venerdì 21 ottobre 2016

L'Uccellino vola ancora, Firenze sospira di sollievo



La notizia di Kurt Hamrin colto da un malore scuote Firenze, in questo annus horribilis che miete vittime illustri in quantità e che ha toccato già il suo Pantheon viola portandosi via Beppe Pecos Bill Virgili. Uccellino per fortuna sta meglio, già in procinto di essere dimesso dall’ospedale e sulla via della convalescenza.
Per capire l’importanza di questo giocatore, di quest’uomo e del sentimento che lo lega – ricambiato – a questa città, basti dire quello che sanno, o dovrebbero sapere, tutti. Per la generazione dei nostri padri, Kurt Hamrin è stato quello che per la nostra è stato Omar Gabriel Batistuta.
L’Uccellino e il Re Leone, la grande storia della Fiorentina è ricompresa sostanzialmente tra queste due figure monumentali, 303 gol in due, 3 Coppe Italia in due, uno scudetto a testa ma vinto altrove, una Coppa delle Coppe Kurt, mentre Omar Gabriel si fermò alla semifinale in cui zittì il Nou Camp, con il Barcellona che al ritorno zittì il Franchi.
Pare proprio che Uccellino ce la farà a festeggiare il prossimo compleanno, l’ottantaduesimo, il prossimo 19 novembre. La partita per lui non si è ancora conclusa. La sua leggenda ha ancora un lieto fine. Ed allora ripercorriamola.
In mezzo al futebol sudamericano di pregevole fattura che l’aveva resa grande, la Fiorentina di Enrico Befani andò a trovare il più grande di tutti vicino al circolo polare artico. Kurt Roland Hamrin era il quinto figlio di un imbianchino svedese, che giocava da dilettante nella squadra della capitale, l’AIK Stoccolma. Nel 1955, a ventun anni, vinse per la prima volta la classifica dei cannonieri del suo paese con 22 gol in altrettante partite giocate. Il suo contratto prevedeva 50 corone a partita vinta e zero in caso di sconfitta. Hamrin, per vivere, doveva per forza diventare un fuoriclasse e nel frattempo continuare a lavorare come zincografo in un giornale svedese.
Nel 1958, fu selezionato come centravanti della Svezia, che organizzava i mondiali in casa propria. Era la squadra favolosa di Gren, Nordhal e Liedholm, che si arrese in finale soltanto davanti all’altrettanto favoloso Brasile di Garrincha e dell’esordiente Pelè. Hamrin finì il torneo risultando capocannoniere con 4 reti. Era già stato notato due anni prima dalla Juventus, che poi però lo ritenne troppo fragile, cedendolo al Padova di Nereo Rocco.
Narra la leggenda che lo svedese facesse ombra a Marisa Boniperti, in fase calante, che pertanto fu ben felice di accogliere John Charles e Omar Sivori e veder andar via quel concorrente scomodo. Il paron Rocco invece lo accolse a braccia aperte, lo mise accanto a Brighenti e si godé i suoi 20 gol in trenta partite, dandogli il soprannome provvisorio di faina.
Quello definitivo l’ebbe a Firenze, dove approdò l’anno dopo, allorché Befani si trovò a dover cercare il successore di Julinho. Uccellino che vola, affibbiatogli per la sua leggerenza e agilità da Beppe Pegolotti, leggendario giornalista della Nazione. Nei nove anni successivi, Kurt ebbe la sua consacrazione, segnando 151 gol (record viola fino al 14 maggio 2000, allorché fu superato da Batistuta) con una media partita pari a 0,48, lui che di partite in serie A ne giocò alla fine 400.
Non vinse mai la classifica cannonieri in Italia, ma è stata l’ala destra viola più prolifica di tutti i tempi. Suo è il record di gol segnati in trasferta, cinque, in quel 7-1 in casa dell’Atalanta che è a tutt’oggi la vittoria più rotonda di sempre della Fiorentina fuori casa.
Nella sua epoca, la Fiorentina dei campioni di Befani e Bernardini prima, e di Longinotti e Baglini e della linea verde poi non scese mai al di sotto del settimo posto in campionato, e vinse la prima edizione della Coppa delle Coppe.
Quando nel 1967, la Fiorentina lo cedette al Milan promuovendo in prima squadra il giovane Primavera Luciano Chiarugi, sembrò un buon affare. Uccellino aveva 33 anni, Luciano ne aveva 20. Il destino in realtà si divertì alla grande. Prima toccò ad Hamrin, vecchia gloria nella squadra rossonera delle vecchie glorie Trapattoni e Maldini (più il giovane Rivera) a vincere lo scudetto. Poi, l’anno dopo, 1969, toccò alla Fiorentina di Chiarugi a trionfare, mentre lo svedese risultava decisivo per la vittoria milanista in Coppa dei Campioni.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo ed aver tentato brevemente la carriera di allenatore a Vercelli, Hamrin tornò in patria e avviò un’attività imprenditoriale, lui che da ragazzo era stato operaio. Fino al 2005 la sua ditta di import-export di ceramica tra l’Italia e la Svezia ha retto, poi, come tanti, ha dovuto cedere alla concorrenza cinese.
Negli ultimi anni si è stabilito a Coverciano, dove ha svolto attività di talent scout (per il Milan, la Fiorentina dei Della Valle non ha trovato posto per lui, come per altre bandiere) e ha insegnato calcio nella Settignanese. L’Uccellino, come tanti altri, alla fine ha fatto l’ultimo nido a Firenze.

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