Gennaro De Tommaso detto Genny a carogna |
ROMA
– Volano via tante illusioni nella notte dell’Olimpico. E tutto
sommato, quella della Fiorentina di concludere la stagione alzando
finalmente un trofeo è la meno importante. La principale, quella che
una volta infranta è difficilissimo se non impossibile ricreare, è
quella di vivere in un paese normale. Se ne va subito, ben prima del
fischio d’inizio del sig. Orsato. E quando le squadre finalmente
scendono in campo per giocarsi la Coppa che porta il nome del nostro
paese, quello che è già andato in mondovisione è il dettagliato
resoconto di una nuova Caporetto italiana. E in fondo quello che
succede dopo è soltanto contorno, colore locale, folklore, come
direbbero a Napoli. E a Napoli sanno bene di cosa parlano.
Succede
che un paio d’ore prima della partita si scontrano in varie
località periferiche della capitale frange di due tifoserie fra le
più “corrette” d’Italia, quella romana e romanista e quella
napoletana. I fiorentini non c’entrano nulla, sono quasi tutti già
dentro lo stadio, sono all’Olimpico soltanto per vedere la loro
squadra finalmente in una finale dopo tanto tempo, ed eventualmente
gioire di una vittoria da tanto tempo attesa. No, quello che succede
per ammissione stessa di quelle che ancora ci ostiniamo a definire
“Autorità” è un fatto extracalcistico, un probabile regolamento
di conti tra due ambienti prima di tutto malavitosi e poi
incidentalmente anche coincidenti con il tifo sportivo. Due clan che
se le sono promesse probabilmente in occasione di precedenti
incontri-scontri, come ad esempio la semifinale di questa Coppa.
Un
ragazzo napoletano finisce all’ospedale in gravi condizioni. Al
momento di accendere i riflettori per l’inizio della finale la
prognosi è strettamente riservata. La curva nord, occupata da
trentamila napoletani (i trentamila fiorentini sono nella sud,
tranquillissimi e ignari di quanto sta avvenendo) è una bolgia. A
quanto pare il tifo partenopeo è riluttante a veder giocare la
partita in assenza di precise informazioni, se non garanzie, circa lo
stato di salute del suo “caduto”. Si assiste quindi a scene
concitate, a loro modo anche drammatiche, che ripetono quelle già
viste in passato, tipo quel Roma-Lazio che fu giocato dai tifosi e
non dai giocatori, o quel Juventus-Napoli che proprio qui un paio
d’anni fa rischiò di finire in una carneficina.
Marek Hamsick va a parlare coni tifosi |
Marek
Hamsick, invece di essere con i suoi compagni a preparare la partita,
in qualità di capitano designato del Napoli viene convocato dalle
Autorità (continuiamo a chiamarle così per comodità) e spedito a
parlamentare con i suoi “tifosi”. Tra i quali assume rilievo una
figura inquietante, un energumeno dalla faccia non proprio
rassicurante, tale “Genny ‘a carogna”, che issatosi
sulla rete di recinzione si accredita a furor di popolo come il “capo
delegazione” napoletano. Con questo individuo il Questore di Roma
si rapporta da pari a pari per la trattativa concernente l’inizio o
meno della finale di Coppa Italia. Con questo individuo che ostenta -
oltre alla sua espressione ed ai suoi modi che richiamano alla
memoria un altro energumeno, il serbo che quattro anni fa guidò la
“rivolta di Marassi” in occasione della partita tra la sua
nazionale e quella italiana – una maglietta recante scritto
“SPEZIALE LIBERO”. Dove Speziale, per chi non lo ricordasse, è
niente più e niente meno che l’assassino del Commissario Raciti in
quel di Catania, nel frattempo condannato dalla giustizia italiana.
Durante
il “parlamento” tra Genny ‘a carogna, Marek Hamsick e
quel poco che rimane dello Stato italiano accadono altre cose. La
prima è il lancio di mortaretti, fumogeni e quant’altro da parte
della brava gente assiepata in curva nord, che forse intende
anticipare gioiosamente Piedigrotta ma che di fatto bersaglia
il gruppo dei “parlamentari” circondati dal cordone degli
stewards e puntualmente ferisce un vigile del fuoco. In Tribuna
invece varia umanità, istituzionale e non, fa bella mostra di sé.
Su tutti spicca il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che pare
francamente uno dei tanti ragazzotti presenti allo stadio e in attesa
di sapere se si gioca o si torna a casa, più o meno con la stessa
cognizione di causa e la stessa espressione facciale di buona parte
degli altri sessantamila.
Andrea Della Valle e Aurelio De Laurentiis |
Manco
fosse un vip di passaggio e non il capo del governo italiano, Renzi
perde più punti in mezz’ora di Tribuna Monte Mario che in cinque
anni di governo approssimativo della Città di Firenze. Alla fine
accenna anche ad andarsene “indignato”, e per fortuna che qualche
“curatore di immagine” in possesso delle sue facoltà mentali
deve ancora avercelo, perché dopo poco fa ritorno al suo posto. Poco
più in là, mentre Aurelio De Laurentiis non molla un attimo i
dirigenti della Federazione e l’entourage della Pubblica
Sicurezza, i due Della Valle se la spassano come due turisti in gita
a Roma per qualche beatificazione. Sorrisi alle telecamere, e nessuno
dei due a cui venga in mente di andare a sentire cosa succede, visto
che in ballo stasera qualcuno dei loro interessi c’é. Alla fine si
muove Andrea, andando a confabulare con l’omologo napoletano.
L’impressione che finisce per dare è quella del cameriere di De
Laurentiis che riceve le istruzioni per la serata.
Mentre
Cesare Prandelli si starà domandando chi diavolo va a rappresentare
tra un mese in Brasile, la curva fiorentina trascorre circa un’ora
completamente all’oscuro di cause e sviluppi di cosa sta
succedendo. Gli speaker dello stadio evidentemente sono tutti a casa
con la faringite, nessuno va a spiegare ai trentamila giunti da
Firenze che fine sono destinati a fare stasera, e i trentamila
fatalmente cominciano a rumoreggiare. Finalmente qualcosa si muove, i
sopravvissuti del bombardamento missilistico di prima (a proposito, e
i controlli allo Stadio Olimpico chi li fa, Al Qaeda?)
ritornano dall’ineffabile Genny ‘a carogna e ne ottengono
il “permesso a giocare”. I gesti del capopopolo partenopeo sono
eloquenti. Le “Autorità” italiane possono tornare a riferire al
resto della popolazione: stavolta non è l’Europa che lo vuole, è
Genny o chi per lui, ma va bene lo stesso, si gioca.
Non
esiste più un’Italia presentabile al mondo quando le due squadre
fanno il loro ingresso in capo alle 21,45 per giocarsi la Coppa
giunta alla sessantaseiesima edizione. E francamente non avremmo
nemmeno voglia di commentare l’evento sportivo, dopo una simile
Caporetto. Ma siccome lo spettacolo deve andare avanti, ci tocca dire
qualcosa della decima finale giocata dai viola dal 1940 ad oggi. Che
purtroppo va ad aggiungersi alle tre perse, anziché alle sei vinte.
Sarebbe
ingeneroso buttare la croce addosso a chi ha giocato ieri sera – in
un contesto tra l’altro decisamente complicato da fattori come
spesso succede extracalcistici – e a chi ha messo la squadra in
campo. Abbiamo detto più volte che questa è stata una stagione
contraddittoria, con momenti di bel gioco (riproposti anche ieri
sera) a cui di rado ha fatto seguito il conseguimento di risultati
adeguati. Dare la colpa a Montella di aver schierato anche
all’Olimpico gli uomini intesi ad attuare l’unico schema di cui
evidentemente si fida, il “giro palla” alla spagnola, sarebbe
poco generoso. Non è colpa sua se la società non gli ha preso i
rinforzi attesi, anche se un Matri in panchina ce l’avrebbe, e nei
pochi minuti in cui è costretto a farlo giocare gli abbassa
decisamente il voto come allenatore.
Così
come non è colpa di nessuno se Cuadrado ha rimediato una squalifica
fatale, se Pasqual è invecchiato, se Borja Valero è un giocatore
sopravvalutato (altro voto abbassato a Montella, la sostituzione di
Aquilani nei minuti finali dopo che per tutta la partita lo spagnolo
non ne ha fatta una giusta), se Ilicic ha i riflessi del bradipo e
quando il suo sistema neuronale gli fornisce l’informazione esatta
l’azione è già sfumata o la palla gol è già sbagliata. Va a
finire che questa stagione andrà in archivio con il sigillo di due
palle gol clamorose e fallite dallo sloveno, una contro la Juventus
in Europa League, l’altra ieri sera che avrebbe dato il pareggio
contro un Napoli alle corde e in dieci uomini per l’espulsione del
killer Inler.
Detto
anche del sig. Orsato che evidentemente ha sofferto di “situazioni”,
diciamo così, ambientali particolari e pressanti e ha finito per
indovinarne veramente poche, tra cui il gol annullato ad Aquilani
perché aveva il ciuffo sulla fronte in fuorigioco, va sottolineato
come il risultato è stato compromesso dai venti minuti iniziali in
cui i viola hanno mandato in campo le gambe ma non la testa. Ed hanno
lasciato come al solito buchi enormi in difesa a chi ne sapeva
approfittare, leggasi Insigne. Il 3-1 finale di Martens reitera
l’errore ma aggiunge poco, a quel punto la squadra era scorata per
l’errore marchiano di Ilicic e soprattutto per aver tenuto il
pallino per quasi un’ora senza produrre altre occasioni da rete. Il
Napoli alla fine era Behrami e poco più, ma gli è bastato.
L’ingresso di Rossi tra i viola quattro mesi dopo l’infortunio ha
fatto bene al cuore, ma purtroppo in quel contesto di gioco è
risultato completamente ininfluente.
Si
conclude così una stagione che aveva autorizzato grandi speranze in
avvio, ma che con l’andare del tempo si è ripiegata su se stessa
come uno striscione dispiegato con troppa fiducia e troppo orgoglio.
I giocatori hanno dato quello che avevano, nel bene e nel male, e c’è
poco da dire. Per la società invece il discorso è diverso. I titoli
restano a zero, e fino ad oggi dispiace dire che in quanto a
risultati concreti la gestione Della Valle è una delle peggiori
della storia della Fiorentina. Quanto al futuro, c’è di che
preoccuparsi. E’ vero che le voci non fanno mercato, ma sono quasi
tutte nel senso della dipartita d Juan Guillermo Cuadrado, e si è
visto ieri sera cosa sarebbe la squadra viola un altr’anno se
privata della sua Arma Letale. Con tutto il rispetto poi per Samuel e
per la sua venerabile età, la difesa ha bisogno di ben altro, se è
vero che quest’anno la Fiorentina i confronti di vertice li ha
persi tutti, soprattutto in casa.
I napoletani sparano mortaretti e feriscono un vigile del fuoco |
La
chiusura è d’obbligo con la telecamera di nuovo dedicata ai tifosi
del Napoli. Che al fischio finale non trovano di meglio che invadere
il campo e andare fin sotto la Curva Nord a “sfruculiare”,
schernire i fiorentini. Polizia tra l’altro inesistente, forse sono
tuti al congresso del SIULP. La Coppa Italia viene consegnata mentre
il campo è pieno di gente che non dovrebbe esserci, manco fossimo
tornati agli anni settanta. Nel frattempo, gli intervistati a bordo
campo stigmatizzano i tifosi viola che hanno fischiato l’inno
nazionale. Anche questa è l’Italia che se ne va, nel cielo della
notte romana.
Francamente,
a questo punto spiegare a un ragazzo fiorentino perché dovrebbe
sentirsi italiano dopo questa ennesima celebrazione della dignità
nazionale è un’impresa improba. Noi ci rinunciamo senz’altro.