a parte) e Astori, c’è
Bernardeschi sempre più padrone del centrocampo e sempre più
insidioso nei suoi calci piazzati e nelle sue aperture ai compagni. C’è Tello
che stasera più che saltare l’uomo lo mette a sedere e ce lo lascia, come
succede a Konko nei momenti cruciali della partita. C’è Vecino,
che è un altro che scopre di avere il piede addomesticato per tirare in porta
proprio alle battute finali.
Ci sono un po’
tutti, per la verità, non appena la squadra viola si accorge del bluff laziale.
Ci vogliono una ventina di minuti buoni ai viola per ricompattarsi, mentre la
Lazio esaurisce la voglia di ritardare le vacanze estive. Il pareggio, per
quanto rocambolesco nella dinamica, non può dirsi immeritato. Dopo la ribattuta
su Mati Fernandez, Vecino lascia partire il classico tiro
della domenica. Quando ti va bene va dentro, quando ti va male va a finire alla
bandierina del calcio d’angolo. Stasera va bene, e Matias l’uruguaiano toglie
lo zero dalla casella dei gol segnati in viola.
Il secondo gol
viola è una ipoteca sul futuro, se al futuro qualcuno in casa viola sta
seriemente pensando. Tello mette a sedere Konko come la Red Bull
di Verstappen ha fatto poco prima con la Ferrari. Il resto è
la fotocopia del vantaggio di Bologna, sulla palla si avventa Bernardeschi che
come un giocatore di biliardo indovina la carambola giusta.
Siamo viola,
siamo nati per soffrire. A quel punto, dopo aver notato che il mister Sousa
in panchina per festeggiare la sua squadra in vantaggio non ha ritenuto di
muovere nemmeno un muscolo (forse ha bisogno di andare al mare anche lui), ci
vien fatto di pensare che se deve finire 8-2 noi i nostri 2 li abbiamo segnati.
Proprio allora Bernardeschi restituisce l’assist a Tello, che parte in
contropiede e dopo essersi fatto metà campo da solo fulmina Marchetti
con la freddezza di un veterano. Che dice, ragionier Cognigni,
lo riscattiamo questo ragazzo dal Barcellona? O aspettiamo la
telefonata intercontinentale con Della Valle non appena questi
riesce a raggiungere una cabina telefonica nel cuore dell’Asia là dove risulta
disperso?
Si ricominciano
le ostilità nella ripresa con un pensiero sottile che si insinua nella
corteccia cerebrale di noi tifosi in cerca di riscatto da un destino di
sofferenza: stai a vedere che stasera la goleada si fa noi? Dopo venti minuti
di accademia, di Lazio in stato confusionale e di Fiorentina in controllo (con
Astori e Gonzalo che sembrano sempre più Scilla e Cariddi, di
qui non si passa), al 25’
Mati Fernandez fa la cosa più bella del suo campionato chiudendo un triangolo
spettacolare con il Mati che di cognome fa Vecino. Il quale, malgrado sia in
piena corsa, si ripresenta davanti a Marchetti e manco fosse Higuain
lo rifulmina con un tiro da grande attaccante.
Stasera va bene
tutto, è apoteosi viola e notte fonda laziale. Perfino Antonio Candreva
saluta (forse) mestamente i suoi tifosi per l’ultima volta dopo una prova opaca
lasciando il posto ad Anderson, che perlomeno si dimostra il classico ciuco
vivo al posto del purosangue morto. Nemmeno Milinkovic Savic,
entrato per Cataldi, ci fa più paura. Nemmeno il rigore che
Lulic si procura a un quarto d’ora dalla fine costringendo Gonzalo al fallo appena
dentro l’area ci fa paura.
Omaggio a Miro
Klose. Anderson va a porgergli il pallone per la trasformazione e l’uscita di
scena in bellezza. Il tedesco gli fa un cenno di sobrio diniego, il
rigorista sei tu, sembra dirgli. Lo stadio insorge e lo spinge sul
dischetto del rigore. Non è neanche il caso di dire che Miro trasforma,
aggiungendo anche questo siparietto alla sua leggenda.
C’è spazio anche
per un paio di paratone di Lezzerini, a dire no con personalità ad una Lazio
rediviva. La sensazione è che stasera la Fiorentina abbia trovato il suo
portiere del futuro. Dall’altra parte invece si consuma inutilmente la voglia
di rivalsa di Mauro Zarate. Segnare il gol dell’ex in faccia a
Lotito sarebbe tanta roba, ma anche la fregola è tanta e
l’argentino non ha mai la freddezza giusta a tu per tu con Marchetti.
Finisce così,
con un 4-2 su cui nessuno avrebbe scommesso dieci centesimi avanzati al
parcheggio, un campionato che la Fiorentina aveva iniziato salendo verso il
paradiso e poi aveva compromesso sprofondando verso un probabile inferno.
Finisce sugli scudi per una squadra di cui stasera non sappiamo quanti
effettivi rivedremo quando sarà il momento di tornare in campo, ad agosto.
Oppure prima, se il Milan farà la partita della vita con la
Juventus in Coppa Italia.
Già, perché dopo
esser stati primi in classifica (accreditati di grandi cose almeno fino alla
partita d’andata con la Lazio), adesso non siamo più nemmeno sicuri di non
dover fare i preliminari di Europa League.
Grazie di tutto
Diego e Andrea Della valle. Vi sia lieve l’estate.
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