«Un tempo la gente era
convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la sua anima nella terra
dei morti. A volte però accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose,
che l'anima non poteva riposare. Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava
indietro l'anima, perché rimettesse le cose a posto.»
E’ Sara Mohr che parla, all’inizio
del film di cui è protagonista insieme a quell’Eric Draven che fu l’ultima,
drammatica (per l’esito) interpretazione di Brandon Lee, il figlio del mitico
Bruce. Il Corvo era tratto da una delle più celebri opere “gotiche” di Edgar
Allan Poe, il padre fondatore dell’horror d’autore.
Di spunti, come si vede, ce ne
sono quanti se ne vuole, venendo a parlare di Fiorentina. Anzitutto il genere. Non
siamo ancora all’horror, ma al thriller sì, e da tempo. E di serie B, per
giunta, perché la trama ormai è trita e ritrita. Un film già visto, un remake
girato male, anzi malissimo, da mestieranti.
Poteva essere una commedia rosa,
in perfetto stile hollywoodiano. “Quando finisce un progetto”. ve lo immaginate
un Paul Newman o un Robert Redford d’annata, nei panni del bravo allenatore che
se ne va sbattendo la porta in un finale da Oscar per salvare il proprio buon
nome e quanto di buono ha fatto con i suoi ragazzi, contro le mire abbiette di
biechi affaristi che vogliono impadronirsi della sua squadra (anzi, nel caso
specifico ne sono già padroni)?
Poi l’annuncio clamoroso. Il
Corvo sta tornando. Per portare a termine ciò che non era ancora stato risolto,
compiuto. Bruscamente interrotto nella orribile notte in cui la Juventus fece a
brandelli lo Stadio Franchi, ed una proprietà terrorizzata dette in pasto alla
folla inferocita L’Uomo della Pioggia. Di soldi.
Adesso, dicono, il Corvo sta
tornando per rimettere le cose a posto. Le sue, e quelle dei Della Valle, che
con lui stavano tanto bene e che dopo di lui hanno vagato incerti per le lande
sempre più inospitali del calcio italiano.
La storia è nota. I DV
incontrarono l’Uomo di Vernole nell’inverno del 2005, allorché rifilò loro la
sola terrificante di Valerj Bojinov. Un bidone da 23 milioni di euro circa che
avrebbe abbattuto un elefante. I DV si salvarono (come, è ancora materia di
studio degli storici) e provarono ad esorcizzare le bojate di quel 2004-05
assumendone l’involontario autore. Pantaleo Corvino cominciò così la sua
cavalcata fiorentina, che lo portò ad essere il più prestigioso diesse italiano
in competizione addirittura con Luciano Moggi, e poi infine l’uomo più odiato
da una Firenze che aveva mal digerito la fine del progetto Prandelli e che
tuttavia era restia a rifarsela con chi di dovere: i fratelli Della Valle.
Il Corvo fu scacciato dal nido
nella primavera del 2012. Ancora in quella del 2016, la Fiorentina beneficia
delle sue plusvalenze, se è vero che a torto o a ragione (ancora non si sa) accampa
pretese dalle successive cessioni di Llajic e Salah, onde lunghe di affari
impostati a suo tempo dal manager pugliese. E che affari. Con i giocatori
venduti a peso d’oro dai Della Valle negli ultimi tre anni avremmo fatto la
campagna acquisti e la felicità di un Paris Saint Germain, di un Real Madrid. Con
i soldi entrati – dice – nelle casse viola si sarebbe rifatto uno squadrone, ma
questo è un altro discorso.
Dopo la fuga del Corvo, nel
frattempo riaccasatosi presso un Bologna che aveva illuso i suoi tifosi di aver
trovato il proprio Zio d’America, era toccato a Daniele Prade’ fare mirabilie,
ed in qualche caso miracoli. Negli ultimi tempi, piuttosto le “nozze con i
fichi secchi”, come si dice a Firenze. Se Corvino aveva vissuto la fine di un
progetto, Prade’ ne ha visti morire ben due: quello di Montella, arrivato ad un
soffio dal trionfo europeo e colpevole di aver chiesto quel fatidico 31 una
volta fatto il 30, e quello di Sousa, che ha ballato una sola estate prima di
rendersi conto di avere una coperta da una piazza e mezzo da stendere su un
letto matrimoniale.
L’uomo che assicurò un sereno
crepuscolo ai Sensi a Roma non riesce più a fare miracoli a Firenze. Le plusvalenze
sue e di Corvino sono agli sgoccioli, e i patron non escono più da quell’autofinanziamento
che per una società come la Fiorentina significa cabotaggio medio se non
piccolo, una via di mezzo tra l’Udinese ed il Parma di qualche tempo fa, prima
del Diluvio che spazzò via i Tanzi. Il tempo di Daniele Prade’ in riva all’Arno
ormai è contato, e sulle dita di una mano.
Ecco quindi la brillante idea. Di
chi? Sicuramente di qualcuno che ai tempi in cui il Corvo volteggiava su
Firenze male male non stava. Sia che si mettesse a caccia di IC o che sparisse
per mesi in Sudamerica in safari di caccia da cui non sempre riportava animali di
specie conosciute, il buon Pantaleo a mani proprio vuote ci restava, e ci
faceva restare, di rado. Siamo sicuri che lui il Mammana lo portava a casa. Che
poi ne uscisse un altro Gonzalo o un Van den Borre, questo è un altro paio di
maniche. Di sicuro ne sarebbe uscita una bella posta di bilancio.
La leggenda del calcio vuole che
i cavalli di ritorno finiscano per risultare bolsi. La Vox Populi d’altra parte
vuole che i DV non sappiano più cosa inventarsi, stretti tra progetti di grandi
opere che non vanno avanti e progetti di rilancio di una squadra che ormai ha
gli effettivi ridotti all’osso. E per rimpolpare la quale forse l’autofinanziamento
non basta più.
La tentazione di rievocare il
Corvo, e quegli anni magici in cui a Firenze piovevano campioni e “promesse” a
getto continuo, dev’essere forte. Come quella di poter delegare “qualcuno che
ci capisce davvero di calcio” (anche se a modo suo) e tornare finalmente a
disinteressarsi in santa pace di questa squadra che – non dimentichiamolo – per
il maggiore dei due fratelli è un hobby non si sa più quanto divertente e per
il minore quella che a Firenze si chiama una “fittonata”. Un colpo di testa che
non vuole saperne di cedere il passo a più miti consigli. Come quello di
cercare sul serio partner o compratori.
In attesa di sapere come va a
finire questo thriller con venature horror (immaginatevi di perdere in casa con
la Sampdoria dell’ex Vincenzino Montella e poi sulla panchina viola per le
ultime sette partite va a sedersi direttamente Dario Argento), Firenze avverte
quella sottile inquietudine già provata altre volte. Non è la prima circostanza
infatti in cui l’autofinanziamento si dissolve trasformandosi in autoerotismo.
Non è destino che l’anima viola
possa trovare requie. Mai.