Leggo l’ultima intervista di
Silvia Berti a Firenzeviola. Il primo
impulso è quello di sempre: non commentare. Conosco Silvia da qualcosa come
trentasei anni. Mi son sempre trovato in difficoltà a scrivere di lei, per
motivi di obbiettività. Avevo due amici di infanzia nell’A.C.F. Fiorentina, una
era lei, l’altro era Sandro Mencucci. Quando si tratta di loro, ho sempre
preferito non parlare. E’ difficile essere obbiettivi con qualcuno con cui
siamo stati ragazzini insieme.
Stavolta faccio una eccezione. Ho
visto che i commenti - peraltro scarsi, e mi dispiace perché gli argomenti
sollevati da Silvia sono a mio modesto parere più interessanti e utili per il
futuro che verrà di tanti giochini e calembour con cui ci si trastulla in
questo periodo di inizio estate e di fermo-campionato – sono improntati o a
disinformazione o a disinteresse.
La storia di Silvia alla Fiorentina
è, fino al 2009, la storia della Fiorentina. La storia del suo licenziamento
è la storia di come la Fiorentina ha perso, stravolto se stessa. Lo dico senza
paura di risultare non obbiettivo. Sapendo come sono andate realmente le cose,
e non potendone parlare per ovvi motivi di riservatezza, mi permetto di dire
che Silvia è stata fin troppo oggettiva, fin troppo onesta nel parlare
della sua vecchia società e dei suoi ex datori di lavoro. Fin troppo signora.
Di aneddoti ne conosco tanti,
anche più significativi di quel “Non possiamo atterrare a Pisa?” proferito da
quel Mario Cognigni il cui avvento, deciso da una proprietà sempre più
distratta, biliosa, rancorosa (loro, sì) e economicamente interessata, ha
voluto dire – in parallelo con la brusca o progressiva dismissione di
personaggi come Giovanni Galli, Silvia Berti, Cesare Prandelli, Sandro Mencucci
– la fine di quella Fiorentina che aveva in progetto davvero di vincere, a
Firenze, per Firenze e con i fiorentini. Per ridursi a vivacchiare, a gestire
partite di giro, a realizzare plusvalenze.
Non sono gli aneddoti che parlano
per Silvia da un lato e per chi l’ha licenziata dall’altro. Sono i risultati.
Fino al 2009 la Fiorentina aveva un capitale di simpatia immenso in termini di
immagine (malgrado nel frattempo avesse vissuto i giorni di Calciopoli). Dopo
il 2009, quel capitale è stato sperperato in maniera sistematica, con la
nonchalance di chi eredita una cantina da un parente estinto e sostanzialmente
dei cimeli che vi trova non gliene frega nulla. Non vede l’ora di buttare via
tutto, per metterci le proprie, di cianfrusaglie. E pazienza se lì dentro ci
sono i ricordi di una vita intera. Una vita che meritava eredi migliori.
Diego e Andrea Della Valle forse
riusciranno a rimanere in classifica di Forbes fino alla fine dei loro giorni. Ma
non entreranno mai nella storia né di Firenze né della Fiorentina. E resteranno
nella memoria di questa comunità come due persone che sono passate in riva d’Arno,
sotto quei monumenti che tutto il mondo ammira, e non hanno alzato la testa
nemmeno mezza volta a guardarli. Forse non sanno nemmeno che esistono, dopo
quattordici anni.
Silvia Berti nella storia della
Fiorentina c’é. Ci entrò nell’estate del 2006, quando a Folgaria ad accogliere
i giocatori stravolti dalla notizia della retrocessione in B per Calciopoli c’erano
solo lei e Cesare Prandelli. Lo Stato maggiore, come dopo l’8 settembre, era
scappato. Non a Brindisi ma a Casette d’Ete. Loro due erano lì. Il campionato della
rimonta da -15 nacque lì, da quella donna e quell’uomo.
Ci entrò, nella storia, anche
rispondendo male a Cognigni a proposito dell’atterraggio a Pisa. “E’ la nostra
gente”. Parole che vorremmo tutti mettere in bocca ai nostri eroi. Non le ha
dette Antognoni, non le ha dette Rui Costa, non le ha dette Batistuta. Le ha
dette Silvia Berti. Quel giorno, con quelle parole, so per certo che Silvia firmò
la sua condanna a morte, come addetta stampa della A.C.F. Fiorentina. Al pari
dei nomi che ho elencato sopra, nessuno metterà mai la sua foto nella sede della
Fiorentina, almeno finché restano gli attuali proprietari, al posto dei prodi
Ariatti e Blasi.
Le foto giuste, ognuno di noi ce
le ha stampate nella memoria. Quella allo stadio di Silvia abbracciata a Cesare
dopo il ritorno da Torino e la qualificazione alla Champion’s con la rovesciata
di Osvaldo non ce la toglie nessuno. E’ appesa nei nostri cuori.
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