Bandiera vecchia onor di capitano,
dice il proverbio popolare. Che risale evidentemente ad un’epoca in cui
esistevano ancora le bandiere, e chi le portava con onore.
Manuel Pasqual è stato il capitano della Fiorentina, una bandiera, anzi, un labaro,
vecchio di novant’anni, dal 2012 a ieri sera. La sera in cui aveva
appena saputo che la sua squadra non aveva più bisogno di lui. Esodato
senza preavviso, unica consolazione la passerella finale, gli applausi
del pubblico, il trionfo decretatogli da quelli che da stamani sono i
suoi ex compagni. Già, perché impegnandosi come se quella con il Palermo fosse una partita vera, come tutte le altre 356 che ha giocato in maglia viola, ha finito per prendersi un giallo che vale una squalifica per l’ultima di campionato. La sua storia in viola finisce qui.
Manuel lotta per un intero pomeriggio contro la commozione. Alla fine, con il microfono di Sky sotto il viso, non ce la fa più. E’ un cazzotto allo stomaco di Firenze vederlo piangere così. Non sarà stato Robotti, non sarà stato Magnini e nemmeno Rogora,
ma è stato il sesto giocatore per numero di presenze della storia di
questa squadra da quando esiste, a pari merito con uno che si chiama Giancarlo de Sisti. Qualcosa vorrà pur dire. Quando il mister ha chiamato, dal 2005 ad oggi, il soldato Manuel ha sempre risposto: presente.
Vederlo così, sapere che buona parte di
quelle lacrime sono dovute alla mancanza di rispetto pressoché totale
riservatagli da una società dove lo spessore umano dei suoi proprietari e
dirigenti è pari a quello tecnico, fa ancora più male. Né attenua il
colpo – a Manuel come ai suoi tifosi – sapere che è in buona compagnia,
che allunga una lista nella quale compaiono nomi eccellenti come Gino Salica, Giovanni Galli, Angelo Di Livio, Fabio Liverani, Silvia Berti.
Il ragazzo di San Donà di Piave ha
giocato e vissuto per anni a Firenze senza uscire mai da quelle righe
che delimitano il carattere suo e di tanti altri ragazzi e campioni
provenienti dalla sua terra. Mai una parola fuori posto, mai una
spostatura, sempre pronto e mai polemico, neanche quando ne avrebbe
avuto ben donde. Perché l’ultimo schiaffo in faccia a Manuel Pasqual non è stato il primo.
Preso dall’Arezzo come una delle migliori giovani promesse del calcio italiano dal Mago di Vernole, quel Corvino che nella primavera-estate del 2005 non sbagliava un colpo, Manuel ripagò tutti con buona parte degli assist che permisero a Luca Toni (bella questa coincidenza, se ne vanno praticamente insieme) di vincere la Scarpa d’Oro nel 2006 con31 gol. Manuel faceva cose che non si vedevano più dai tempi di Cafù, arrivava sul fondo e crossava. Per un centravanti come Lucagol, bastava seguirlo nelle sue discese, con fiducia.
Partita la Scarpa d’Oro, dei suoi cross sembrò non farsene più nulla nessuno. Lentamente il suo apporto fu svalutato, la Fiorentina aveva preso a giocare per altre linee, né Bobo Vieri né Gilardino sembravano aver più bisogno dei suoi traversoni. Nel 2009, l’anno in cui tanti equilibri saltarono in casa viola, un Prandelli forse non più lucidissimo lo escluse dalla lista UEFA in prospettiva Champion’s League, incaponendosi a considerare miglior terzino al suo posto quel Juan Manuel Vargas che invece era una splendida ala. E che insieme a lui sulla fascia sinistra avrebbe fatto sfracelli, in sovrapposizione.
Ridotto quasi ai margini della squadra, in odore di cessione un giorno sì e quell’altro pure, Manuel – come un provetto lagunare, un soldatino della sua terra – inghiottì tutto, continuò ad allenarsi ed aspettò. Certo che un giorno la Fiorentina avrebbe avuto ancora bisogno delle sue corse, dei suoi cross, delle sue punizioni. Della sua leadership in campo, ora che il tempo bene o male trascorso aveva fatto di lui il più anziano della squadra.
Nel 2012, la fascia di capitano coincise con la sua rinascita viola. Vincenzo Montella sperimentava un tiki taka nostrano, ma essendosi ritrovato a disposizione un Luca Toni release 2.0 non buttava via nulla. Il vecchio Pasqual su quella corsia sinistra faceva un gran comodo. E segnava gol pesantissimi, come quello al PAOK che valse il passaggio di turno in Europa League nel 2014, e la finale di Coppa Italia ai danni dell’Udinese sempre lo stesso anno.
Ma un nuovo equivoco era in agguato, oltre al tempo che passa inesorabile. Marcos Alonso era un talento emergente, e forse un giorno qualcuno capirà che al pari di Vargas
non di terzino trattasi ma di ala. Nel frattempo però la sua classe e
la sua gioventù sono state sufficienti a relegare di nuovo Manuel Pasqual alla panchina, e questa volta per restarci.
Si sospettava che questa fosse la sua ultima stagione. Succede a tutti i campioni, prima o poi. Successe al Milan, per esempio, ad un certo Mauro Tassotti,
e la società lo chiamò per tempo ringraziandolo di tutto e offrendogli
un posto nello staff tecnico dirigenziale. Gratitudine, indubbiamente,
il che non guasta mai nella vita. Ma soprattutto intelligenza,
investimento in una risorsa che la società stessa si è allevata in seno,
coltivata nel tempo.
C’è solo un capitano, cantava
ieri la Curva. Qualcuno si è risentito. Quel coro è riservato a Firenze
ad una sola persona, che aveva sulla maglia il numero 10. Tutto il resto
è bestemmia, dicono. Forse sì, ma ieri quel coro non stonava. In una
cosa sono assolutamente simili il numero uno ed il numero sei della
graduatoria delle presenze di sempre in viola: quel viola di loro adesso non sa che farsene. Non più.
La fascia di capitano adesso è in terra.
Qualcuno prima o poi la raccoglierà, dimostrandosene degno. Ma adesso
giace sul prato del Franchi, dopo che se l’è tolta l’ultimo che l’ha portata con onore.
Si, il ragazzo di Venezia può dirlo con ragione. Firenze è e resterà la sua città. Se l’è meritato.
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