La notizia di Kurt
Hamrin colto da un malore scuote Firenze, in questo annus
horribilis che miete vittime illustri in quantità e che ha toccato già il
suo Pantheon viola portandosi via Beppe Pecos
Bill Virgili. Uccellino per fortuna sta
meglio, già in procinto di essere dimesso dall’ospedale e sulla via della
convalescenza.
Per capire l’importanza di questo
giocatore, di quest’uomo e del sentimento che lo lega – ricambiato – a questa
città, basti dire quello che sanno, o dovrebbero sapere, tutti. Per la
generazione dei nostri padri, Kurt Hamrin è stato quello che per la nostra è
stato Omar Gabriel Batistuta.
L’Uccellino e il Re
Leone, la grande storia della Fiorentina è ricompresa
sostanzialmente tra queste due figure monumentali, 303 gol in due, 3 Coppe
Italia in due, uno scudetto a testa ma vinto altrove, una Coppa delle Coppe
Kurt, mentre Omar Gabriel si fermò alla semifinale in cui zittì il Nou
Camp, con il Barcellona che al ritorno zittì il Franchi.
Pare proprio che Uccellino ce la
farà a festeggiare il prossimo compleanno, l’ottantaduesimo, il prossimo 19
novembre. La partita per lui non si è ancora conclusa. La sua leggenda ha
ancora un lieto fine. Ed allora ripercorriamola.
In mezzo al futebol sudamericano
di pregevole fattura che l’aveva resa grande, la Fiorentina di Enrico
Befani andò a trovare il più grande di tutti vicino al circolo polare
artico. Kurt Roland Hamrin era il quinto figlio di un imbianchino svedese, che
giocava da dilettante nella squadra della capitale, l’AIK Stoccolma. Nel 1955, a ventun anni, vinse
per la prima volta la classifica dei cannonieri del suo paese con 22 gol in
altrettante partite giocate. Il suo contratto prevedeva 50 corone a partita
vinta e zero in caso di sconfitta. Hamrin, per vivere, doveva per forza
diventare un fuoriclasse e nel frattempo continuare a lavorare come zincografo
in un giornale svedese.
Nel 1958, fu selezionato come centravanti
della Svezia, che organizzava i mondiali in casa propria. Era la squadra
favolosa di Gren, Nordhal e Liedholm,
che si arrese in finale soltanto davanti all’altrettanto favoloso Brasile di Garrincha
e dell’esordiente Pelè. Hamrin finì il torneo risultando
capocannoniere con 4 reti. Era già stato notato due anni prima dalla Juventus,
che poi però lo ritenne troppo fragile, cedendolo al Padova di Nereo
Rocco.
Narra la leggenda che lo svedese facesse
ombra a Marisa Boniperti, in fase calante, che
pertanto fu ben felice di accogliere John Charles e Omar
Sivori e veder andar via quel concorrente scomodo. Il paron
Rocco invece lo accolse a braccia aperte, lo mise accanto a Brighenti e si godé
i suoi 20 gol in trenta partite, dandogli il soprannome provvisorio di faina.
Quello definitivo l’ebbe a Firenze, dove
approdò l’anno dopo, allorché Befani si trovò a dover cercare il successore di Julinho.
Uccellino che vola, affibbiatogli per la sua leggerenza e agilità
da Beppe Pegolotti, leggendario giornalista della Nazione.
Nei nove anni successivi, Kurt ebbe la sua consacrazione, segnando 151 gol
(record viola fino al 14 maggio 2000, allorché fu superato da Batistuta) con
una media partita pari a 0,48, lui che di partite in serie A ne giocò alla fine
400.
Non vinse mai la classifica cannonieri in
Italia, ma è stata l’ala destra viola più prolifica di tutti i tempi. Suo è il
record di gol segnati in trasferta, cinque, in quel 7-1 in casa dell’Atalanta che è
a tutt’oggi la vittoria più rotonda di sempre della Fiorentina fuori casa.
Nella sua epoca, la Fiorentina dei
campioni di Befani e Bernardini prima, e di Longinotti e Baglini e della linea
verde poi non scese mai al di sotto del settimo posto in campionato, e
vinse la prima edizione della Coppa delle Coppe.
Quando nel 1967, la Fiorentina lo cedette
al Milan promuovendo in prima squadra il giovane Primavera Luciano
Chiarugi, sembrò un buon affare. Uccellino aveva 33 anni,
Luciano ne aveva 20. Il destino in realtà si divertì alla grande. Prima toccò
ad Hamrin, vecchia gloria nella squadra rossonera delle vecchie glorie Trapattoni
e Maldini (più il giovane Rivera) a vincere
lo scudetto. Poi, l’anno dopo, 1969, toccò alla Fiorentina di Chiarugi a
trionfare, mentre lo svedese risultava decisivo per la vittoria milanista in Coppa
dei Campioni.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo ed
aver tentato brevemente la carriera di allenatore a Vercelli, Hamrin tornò in
patria e avviò un’attività imprenditoriale, lui che da ragazzo era stato
operaio. Fino al 2005 la sua ditta di import-export di ceramica tra l’Italia e
la Svezia ha retto, poi, come tanti, ha dovuto cedere alla concorrenza cinese.
Negli ultimi anni si è stabilito a
Coverciano, dove ha svolto attività di talent scout (per il Milan, la
Fiorentina dei Della Valle non ha trovato posto per lui, come
per altre bandiere) e ha insegnato calcio nella Settignanese. L’Uccellino,
come tanti altri, alla fine ha fatto l’ultimo nido a Firenze.