sabato 19 novembre 2016

Ricominciamo?

Superchi, Rogora, Mancin, Brizi, Ferrante, Esposito, Amarildo, Merlo, Maraschi, De Sisti, Chiarugi. I ragazzi fiorentini della fine degli anni Sessanta la imparavano a memoria questa filastrocca, più facilmente di eifusiccomeimmobile o di lanebbiaagliirticolli. Era la filastrocca che ripeteva tutte le domeniche lo speaker dello Stadio Comunale (allora Artemio Franchi era vivo e vegeto, e stava in Tribuna d’Onore, si chiamava così, ad applaudire insieme ai suoi concittadini gli eroi del secondo scudetto).
Eraldo Mancin era una di quelle invenzioni dei talent scouts di Nello Baglini. L’uomo che aveva rinverdito i fasti di Enrico Befani, ma con una variante sostanziale: puntava sui giovani anziché sui campioni affermati. La Fiorentina yeye era stata assemblata cedendo nomi che stavano facendo la storia del calcio, Hamrin, Albertosi, Brugnera, ed acquistandone altri che promettevano di farla in futuro.
E la fecero, nell’annata 1968-69 una squadra di una città al di sotto del corso del Po interruppe nuovamente il predomino nordista, cinque anni dopo il Bologna di Fulvio Bernardini. Tra questi ragazzi che diventarono uomini e campioni sotto la Torre di Maratona, nell’anno in cui secondo certi pronostici non proprio fausti avrebbero dovuto lottare per non retrocedere, c’era anche lui, Eraldo Mancin da Porto Tolle (RO).
Preso dal Venezia poco più che ventenne, vinse lo scudetto e poi fu sacrificato alle necessità di bilancio di Baglini, che lo spedì a Cagliari prendendo il più affermato Giuseppe Longoni. Viola e sardi si scambiavano spesso giocatori in quegli anni. A Mancin andò bene, perché in Sardegna vinse il secondo scudetto consecutivo l’anno dopo, impresa riuscita nella storia del calcio italiano soltanto a sei giocatori, tra cui un certo Roberto Baggio. A Longoni andò peggio, due secondi posti. Scherzi della vita.
Se n’è andato a 71 anni Eraldo. Un altro eroe viola che se ne va, la nostra Hall of Fame perde pezzi, mentre il presente stenta a consegnarle nuovi eroi. Domani si gioca con il lutto al braccio.
Non sarà la sola novità in casa viola. Ce ne sono altre, alla ripresa del campionato dopo l’amichevole di lusso, lo scontro di civiltà tra chi mette i calzini bianchi sotto i sandali e chi – per quanto decaduto (ma tutt’ora imbattuto, contro i tedeschi) - fa dell’estetica a volte più della sostanza una questione di vita.
La Fiorentina a cui la Nazionale riconsegna un Astori galvanizzato ed un Bernardeschi forse ancora più frastornato di quanto non lo abbia reso Paulo Sousa, scende in campo contro l’Empoli degli ex Pasqual e Gilardino (circostanza particolarmente dolorosa, per lui e per i tifosi, nel caso di Manuel, capitano e gentiluomo). E lo fa sapendo già quasi ufficialmente di annoverare tra i quadri dirigenziali il nome che tutta Firenze aspettava.
Giancarlo Antognoni sta per firmare da vicepresidente, tutto è pronto. L’Unico 10 parla già da quadro viola, e lo fa con la consueta via di mezzo fra la passione di una vita (la Fiorentina, a suo stesso dire) e l’aplomb quasi britannico con cui da sempre commenta e gestisce le cose del calcio.
Firenze vorrebbe gioirne, e invece è preoccupata, almeno a livello delle correnti sotterranee del tifo che attraversano la città come i percorsi avventurosi dell’Inferno di Dan Brown. Antognoni non si discute, né lui del resto farebbe mai nulla per farsi discutere, c’è da giurare. Come manager, dette già ottima prova di sé ai tempi di Vittorio Cecchi Gori. Ma il fatto è che adesso gli viene chiesto di mettere la faccia per coprire quella abbastanza dimessa – diciamo così – di una società che definire prossima ad un nuovo anno zero è usare un eufemismo.
La Fiorentina sarà anche sembrata in ripresa grazie al lavoro del suo allenatore, come l’ha vista il nostro neo vicepresidente. In realtà, per i suoi tifosi è stata più che altro motivo di noia quando non di ansia e di agonia. Nessuno si sogna di dire ad una persona del carisma e dell’intelligenza umana e calcistica di Antonio cosa è opportuno dire e fare, ma insomma non vorremmo che la nostra migliore bandiera fosse usata, sventolata per distrarci, mentre gli eroi sbiaditi dell’ultima generazione senza più bandiere continuano a far danni in campo, e mentre altri manager sicuramente meno bene intenzionati di Giancarlo continuano a farne di peggio nella stanza dei bottoni.
Insomma, tra una bandiera che salutiamo per l’ultima volta ed un’altra che abbiamo quasi paura ad impugnare di nuovo per non rovinarla, la Fiorentina ritrova il campionato, cercando di dimenticarsi e di far dimenticare quanto problematico e scialbo, per non dire peggio, fosse prima della sosta del calzino bianco.
Empoli è un campo amico soltanto in apparenza. D’accordo, ci si va perfino in motorino, è quasi più trasferta San Piero a Sieve durante la preparazione estiva. Ma gli empolesi aspettano questa come la partita della vita. L’anno scorso, con un organico più forte loro ma anche e soprattutto più forte noi, ci tolsero quattro punti su sei, e nominalmente si lottava per il vertice. Non è il caso di aspettarsi gite fuori porta e scampagnate, il presidente Corsi ci manderà di traverso il pranzo più che volentieri, se appena può. Per poi tornare magari ad ammorbidire il tackle in occasione della visita di compagini provenienti da metropoli fuori regione. Ma questo è un problema suo.
C’è un 2016 da concludere mandandolo in archivio con un connotato meno pessimo di quello registrato fino ad oggi, tra la fine del campionato scorso e l’inizio di quello attuale. Preparandoci poi al solito mese di gennaio da Pantoprazolo. Quest’anno non ci sono tesoretti, il che vuol dire che a inizio anno nuovo si vende per far cassa. Le profezie millenaristiche circa lo stadio nuovo dovrebbero avere un rigurgito sempre nello stesso periodo, anche se il ping pong Cognigni Nardella francamente comincia a stancare anche più del gioco di Sousa. Per rivedere la Fiorentina come ai tempi del compianto Eraldo Mancin, i tempi sono storici, e non è detto che sia una storia si compirà nell’arco delle nostre vite.
Radiomercato vuole il Chelsea di Antonio Conte interessato fortemente a Milan Badelj, come terzo incomodo del duo cino-milanese, e anche a Nenad Tomovic. Mentre le sirene di mercato risuonano nuovamente a proposito di Federico Bernardeschi. Sensazione è che anche stavolta se Ulisse non si lega al timone della nave…..

Giancarlo Antognoni si è assunto un compito assai difficile.

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