A disperdere la malinconia che
come di consueto si distende su Firenze in occasione della sosta per la
Nazionale, piombano le dichiarazioni shock del minore dei fratelli produttori
di calzature che dal 2002 possiedono la Fiorentina. Andrea Della Valle rompe il
silenzio stampa a margine di un allenamento minimalista della squadra (sembra
impossibile, ma i viola convocati a giro per il mondo dalle varie nazionali
sono ancora diversi) e lo fa distribuendo alla stampa, che da due mesi cerca di
indovinarne i pensieri come gli aruspici divinavano l’esito di battaglie
politiche e militari dal volo degli uccelli, la propria Weltanschauung. Per chi fosse a
digiuno di studi filosofici, significa “visione del mondo”, e da Platone in poi
non è detto che quella di ogni individuo coincida necessariamente con la
realtà.
E’ il caso del giovine Andrea, che se ne
esce in sostanza con un “siamo ancora lì, cinque punti sono tanti ma sono
ancora pochi, chi ci contesta fa parte di una esigua minoranza e non si tratta
di persone perbene”. Anche ad aver vissuto nella caverna di Platone, qualcosa
dovrebbe esser trapelato sul tracollo rovinoso della Fiorentina a Roma, nonché
sulla sua successiva incapacità di segnare un gol all’ultima ed alla penultima
della serie A (se si eccettua l’autorete provocata da Zarate col Verona) che le
sono valsi due punti in tre partite e la chiusura di qualsiasi discorso di
terzo posto e Champion’s League.
Anche ad aver vissuto negli ultimi
quindici anni a Casette d’Ete ed essersi fatti vedere a Firenze soltanto
sporadicamente per quei novanta minuti che durano le partite e neanche sempre,
dovrebbe essere trapelato qualcosa sulla pazienza infinita dei fiorentini, che
nel periodo di riferimento sono stati talmente “per bene” da non aver più fatto
volare non dicasi un sanpietrino ma neanche un mortaretto, per non urtare la
sensibilità dei patron improntata al più algido e britannico fair play (ma di
quello del tempo della Regina Vittoria).
Difficile quantificare maggioranze e
minoranze, signor Della Valle, ma il numero di quelli che non ne possono più a
Firenze non solo di non vincere mai nulla ma nemmeno di provarci ed andarci
vicino sospettiamo che sia in crescita poderosa. Che li si voglia chiamare
tifosi o clienti, in quanto paganti i fiorentini hanno preso ad intonare
qualche coro non proprio beneaugurante. Qualcosa vorrà dire.
La sensazione è che ormai i proprietari
di questa società e di questa squadra vivano in una torre isolata dal mondo, o
in uno di quei castelli in cui i signori si raccontavano le favole di Giovanni
Boccaccio al tempo della Peste Nera, con il ponte levatoio rigorosamente
alzato. Tra le favole più apprezzate, quella dello stadio nuovo che tiene banco
un giorno sì e un giorno no. Un signore del passato, insignito addirittura del
titolo di conte, Ranieri Pontello, ha detto qualche giorno fa che di favola
appunto si tratta. Che per vincer non abbisogna appunto costruir cittadelle, ma
bensì frugarsi. Lui ne sa qualcosa, e sa anche quanto possono esser “poco per
bene” i fiorentini quando si arrabbiano davvero. A Piazza Savonarola si sente
ancora il fischio dei cubi di porfido e c’è traccia ancora dei fumogeni della
polizia. Per lungo tempo il conte non poté sortir di casa senza scorta di
armigeri. Altri tempi.
Altra favola da Decamerone, cioè abbastanza
scollacciata, è quella che vuole i signori chiusi nel castello di Casette d’Ete
intenti a rimuginare sul capro espiatorio. La Pasqua c’entra ben poco,
piuttosto c’entra la necessità di trovar qualcuno su cui scaricare la colpa di
tutto, malgrado si sostenga protervamente che in casa viola tutto ha funzionato
all’80%. Dove sarebbero adesso Sousa ed i suoi ragazzi con il 100%? In fuga
davanti alla Juventus? Benalouane sarebbe convocato come titolare inamovibile dalla
Francia di Didier Deschamps? Mammana sarebbe al minimo dello stipendio in
tribuna a Buenos Aires, in rotta con il River Plate, per protesta contro il
mancato trasferimento alla Fiorentina?
Dicevamo del capro. L’ultimo da
sacrificare sarebbe nientemeno che Daniele Prade’, accusato di non essere
capace nemmeno di fare la spesa al supermercato con la lista già scritta dalla
moglie. Al suo posto, i signori starebbero pensando a riprendere il capro
precedente, quel Pantaleo Corvino che dovette fuggire nottetempo la sera che la
Juve ne segnò cinque al Franchi, e che si prese le colpe anche per l’apertura
della diga di Levane durante l’Alluvione e per i delitti del Mostro. La
Fiorentina non ha ancora finito di far plusvalenze con i giocatori da lui
ingaggiati, quattro anni dopo. Ma il suo nome finora non si poteva più nominare,
mentre da qualche giorno non c’è pagina di giornale su cui non si legga.
Sciocchezze che vengono in testa quando
si vive e si fa “imprenditoria” da quindici anni in un ambiente di cui non si è
capito sostanzialmente ancora nulla? Oppure sciocchezze che vengono in testa a
chi deve riempire pagine di giornale e non sa dove batterla, quella testa?
Oppure a chi non sa come passare l’ennesimo fine settimana senza Fiorentina,
mannaggia alla Nazionale, almeno Conte ci facesse vedere Bernardeschi in
azzurro?
L’ultimo numero dieci viola in azzurro
esordì a Rotterdam 42 anni fa. Si chiamava Giancarlo Antognoni, e giocò
talmente bene da ricevere i complimenti del numero quattordici avversario, un
tizio che si chiamava Johann Cruyff. Se n’è andato ieri a neanche settant’anni,
Giovannino. Come se di tristezza in petto non ne avessimo già abbastanza,
immersi come siamo in questo calcio che non regala più una gioia, e non solo
per colpa dei Della Valle.
A proposito di tristezza, va fuori dal
Torneo di Viareggio la Primavera viola, 2-0 dall’Inter senza ammissione di
repliche. E così i titoli rimangono zero, ed il settore giovanile non riesce
più – al pari della prima squadra – a ritornare agli antichi splendori. L’ultima
vittoria viola al Viareggio risale al 1992. In squadra c’era il povero Riccardo
Magherini.
E’ una canzone triste, cantava Ivan
Graziani, cara la mia Firenze. Buona Pasqua a tutti.
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