Un’altra domenica al Franchi, di
quelle che Fabio Concato avrebbe definito senza mezzi termini. Bestiale,
appunto. Per dovere di cronaca ve la dobbiamo raccontare comunque. Ma siccome
non si può descrivere l’indescrivibile, andiamo per forza di cose a cercare
argomenti e situazioni di contorno. Sperando di non annoiarvi più di quanto
abbia già fatto la vostra squadra del cuore.
Anniversari. Accade che due
giorni prima di questo match (chiamiamolo così), che conclude la stagione viola
almeno per le partite casalinghe, ricorra l’anniversario del primo scudetto.
Quello conquistato nel 1956, il 6 maggio appunto con un pareggio in quel di
Trieste, dallo squadrone allenato da Fulvio Bernardini e allestito da un
presidente, Enrico Befani, che sicuramente fatturava meno di Diego Della Valle,
aveva un “bacino d’utenza” ed una “clientela” assai più ridotta, ma in compenso
aveva dimostrato di avere braccia assai più lunghe (ci vuole poco) e testa e
cuore che a Casette d’Ete possono soltanto sognarseli. La Curva Fiesole,
comprensibilmente, dedica alla ricorrenza una delle sue consuete coreografie.
Peccato che stoni completamente con la condizione attuale della Fiorentina,
neanche parente alla lontana di quella di sessant’anni fa, con il girone di
ritorno a dir poco vergognoso che ha disputato, con la partita che oggi stesso
si accinge a giocare. Alla fine, lo spettacolo vira al patetico, e non certo
per colpa della Curva Fiesole.
Onori alla maglia. Non è la sola
ricorrenza. Al termine di una settimana di polemiche stracittadine come solo
Firenze sa produrre in questi tempi di magra, lo stadio rende omaggio a Manuel Pasqual,
al suo passo d’addio alla maglia viola che ha indossato per 11 anni e 356
partite, di cui 302 in serie A. Manuel raggiunge Picchio De Sisti nella
graduatoria dei più presenti in viola di sempre, e scusate se è poco. Lo stadio
gli si stringe attorno con tutto l’affetto e la riconoscenza possibili. Peccato
che alla fine di una partita inguardabile il clima sia freddo, e il “vola vola”
dei compagni sotto la Fiesole passi non diciamo inosservato ma in un clima di
freddezza generale. Del resto, ci ha pensato per tempo la società A.C.F.
Fiorentina ad ammantare la celebrazione di gelo come nemmeno nel cartone
animato Frozen di Walt Disney. La società che spende in comunicazione più di
ogni altra non ne azzecca mai una quando si tratta di comunicare una immagine
positiva. Così, dopo aver festeggiato il Benevento al posto del Leicester, si
dimentica di accompagnare questo suo affezionato dipendente alla pensione con
un minimo di calore e di considerazione. Nemmeno il megadirettore grand uff
farabutt lup mann di Fantozzi avrebbe saputo far di peggio. Il Sousa ritornato
aziendalista, da parte sua, cosa fa? Ti schiaffa il Manuel in prima squadra
contro il Palermo, credendo di fargli cosa gradita e invece coinvolgendolo
soltanto nella pessima passerella dei compagni.
Questioni istituzionali. Non
vorremmo sbagliarci, ma abbiamo la sensazione che con il famigerato decreto
Boschi sia stato abolito anche l’Ufficio Inchieste. In attesa di documentarci
meglio, o almeno del referendum abrogativo di ottobre prossimo, ci consoliamo
con il fatto che se esistesse ancora un ufficio degno di quel nome, la partita
di oggi finirebbe di diritto sul tavolo di uno dei suoi inquirenti. A meno di
non voler considerare prova di partita regolare la sforbiciata da Circo Medrano
con cui Kalinic calcia sul palo un assist di Bernardeschi (complimenti al
funambolo, era più difficile che fare gol, poi dicono che non è preciso…..) e
una punizione di Mati Fernandez che aveva telefonato a Sorrentino già dalla partita
di andata. A meno di non voler considerare i giocatori viola in campo come
undici Zarate: l’argentino se ne parte all’inizio in un paio di discese che
rischiano di far saltare lo 0-0, poi qualcuno dei compagni gli deve far notare
che non è cosa, ed anche lui si mette a cuccia come tutti gli altri. No, oggi
non è cosa, e lo si capisce fin dai primi minuti, appena la radiolina informa
del vantaggio della Lazio a Carpi. Un punto noi, un punto loro, tutti contenti.
A quel punto la cosa più difficile è far finta per novanta minuti di darsele di
santa ragione. Colpire la palla però è rischioso, meglio le caviglie. E così il
buon Orsato ti regala una settimana anticipata di vacanze. Vero, Borja Valero?
Questioni aziendali. Dopo la fine
dei mondiali di slittino, alla fine ADV e PS1 (Andrea Della Valle e Paulo
Sousa) si incontrano per davvero. Ne esce una clamorosa riappacificazione.
Sousa proclama al mondo che lui qui ci sta bene (e te credo) e che pertanto ci
sarà un PS2. Certo che questi della Valle son capaci di risolvere le situazioni
come Cristo di resuscitare Lazzaro. Diego convinse Luca Toni a rimandare il
Bayern con un caffè al Bar Stadio. Stai a vedere che convince Nardella a
ripartire con la Cittadella? Nel frattempo Andrea, dopo quattro mesi da
separato in casa con il suo allenatore (che si sbizzarrisce peraltro a fargli
anche i dispetti ogni volta che deve stilare una formazione al punto da
strafalcionarne 18 su 19, ad arrotondare per difetto) lo sorprende sulla via
non di Damasco ma sicuramente di qualche altra località del Nord Italia o Nord
Europa e con uno sguardo dei suoi lo convince a restare più convinto e felice
di prima. Ora, delle due l’una: o lo sguardo di ADV – per quanto carismatico
possa essere (le telecamere di Sky raramente gli rendono giustizia) – è accompagnato
da un bel rinforzo di bigliettoni verdi, oppure, detto in vernacolo, ci
pigliano in giro. La questione è semplice: ti trovi al primo posto della
classifica a Natale, a quel punto basterebbe che la società ti comprasse un
paio di rinforzi decenti, facciamo tre per sicurezza, ma roba da non svenarsi.
Arriva invece una banda di soggetti che nemmeno i “cattivi” disegnati dalla
Marvel dei tempi d’oro. Ciliegina sulla torta, quel Benalouane che stava
talmente male da precipitarsi a Leicester a festeggiare lo scudetto dei
compagni. O ex compagni. O futuri compagni. Vai a sapere. Risultato? Finisci
quinto perché dietro hai un campionato di morti viventi, il punto più basso
nella storia del glorioso calcio italiano dal 1898 ad oggi. Ti viene il dubbio
che il tuo datore di lavoro “o ci è o ci fa”? E se non ti viene, non sarai per
caso te che “o ci sei o ci fai”?
Scivolata nostalgica nel vintage.
Dato che siamo in clima di ricorrenze e celebrazioni, mettiamoci anche questa.
I tifosi un po’ più in là con gli anni si ricordano senz’altro quelle ultime
partite di campionato di quel tempo che fu, quando le curve scendevano giù
dalle gradinate già alla metà della ripresa per essere pronti al fischio finale
all’invasione di campo festosa. Un anno la festa finì in rissa, tra i
supporters viola che si disputavano non ricordiamo più se la maglia di Mauro Della
Martira o quella di Alessio Tendi. Un altro anno portarono in trionfo Beppe
Chiappella non per lo scudetto del ’56 ma per la salvezza del ’78. Un altro
anno “finì a labbrate”, con la polizia che sparava lacrimogeni ad alzo zero,
perché si perse l’ultima con l’Inter campione d’Italia di Bersellini, noi già
sicuri di un sesto posto che all’epoca voleva dire Coppa Uefa.
Tempi eroici. Calcio che non
esiste più. Non potrebbe esistere, con le norme UEFA ed il politically correct
che impera adesso. Ma almeno un Andrea Della Valle si sarebbe guardato bene dal
mischiarsi ai tifosi per farsi dei selfie come si è visto oggi. Nessuno gli
avrebbe mai torto un capello, per carità. Firenze non è mai stata così
cialtrona. Ma di “bischero” – dopo un campionato gettato via così – ne avrebbe
presi tanti. E se li sarebbe portati meritatamente a casa.
Domenica si chiude, vivaddio, con
la Lazio. Poi, come si suol dire, per i bischeri non c’è paradiso.
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