Superchi, Rogora, Mancin, Brizi, Ferrante,
Esposito, Amarildo, Merlo, Maraschi, De Sisti, Chiarugi. I ragazzi fiorentini
della fine degli anni Sessanta la imparavano a memoria questa filastrocca, più
facilmente di eifusiccomeimmobile o di lanebbiaagliirticolli. Era la
filastrocca che ripeteva tutte le domeniche lo speaker dello Stadio Comunale
(allora Artemio Franchi era vivo e vegeto, e stava in Tribuna d’Onore, si
chiamava così, ad applaudire insieme ai suoi concittadini gli eroi del secondo scudetto).
Eraldo Mancin era una di quelle
invenzioni dei talent scouts di Nello Baglini. L’uomo che aveva rinverdito i
fasti di Enrico Befani, ma con una variante sostanziale: puntava sui giovani
anziché sui campioni affermati. La Fiorentina yeye era stata assemblata cedendo
nomi che stavano facendo la storia del calcio, Hamrin, Albertosi, Brugnera, ed
acquistandone altri che promettevano di farla in futuro.
E la fecero, nell’annata 1968-69
una squadra di una città al di sotto del corso del Po interruppe nuovamente il
predomino nordista, cinque anni dopo il Bologna di Fulvio Bernardini. Tra
questi ragazzi che diventarono uomini e campioni sotto la Torre di Maratona,
nell’anno in cui secondo certi pronostici non proprio fausti avrebbero dovuto
lottare per non retrocedere, c’era anche lui, Eraldo Mancin da Porto Tolle (RO).
Preso dal Venezia poco più che
ventenne, vinse lo scudetto e poi fu sacrificato alle necessità di bilancio di
Baglini, che lo spedì a Cagliari prendendo il più affermato Giuseppe Longoni. Viola e
sardi si scambiavano spesso giocatori in quegli anni. A Mancin andò bene,
perché in Sardegna vinse il secondo scudetto consecutivo l’anno dopo, impresa
riuscita nella storia del calcio italiano soltanto a sei giocatori, tra cui un
certo Roberto Baggio. A Longoni andò peggio, due secondi posti. Scherzi della
vita.
Se n’è andato a 71 anni Eraldo.
Un altro eroe viola che se ne va, la nostra Hall of Fame perde pezzi, mentre il
presente stenta a consegnarle nuovi eroi. Domani si gioca con il lutto al
braccio.
Non sarà la sola novità in casa
viola. Ce ne sono altre, alla ripresa del campionato dopo l’amichevole di
lusso, lo scontro di civiltà tra chi mette i calzini bianchi sotto i sandali e
chi – per quanto decaduto (ma tutt’ora imbattuto, contro i tedeschi) - fa dell’estetica
a volte più della sostanza una questione di vita.
La Fiorentina a cui la Nazionale
riconsegna un Astori galvanizzato ed un Bernardeschi forse ancora più
frastornato di quanto non lo abbia reso Paulo Sousa, scende in campo contro l’Empoli
degli ex Pasqual e Gilardino (circostanza particolarmente dolorosa, per lui e
per i tifosi, nel caso di Manuel, capitano e gentiluomo). E lo fa sapendo già
quasi ufficialmente di annoverare tra i quadri dirigenziali il nome che tutta
Firenze aspettava.
Giancarlo Antognoni sta per
firmare da vicepresidente, tutto è pronto. L’Unico 10 parla già da quadro
viola, e lo fa con la consueta via di mezzo fra la passione di una vita (la
Fiorentina, a suo stesso dire) e l’aplomb quasi britannico con cui da sempre
commenta e gestisce le cose del calcio.
Firenze vorrebbe gioirne, e
invece è preoccupata, almeno a livello delle correnti sotterranee del tifo che
attraversano la città come i percorsi avventurosi dell’Inferno di Dan Brown.
Antognoni non si discute, né lui del resto farebbe mai nulla per farsi
discutere, c’è da giurare. Come manager, dette già ottima prova di sé ai tempi
di Vittorio Cecchi Gori. Ma il fatto è che adesso gli viene chiesto di mettere
la faccia per coprire quella abbastanza dimessa – diciamo così – di una società
che definire prossima ad un nuovo anno zero è usare un eufemismo.
La Fiorentina sarà anche sembrata
in ripresa grazie al lavoro del suo allenatore, come l’ha vista il nostro neo
vicepresidente. In realtà, per i suoi tifosi è stata più che altro motivo di
noia quando non di ansia e di agonia. Nessuno si sogna di dire ad una persona
del carisma e dell’intelligenza umana e calcistica di Antonio cosa è opportuno
dire e fare, ma insomma non vorremmo che la nostra migliore bandiera fosse
usata, sventolata per distrarci, mentre gli eroi sbiaditi dell’ultima
generazione senza più bandiere continuano a far danni in campo, e mentre altri
manager sicuramente meno bene intenzionati di Giancarlo continuano a farne di
peggio nella stanza dei bottoni.
Insomma, tra una bandiera che
salutiamo per l’ultima volta ed un’altra che abbiamo quasi paura ad impugnare
di nuovo per non rovinarla, la Fiorentina ritrova il campionato, cercando di
dimenticarsi e di far dimenticare quanto problematico e scialbo, per non dire
peggio, fosse prima della sosta del calzino bianco.
Empoli è un campo amico soltanto
in apparenza. D’accordo, ci si va perfino in motorino, è quasi più trasferta
San Piero a Sieve durante la preparazione estiva. Ma gli empolesi aspettano
questa come la partita della vita. L’anno scorso, con un organico più forte loro ma anche e soprattutto più forte noi, ci tolsero quattro punti su sei, e nominalmente si
lottava per il vertice. Non è il caso di aspettarsi gite fuori porta e
scampagnate, il presidente Corsi ci manderà di traverso il pranzo più che
volentieri, se appena può. Per poi tornare magari ad ammorbidire il tackle in
occasione della visita di compagini provenienti da metropoli fuori regione. Ma
questo è un problema suo.
C’è un 2016 da concludere
mandandolo in archivio con un connotato meno pessimo di quello registrato fino
ad oggi, tra la fine del campionato scorso e l’inizio di quello attuale.
Preparandoci poi al solito mese di gennaio da Pantoprazolo. Quest’anno non ci
sono tesoretti, il che vuol dire che a inizio anno nuovo si vende per far
cassa. Le profezie millenaristiche circa lo stadio nuovo dovrebbero avere un
rigurgito sempre nello stesso periodo, anche se il ping pong Cognigni –
Nardella francamente comincia a stancare anche più del gioco di Sousa. Per
rivedere la Fiorentina come ai tempi del compianto Eraldo Mancin, i tempi sono
storici, e non è detto che sia una storia si compirà nell’arco delle nostre
vite.
Radiomercato vuole il Chelsea di
Antonio Conte interessato fortemente a Milan Badelj, come terzo incomodo del
duo cino-milanese, e anche a Nenad Tomovic. Mentre le sirene di mercato
risuonano nuovamente a proposito di Federico Bernardeschi. Sensazione è che
anche stavolta se Ulisse non si lega al timone della nave…..
Giancarlo Antognoni si è assunto
un compito assai difficile.
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