giovedì 5 maggio 2016

Una Scarpa d'Oro appesa al chiodo

«Dopo un po’ di riflessioni e tanti anni di calcio ho pensato che domenica sarà la mia ultima partita da giocatore professionista».
Luca Toni appende la Scarpa d’Oro al chiodo. Il momento degli addii è arrivato, ed è un momento triste per tutti. Un po’ meno forse per i fiorentini che a vederlo andar via ci hanno fatto l’abitudine, avendolo salutato con i fazzoletti in mano già due volte.
La prima volta ci fu gran tristezza, la seconda meno. La prima volta salutò una squadra trionfante facendo stendere un velo di malinconia sulla gioia per l’impresa della rimonta dei quindici punti di penalizzazione post-Calciopoli. La Fiorentina batté 5-1 la Sampdoria, ma nessuno gioì più di tanto, tutti avevano il magone per aver visto per l’ultima volta Luca Toni in viola. Il giorno dopo sarebbe partito alla volta di Monaco di Baviera.
La seconda volta una Fiorentina che non aveva niente da invidiare a quella di sei anni prima festeggiava la fine di un gran campionato, il primo di Montella. C’era la consapevolezza che lo avremmo visto l’anno prossimo indossare un’altra maglia, si, ma tuttavia l’impresa realizzata da Luca Toni con i suoi 8 gol fiorentini a sei anni di distanza dai primi 49  era già un qualcosa oltre cui non si può andare. E che lasciava spazio soltanto a sentimenti positivi.
La carriera di Luca che sta per concludersi era cominciata in ritardo, ma alla fine esplosa come poche altre. Una carriera di cui la parte trascorsa in viola rappresenta tra l’altro uno dei segmenti più importanti, se non il più importante.
Lucagol era arrivato in serie A a 23 anni suonati, con un Vicenza tutt’altro che memorabile in cui segnò 9 gol non sufficienti ad evitargli la retrocessione. Niente di eclatante, ma quanto bastava per farsi notare da Carletto Mazzone, l’allenatore del Brescia dei miracoli che aveva già scommesso (vincendo) sul rilancio di Roberto Baggio e sul lancio definitivo di Andrea Pirlo. Buona la prima stagione (13 gol), male la seconda a causa di un brutto infortunio. Ma ormai il bomber di Pavullo nel Frignano si era fatto notare da un’altra società che in quel momento era a caccia di talenti inesplosi, il Palermo di Zamparini.
Il primo anno in B con i siciliani segnò 30 gol, e contribuì in modo determinante alla loro promozione in A, dove l’anno dopo si ripeté segnandone 20 e portando il Palermo al sesto posto finale ed alla qualificazione alla Europa League. Un realizzatore così prolifico non poteva passare inosservato agli occhi di Marcello Lippi, allora selezionatore per la Nazionale azzurra che si apprestava ad andare a lottare in Germania per il titolo mondiale. Per Luca, nel 2005, arrivarono insieme la maglia azzurra e quella viola. Il nuovo direttore sportivo della Fiorentina Pantaleo Corvino quell’estate allestì la squadra del rilancio dopo l’anno dei cattivi pensieri di Zoff, e mise in mano all’allenatore emergente Cesare Prandelli una formazione in cui brillavano diverse stelle in cerca di riscatto o di affermazione, e per la quale Toni fu la ciliegina sulla torta e la punta di diamante.
Per le prime 11 domeniche sembrò addirittura che Lucagol potesse battere il record di Batigol, che dieci anni prima aveva segnato consecutivamente per 13 domeniche superando a sua volta il precedente record di Pascutti con il Bologna dello scudetto. Luca si fermò a 11, per l’appunto, ma tolse a Gabriel un altro record, quello dei gol segnati in una stagione: 31. Anche qui ad un passo dal record assoluto, quello di Antonio Valentin Angelillo che con la maglia dell’Inter nel 1959 segnò 33 reti (in un campionato a 18 squadre). Ma la Scarpa d’Oro, il trofeo destinato al più prolifico realizzatore di reti in tutti i campionati iscritti all’UEFA, era sua senza discussioni, per la prima volta nella storia del calcio e dei calciatori italiani.
Il 14 maggio 2006 al Bentegodi di Verona doveva essere un giorno di festa, per lui e per la sua Fiorentina che con 74 punti aveva raggiunto il 4° posto e la qualificazione ai preliminari di Champion’s League. Ce lo ricordiamo tutti sorridente con la parrucca viola in testa. Ci ricordiamo anche come si spense il sorriso sul volto a lui ed ai suoi compagni, allorché si diffuse (con i giocatori ancora in campo ed il pubblico sulle tribune a festeggiare) la notizia del coinvolgimento della Fiorentina in Calciopoli e della probabile penalizzazione, se non addirittura retrocessione in B.
Fu l’estate del patto di ferro a Folgaria tra Prandelli e i suoi ragazzi, che si impegnarono a rimontare i 15 punti di penalità inflitti alla fine alla società viola da una Giustizia Sportiva simile alla Macelleria Messicana. Fu l’estate in cui l’Italia, che schierava Luca Toni centravanti titolare, vinse il titolo mondiale, riportando la folla festante nelle piazze ed anche un clima meno giustizialista in Federazione (in prima istanza la Fiorentina era stata condannata alla serie B, poi a 19 punti di penalità, infine se la cavò con 15). Fu l’estate del patto tra Diego Della Valle ed il bomber emiliano: salvami la Fiorentina e l’anno prossimo ti lascio andare dove vuoi. Luca accettò, e nonostante una tarsalgia simile a quella che aveva colpito Giancarlo Antognoni nel 1978 lo tormentasse per tutta la stagione, fece il suo dovere contribuendo con 15 gol alla salvezza viola e addirittura al 5° posto finale (3° sul campo). Gli altri 15 li segnò il fenomeno, Adrian Mutu, che Corvino aveva prelevato dal crack Juventus e portato a Firenze a fare coppia con la Scarpa d’Oro. Una coppia da sogno, che purtroppo ballò un solo inverno.
Nel maggio 2007, i tifosi della Fiorentina dovettero strapparsi il cuore una volta di più, come era successo con Baggio, Batistuta, Rui Costa. Almeno, la consolazione fu di non vedere Luca andare ad indossare la maglia di una concorrente italiana. Lo volle il Bayern Monaco, che versando 11 milioni di euro nelle casse viola, portò il campione del mondo Toni a far coppia con il vice-campione Ribery. Una coppia niente male, che nella stagione 2007-08 portò i bavaresi alla doppietta, Bundesliga e Coppa di Germania.
Omar Hitzfeld, allenatore del Bayern, coniò per Luca la definizione di animale da gol che non vuole riposarsi mai. Con 24 reti Lucagol divenne il terzo giocatore italiano di sempre a vincere la classifica dei cannonieri all’estero, dopo Marco Negri con i Glasgow Rangers e Christian Vieri con l’Atletico Madrid. Gli fu dedicata anche una canzone, Numero Uno, di Mathias Matze Knop, non certo un successo paragonabile a quello di Luca.
Nel 2009 un nuovo serio infortunio ne limitò le prestazioni. Il Bayern, che nel frattempo aveva preso l’olandese Robben, non era e non è una società in cui la gratitudine abbondi più che in altre, e Lucagol (che aveva allora la non verde età di 32 anni) venne offerto in prestito gratuito alla Roma. Nella squadra bavarese che rubò la qualificazione ai quarti di Champion’s League alla Fiorentina grazie all’ineffabile arbitro norvegese Ovrebo, Luca non c’era più, e meno male. Nel frattempo, si era fatto male di nuovo in maglia giallorossa, nuovo stop di oltre due mesi. A fine giugno rientrò dal prestito in Germania, ma a quel punto non gli restava che risolvere consensualmente il contratto con il Bayern.
Seguirono gli anni del crepuscolo, prima al Genoa, poi alla Juventus (che non era ancora quella super di Antonio Conte), e poi all’Al Nasr, squadra di Dubai. Stagioni opache, in cui sembrò raccogliere gli ultimi spiccioli e segnò pochi, pochissimi gol. Nuova rescissione di contratto, riecco Luca in Italia nell’estate del 2012 in cerca di una sistemazione in cui trascorrere - forse - l’ultimo inverno da calciatore.
Sembrava che tale destinazione potesse essere Siena, l’ultimo giorno di calciomercato pareva proprio che le parti si sarebbero messe d’accordo per l'approdo di Luca alla Robur. Ma nel frattempo a Firenze era scoppiato lo psico-dramma successivo alla beffa di Berbatov. La bella Fiorentina di Pradè e Macia era senza centravanti. Serviva un nome per calmare la piazza, agguantare l’ex Lucagol sembrava un’ottima idea. A mezz’ora dalla fine del mercato, la Fiorentina annunciò quindi di essersi ri-assicurata le prestazioni del calciatore Luca Toni.
Cinque anni dopo, nessuno in riva all’Arno aveva scordato i suoi 49 gol in due anni e la mano che corre all’orecchio, un gesto entrato nella leggenda (e nel cuore dei tifosi) al pari della mitraglia di Batigol. Cinque anni dopo, a vedere il primo allenamento di Luca di nuovo con la maglia viola c’era talmente tanta gente che la maggior parte delle altre squadre se la sognerebbero anche per una partita di campionato. Luca si era legato alla Fiorentina da un contratto annuale. Aveva chiesto e riavuto il suo vecchio numero di maglia, il 30. Si era impegnato inoltre con il popolare conduttore di una trasmissione radiofonica cittadina legata al tifo viola in una scommessa ambiziosa: segnare almeno 8 gol. Sembravano tanti. Luca ce l'avrebbe fatta giocando sì e no metà campionato.
Quando alla terza giornata mise dentro l’assist di Jovetic nella porta del Catania, la commozione attanagliò il Franchi come se il tempo si fosse fermato. Non era il primo gol di Luca, ma il cinquantesimo. Nella marcia trionfale della Fiorentina nel girone di andata, il vecchio Toni e Furmini avrebbe giocato un ruolo determinante, tornando ad essere il terrore delle difese avversarie. Nel girone di ritorno, gli anni si sarebbero fatti sentire, e siccome i viola avevano nel frattempo scoperto qualche nuova freccia al loro arco come il serbo Llajic, Montella avrebbe potuto dare al bomber di Pavullo il meritato rifiato che gli anni (36 di lì a poco) e le tante botte prese gli avevano fatto meritare.
Il 12 maggio 2013 allo Stadio Franchi di Firenze Luca Toni segnò l’ottavo gol stagionale al Palermo, altra squadra del suo passato. Il 57esimo in totale in maglia viola. L’ultimo. Subito dopo annunciò di dover salutare il pubblico fiorentino per la seconda volta. L’ultima.
Unica consolazione, la destinazione finale di Luca: Hellas Verona, squadra gemellata, e quindi a casa di amici. Non è più tornato a Firenze da avversario, non sarebbe stato possibile accettarlo. Adesso, l’epopea della Scarpa d’Oro è finita. Un altro dei campioni di Berlino che se ne va. A Firenze tuttavia non c’è tristezza. Abbiamo già dato.

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