E’ praticamente il primo ricordo
d’infanzia che ho, allo stadio con mio padre. 22 gennaio 1967, Fiorentina-Roma
2-2, Brugnera (F), Carpenetti (R), Bertini (F), Enzo (R). Per tutta la sua vita
avrei sentito ripetere a mio padre che quella fu la più bella partita che lui
si ricordasse di aver visto allo Stadio Comunale, non ancora intitolato ad
Artemio Franchi. E con lui erano d’accordo in molti, della sua generazione. Ci ho
ripensato tante volte. Viola e giallorossi da allora è come se avessero
stabilito un legame kharmico. Destinati spesso e volentieri ad affidare le loro
speranze di successo al bel gioco piuttosto che ad altre caratteristiche.
Destinati quasi sempre a sublimare il gioco del calcio, quando si incontrano.
"Picchio" De Sisti ed il compianto Agostino Di Bartolomei |
E’ una lunga storia di spettacolo
e di prodezze, quella dei match tra Roma e Fiorentina. Uscite dal buio degli
anni settanta, durante i quali rischiarono di finire fuori più volte dal calcio
che conta prima di trovare condottieri dotati delle opportune motivazioni
nonché risorse, si presentarono all’inizio del decennio successivo come l’unica
seria alternativa allo strapotere juventino. Il 5 aprile 1980 una tripletta di
Giancarlo Antognoni stese una Roma in cui già militavano – per dirne alcuni –
Di Bartolomei, Ancelotti, Pruzzo, Bruno Conti e sulla cui panchina già sedeva
il mitico Nils Liedholm. I campioni del secondo scudetto giallorosso c’erano
già tutti, mancava solo Paulo Roberto Falcao, che sarebbe arrivato nell’estate
successiva.
"Antonio" e Falcao |
Nel 1981 l’ing. Dino Viola diede
il primo assalto allo scudetto juventino. Fu fermato a due giornate dalla fine
dall’annullamento – a tutt’oggi inspiegabile – del gol di Ramon Turone che gli
avrebbe dato la vittoria a Torino nello scontro diretto con i rivali ed il
sorpasso in classifica. L’anno dopo fu la volta della Fiorentina di Pontello,
uno squadrone che conobbe due sole sconfitte, una delle quali proprio
all’Olimpico con i giallorossi. Tutti ricordano il colpo di tacco volante di
Falcao che liberò Roberto Pruzzo per il colpo di testa del 2-0. Al ritorno a
Firenze fu ancora spettacolo, con Luciano Miani che segnò il gol che eliminava
i capitolini dalla corsa al titolo. Corsa che si concluse a pochi minuti dalla
fine del campionato come l’anno precedente, con un gol annullato agli avversari
della Juventus, in quel caso la Fiorentina.
Nel 1983 ancora la Roma, stavolta
i bianconeri non poterono fermarla, malgrado la vittoria nella sfida diretta
sia a Torino che a Roma. Liedholm, Falcao & C. si cucirono finalmente il
tricolore sulla maglia, Venditti poté cantare al Circo Massimo e la Fiorentina
rimase a guardare, alle prese con una stagione di transizione in cui dovette
inserire Passarella e rimpiazzare Vierchowod, passato proprio ai giallorossi.
Ancora un anno più tardi, la corsa della Fiorentina si fermò sul secondo
infortunio di Antognoni, quella della Roma sulla difficoltà di conciliare
campionato e Coppa dei Campioni, di cui disputò la sfortunata finale casalinga
contro il Liverpool.
Seguì una fase di cosiddetto
“tono minore”, con l’unico acuto romanista nella stagione 1985-86, allorché
Sven Goran Eriksson – poi ribattezzato Svengo dagli stessi
tifosi capitolini – vide la sua squadra farsi battere dal Lecce già retrocesso
a due giornate dalla fine, mentre era in rimonta su una Juventus stremata e a
fine ciclo, quello dei Mundial.
Il "Principe" e l'Ottavo Re di Roma, agli esordi |
Seguirono anni a fasi alterne. A
Firenze andò in scena lo psico-dramma della cessione di Baggio alla Juve e del
passaggio della società da Pontello a Cecchi Gori. A Roma il “principe”
Giannini non seppe far rivivere ai suoi concittadini l’epopea di Falcao &
C. Si dovette aspettare il 1993 perché succedesse qualcosa di importante.
Quell’anno nella capitale fece il suo esordio con la maglia della sua squadra
del cuore un ragazzino che avrebbe fatto parlare di sé a lungo, Francesco
Totti.
Quell’anno successe anche
qualcosa che avrebbe cementato per lungo tempo rapporti non proprio idilliaci
tra le due tifoserie. All’ultima giornata, una Fiorentina costruita per spaccare
le ossa a tutti, era con le ossa rotte in fondo alla classifica, dopo la
cacciata di Radice da parte del figlio del padrone, già allora assai
intemperante. I viola dovevano vincere e sperare che la Roma battesse in casa
l’Udinese. La prima condizione si verificò, un 6-0 al Foggia in cui Batistuta
& C. sfogarono tutta la loro rabbia per una stagione virata in modo
incredibile verso lo scatafascio.
La seconda invece no, la Roma era
in vantaggio fino a sei minuti dalla fine, quando consentì – in modo a detta di
molti troppo accomodante – ai friulani di portarsi sul pareggio. L’Udinese
restò in A, la Fiorentina andò in B, e da allora a Firenze se chiedete chi
odiano di più tra juventini o romanisti ci devono pensare su, perché la
risposta non è più semplice né immediata come prima.
Bandiere |
A quell’epoca la Roma passò in
mano a Franco Sensi, la Fiorentina a Vittorio Cecchi Gori. Le due squadre si
sistemarono stabilmente nelle cosiddette Sette Sorelle, quelle che lottavano
per lo scudetto, guidate rispettivamente da Totti e Batistuta. Ogni volta che
si incontravano era spettacolo, anche se il risultato – almeno all’Olimpico –
finiva per premiare sempre i giallorossi. Dopo un 3-1 a firma di Batigol nel
1992, la Fiorentina per vent’anni riportò dalla capitale a malapena un punto,
nel 2006 con Tonigol. Il fuoriclasse Totti, nel frattempo laureatosi campione
del mondo con la Nazionale di Lippi a Berlino, sembrava inmarcabile per i
difensori viola di almeno un paio di generazioni.
Dopo il passaggio di Batigol alla
Roma, il terzo scudetto romanista ed il fallimento della Settima Sorella,
quella di Vittorio Cecchi Gori, con la ripartenza dalla C2 dei nuovi patron Della
Valle, lo spettacolo riprese nel 2005 con una Roma sistemata stabilmente ai
vertici della classifica ed una Fiorentina che remava per ritornarci. La prima
vittoria fiorentina a Roma avvenne nel 2012, e fu decisiva per scongiurare
un’altra retrocessione, nell’anno in cui sembrò che il progetto dei Della valle
fosse andato definitivamente in pezzi. Nel 2009 Prandelli invece aveva fatto
registrare uno storico 4-1 casalingo, che è rimasta l’ultima vittoria interna
della Fiorentina sulla Roma fino al jolly pescato da Badelj. In quella
circostanza i tifosi viola riadattarono per l’occasione la famosa canzone di
Irene Grandi Bruci la città, vittoriosa al festival di Sanremo, a
testimonianza di un immutato affetto verso la capitale.
Nel 2011 il prestigio viola fu
affidato alla primavera, che andò a vincere Coppa italia e Supercoppa di
categoria proprio sul prato degli acerrimi rivali giallorossi. Canzone
viola risuonò all’Olimpico, segnando la rinascita di un settore –
quello giovanile – che una volta era un vanto per la Fiorentina (al pari della
Roma) e che da dopo la retrocessione in C2 aveva stentato a rinascere.
Batistuta e Totti, prima nemici poi amici |
Nelle ultime cinque stagioni, i
giallorossi sono stati praticamente l’unica indomabile bestia nera della rinata
Fiorentina spagnola di Vincenzo Montella, e poi di quella
ereditata da Paulo Sousa. Otto vittorie giallorosse, due pareggi e tre vittorie
viola, tra cui le due prestigiose in Coppa Italia e Europa League dell’ultimo
anno di Montella, maturate in trasferta.
La Fiorentina torna martedi sera all’Olimpico
di Roma dopo il successo insperato dell’andata al Franchi, propiziato da un gol
di Badelj dopo che i giallorossi avevano fatto vedere i sorci verdi ai viola
per buona parte del match. L’Olimpico negli ultimi 25 anni è sempre stato particolarmente
avaro di soddisfazioni per i colori viola, su entrambe le sponde. Spesso e
volentieri, i giallorossi si sono trasformati in altrettanti lupi, come chiese
una volta il loro allenatore Garcia, al cospetto di viola che troppo spesso si
sono affacciati allo stadio della capitale come agnelli troppo leziosi.
Una speranza viva ci consola, e
ci tiene accesa una piccola fiammella anche stavolta. Fiorentina – Roma o Roma –
Fiorentina è da sempre uno degli spot migliori per il nostro calcio. Da quel
1967 in cui un ragazzino assistette alla sua prima edizione, per sapere poi che
aveva visto la più bella partita per tanto tempo a venire.