mercoledì 30 marzo 2016

Il Corvo



«Un tempo la gente era convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la sua anima nella terra dei morti. A volte però accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose, che l'anima non poteva riposare. Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l'anima, perché rimettesse le cose a posto.»
E’ Sara Mohr che parla, all’inizio del film di cui è protagonista insieme a quell’Eric Draven che fu l’ultima, drammatica (per l’esito) interpretazione di Brandon Lee, il figlio del mitico Bruce. Il Corvo era tratto da una delle più celebri opere “gotiche” di Edgar Allan Poe, il padre fondatore dell’horror d’autore.
Di spunti, come si vede, ce ne sono quanti se ne vuole, venendo a parlare di Fiorentina. Anzitutto il genere. Non siamo ancora all’horror, ma al thriller sì, e da tempo. E di serie B, per giunta, perché la trama ormai è trita e ritrita. Un film già visto, un remake girato male, anzi malissimo, da mestieranti.
Poteva essere una commedia rosa, in perfetto stile hollywoodiano. “Quando finisce un progetto”. ve lo immaginate un Paul Newman o un Robert Redford d’annata, nei panni del bravo allenatore che se ne va sbattendo la porta in un finale da Oscar per salvare il proprio buon nome e quanto di buono ha fatto con i suoi ragazzi, contro le mire abbiette di biechi affaristi che vogliono impadronirsi della sua squadra (anzi, nel caso specifico ne sono già padroni)?
Poi l’annuncio clamoroso. Il Corvo sta tornando. Per portare a termine ciò che non era ancora stato risolto, compiuto. Bruscamente interrotto nella orribile notte in cui la Juventus fece a brandelli lo Stadio Franchi, ed una proprietà terrorizzata dette in pasto alla folla inferocita L’Uomo della Pioggia. Di soldi.
Adesso, dicono, il Corvo sta tornando per rimettere le cose a posto. Le sue, e quelle dei Della Valle, che con lui stavano tanto bene e che dopo di lui hanno vagato incerti per le lande sempre più inospitali del calcio italiano.
La storia è nota. I DV incontrarono l’Uomo di Vernole nell’inverno del 2005, allorché rifilò loro la sola terrificante di Valerj Bojinov. Un bidone da 23 milioni di euro circa che avrebbe abbattuto un elefante. I DV si salvarono (come, è ancora materia di studio degli storici) e provarono ad esorcizzare le bojate di quel 2004-05 assumendone l’involontario autore. Pantaleo Corvino cominciò così la sua cavalcata fiorentina, che lo portò ad essere il più prestigioso diesse italiano in competizione addirittura con Luciano Moggi, e poi infine l’uomo più odiato da una Firenze che aveva mal digerito la fine del progetto Prandelli e che tuttavia era restia a rifarsela con chi di dovere: i fratelli Della Valle.
Il Corvo fu scacciato dal nido nella primavera del 2012. Ancora in quella del 2016, la Fiorentina beneficia delle sue plusvalenze, se è vero che a torto o a ragione (ancora non si sa) accampa pretese dalle successive cessioni di Llajic e Salah, onde lunghe di affari impostati a suo tempo dal manager pugliese. E che affari. Con i giocatori venduti a peso d’oro dai Della Valle negli ultimi tre anni avremmo fatto la campagna acquisti e la felicità di un Paris Saint Germain, di un Real Madrid. Con i soldi entrati – dice – nelle casse viola si sarebbe rifatto uno squadrone, ma questo è un altro discorso.
Dopo la fuga del Corvo, nel frattempo riaccasatosi presso un Bologna che aveva illuso i suoi tifosi di aver trovato il proprio Zio d’America, era toccato a Daniele Prade’ fare mirabilie, ed in qualche caso miracoli. Negli ultimi tempi, piuttosto le “nozze con i fichi secchi”, come si dice a Firenze. Se Corvino aveva vissuto la fine di un progetto, Prade’ ne ha visti morire ben due: quello di Montella, arrivato ad un soffio dal trionfo europeo e colpevole di aver chiesto quel fatidico 31 una volta fatto il 30, e quello di Sousa, che ha ballato una sola estate prima di rendersi conto di avere una coperta da una piazza e mezzo da stendere su un letto matrimoniale.
L’uomo che assicurò un sereno crepuscolo ai Sensi a Roma non riesce più a fare miracoli a Firenze. Le plusvalenze sue e di Corvino sono agli sgoccioli, e i patron non escono più da quell’autofinanziamento che per una società come la Fiorentina significa cabotaggio medio se non piccolo, una via di mezzo tra l’Udinese ed il Parma di qualche tempo fa, prima del Diluvio che spazzò via i Tanzi. Il tempo di Daniele Prade’ in riva all’Arno ormai è contato, e sulle dita di una mano.
Ecco quindi la brillante idea. Di chi? Sicuramente di qualcuno che ai tempi in cui il Corvo volteggiava su Firenze male male non stava. Sia che si mettesse a caccia di IC o che sparisse per mesi in Sudamerica in safari di caccia da cui non sempre riportava animali di specie conosciute, il buon Pantaleo a mani proprio vuote ci restava, e ci faceva restare, di rado. Siamo sicuri che lui il Mammana lo portava a casa. Che poi ne uscisse un altro Gonzalo o un Van den Borre, questo è un altro paio di maniche. Di sicuro ne sarebbe uscita una bella posta di bilancio.
La leggenda del calcio vuole che i cavalli di ritorno finiscano per risultare bolsi. La Vox Populi d’altra parte vuole che i DV non sappiano più cosa inventarsi, stretti tra progetti di grandi opere che non vanno avanti e progetti di rilancio di una squadra che ormai ha gli effettivi ridotti all’osso. E per rimpolpare la quale forse l’autofinanziamento non basta più.
La tentazione di rievocare il Corvo, e quegli anni magici in cui a Firenze piovevano campioni e “promesse” a getto continuo, dev’essere forte. Come quella di poter delegare “qualcuno che ci capisce davvero di calcio” (anche se a modo suo) e tornare finalmente a disinteressarsi in santa pace di questa squadra che – non dimentichiamolo – per il maggiore dei due fratelli è un hobby non si sa più quanto divertente e per il minore quella che a Firenze si chiama una “fittonata”. Un colpo di testa che non vuole saperne di cedere il passo a più miti consigli. Come quello di cercare sul serio partner o compratori.
In attesa di sapere come va a finire questo thriller con venature horror (immaginatevi di perdere in casa con la Sampdoria dell’ex Vincenzino Montella e poi sulla panchina viola per le ultime sette partite va a sedersi direttamente Dario Argento), Firenze avverte quella sottile inquietudine già provata altre volte. Non è la prima circostanza infatti in cui l’autofinanziamento si dissolve trasformandosi in autoerotismo.
Non è destino che l’anima viola possa trovare requie. Mai.

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