giovedì 16 giugno 2016

A proposito di Silvia




Leggo l’ultima intervista di Silvia Berti a Firenzeviola.  Il primo impulso è quello di sempre: non commentare. Conosco Silvia da qualcosa come trentasei anni. Mi son sempre trovato in difficoltà a scrivere di lei, per motivi di obbiettività. Avevo due amici di infanzia nell’A.C.F. Fiorentina, una era lei, l’altro era Sandro Mencucci. Quando si tratta di loro, ho sempre preferito non parlare. E’ difficile essere obbiettivi con qualcuno con cui siamo stati ragazzini insieme.
Stavolta faccio una eccezione. Ho visto che i commenti - peraltro scarsi, e mi dispiace perché gli argomenti sollevati da Silvia sono a mio modesto parere più interessanti e utili per il futuro che verrà di tanti giochini e calembour con cui ci si trastulla in questo periodo di inizio estate e di fermo-campionato – sono improntati o a disinformazione o a disinteresse.
La storia di Silvia alla Fiorentina è, fino al 2009, la storia della Fiorentina. La storia del suo licenziamento è la storia di come la Fiorentina ha perso, stravolto se stessa. Lo dico senza paura di risultare non obbiettivo. Sapendo come sono andate realmente le cose, e non potendone parlare per ovvi motivi di riservatezza, mi permetto di dire che Silvia è stata fin troppo oggettiva, fin troppo onesta nel parlare della sua vecchia società e dei suoi ex datori di lavoro. Fin troppo signora.
Di aneddoti ne conosco tanti, anche più significativi di quel “Non possiamo atterrare a Pisa?” proferito da quel Mario Cognigni il cui avvento, deciso da una proprietà sempre più distratta, biliosa, rancorosa (loro, sì) e economicamente interessata, ha voluto dire – in parallelo con la brusca o progressiva dismissione di personaggi come Giovanni Galli, Silvia Berti, Cesare Prandelli, Sandro Mencucci – la fine di quella Fiorentina che aveva in progetto davvero di vincere, a Firenze, per Firenze e con i fiorentini. Per ridursi a vivacchiare, a gestire partite di giro, a realizzare plusvalenze.
Non sono gli aneddoti che parlano per Silvia da un lato e per chi l’ha licenziata dall’altro. Sono i risultati. Fino al 2009 la Fiorentina aveva un capitale di simpatia immenso in termini di immagine (malgrado nel frattempo avesse vissuto i giorni di Calciopoli). Dopo il 2009, quel capitale è stato sperperato in maniera sistematica, con la nonchalance di chi eredita una cantina da un parente estinto e sostanzialmente dei cimeli che vi trova non gliene frega nulla. Non vede l’ora di buttare via tutto, per metterci le proprie, di cianfrusaglie. E pazienza se lì dentro ci sono i ricordi di una vita intera. Una vita che meritava eredi migliori.
Diego e Andrea Della Valle forse riusciranno a rimanere in classifica di Forbes fino alla fine dei loro giorni. Ma non entreranno mai nella storia né di Firenze né della Fiorentina. E resteranno nella memoria di questa comunità come due persone che sono passate in riva d’Arno, sotto quei monumenti che tutto il mondo ammira, e non hanno alzato la testa nemmeno mezza volta a guardarli. Forse non sanno nemmeno che esistono, dopo quattordici anni.
Silvia Berti nella storia della Fiorentina c’é. Ci entrò nell’estate del 2006, quando a Folgaria ad accogliere i giocatori stravolti dalla notizia della retrocessione in B per Calciopoli c’erano solo lei e Cesare Prandelli. Lo Stato maggiore, come dopo l’8 settembre, era scappato. Non a Brindisi ma a Casette d’Ete. Loro due erano lì. Il campionato della rimonta da -15 nacque lì, da quella donna e quell’uomo.
Ci entrò, nella storia, anche rispondendo male a Cognigni a proposito dell’atterraggio a Pisa. “E’ la nostra gente”. Parole che vorremmo tutti mettere in bocca ai nostri eroi. Non le ha dette Antognoni, non le ha dette Rui Costa, non le ha dette Batistuta. Le ha dette Silvia Berti. Quel giorno, con quelle parole, so per certo che Silvia firmò la sua condanna a morte, come addetta stampa della A.C.F. Fiorentina. Al pari dei nomi che ho elencato sopra, nessuno metterà mai la sua foto nella sede della Fiorentina, almeno finché restano gli attuali proprietari, al posto dei prodi Ariatti e Blasi.
Le foto giuste, ognuno di noi ce le ha stampate nella memoria. Quella allo stadio di Silvia abbracciata a Cesare dopo il ritorno da Torino e la qualificazione alla Champion’s con la rovesciata di Osvaldo non ce la toglie nessuno. E’ appesa nei nostri cuori.

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